Luigi Barzini senior
di Pierluigi Mennitti

"Marzialmente vestito di una uniforme kaki da lanciere inglese (comprata bell'e fatta sullo Strand di Londra), la vita stretta in un lucido cinturone da cui pendeva una rivoltella da cavalleria lunga come una carabina, e accompagnata da un coltellone da caccia che, quando era aperto, pareva una baionetta, le gambe avvolte da quelle fasce elicoidali che erano allora una novità per guerrieri alla moda, il capo sepolto nell'ombra di un esorbitante e autorevole casco di sughero, binocolo e macchina fotografica a tracolla, l'indomani mattina sbarcavo ufficialmente aggregato ad una compagnia di marinai destinata a marciare su Pechino".

Così vestito irrompe sulla ribalta del giornalismo moderno d'inizio Novecento Luigi Barzini, classe 1874, primo inviato di guerra italiano, al seguito di un contingente tricolore inserito nel corpo di spedizione occidentale inviato in Cina per sedare la rivolta dei Boxer. Ce lo spedì Luigi Albertini per conto del Corriere della Sera. Mai un giornalista italiano si era spinto tanto lontano. Mai a un giornalista italiano era stata data l'opportunità di seguire professionalmente una guerra all'altro capo del mondo. Ma lui era Luigi Barzini, l'uomo educato allo stile e all'ironia anglosassone che diventò il primo italiano globale della carta stampata e restò il più grande di tutti, viaggiando e raccontando della Cina e della Russia, dei Balcani e del Giappone, collezionando uno scoop dietro l'altro e mettendo in fila tutti i grandi nomi della stampa europea e americana.

Cronache asciutte e crude, senza il filtro del moralismo, che strapparono l'Italia dal cantuccio del provincialismo per immergerla nelle tensioni del Novecento che si apriva. Seguirono altre guerre e altri reportage, la macelleria del primo conflitto mondiale, l'Abissinia, Leningrado, il Don. Poi la fine, misera e solitaria, come quella di tanti uomini grandi.


 

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