Roberto Baggio
di Italo Cucci

Roberto Baggio è un Idolo degli italiani non solo per quel che ha vinto ma soprattutto per quanto ha saputo perdere. L'unico "rigore" che i suoi connazionali rispettano è quello che l'allora Codino sbagliò, negandoci il quarto titolo mondiale, a Pasadena, nel 1994, contro un Brasile raccogliticcio. Lui si mise le mani sul volto, gli altri sparsero lagrime, mille Deamicis consacrarono quel dramma su giornali e tivù, l'Italia si pianse addosso, Dalla Lucio ne ricavò una canzone, fu chiaro a tutti che quel maledetto pallone aveva trovato un altro bersaglio, Una Porta nel Cielo. Gol, naturalmente.

Va così nel Bel Paese che ha disseminato le città e i borghi di vie intestate ai Grandi Sfigati benvissuti e malfiniti. Roberto Baggio è un eroe del Risorgimento, un Fratello Bandiera che ha conquistato i cuori delle mamme e dei padri per somma di virtù spirituali (buddismo compreso, come Marco Columbro) e la fantasia dei figli per i successi e i denari accumulati in un ventennio straordinario. Piace, e sempre piacerà, perché possiede in quantità illimitate fantasia e sopportazione, servendosi della prima per confermare la sua indiscussa supremazia nel gioco del calcio e della seconda per illuminare lo scenario della comune ingiustizia, ben nota ai cittadini illustri e meschini. Ha dovuto infatti giocare, sudare, segnare e soffrire in sette squadre per emergere nonostante quattordici allenatori abbiano tentato di impedirglielo per non ammettere la propria incapacità a governare il Genio. In fine di carriera è arrivato in una città che amò combattere per gli Ideali, Brescia, agli ordini di un presidente che ideali non ha e di un allenatore romanesco, Carlo Mazzone, che ha colto intelligentemente il piacere di avviarsi alla pensione accompagnato dalle esibizioni eccelse di un poeta.

Se, girando il mondo, trovaste difficoltà ai confini di questo o quel Paese esotico, il nome di Baggio potrebbe togliervi d'impaccio: vale un visto sul passaporto, come ieri quello di Pablito Rossi, l'ambasciatore della nostra furberia, e di Totò Schillaci, un altro italiano che conquistò il mondo con la poesia degli occhi e dei gol. Se capite e amate Roberto Baggio appartenete a un altro calcio, forse a un altro mondo. Per me è il fratello buono di Maradona.

 

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