I cinefili talebani e la Sacher
di
Valerio Caprara (*)
Exploit se ne sono visti, ma resta precario lo stato di salute del
nostro cinema. L'offerta "d'autore" vivacchia ai margini dei festival,
contando sulla protezione del solito clan di cinefili talebani e
rinunciando a priori ad una presenza significativa nel mercato. I vari
Tozzi, Cerri, Procacci, Totti e Corsi cercano anche d'affrancarsi dalla
funzione di combinatore d'affari, che sembra assegnata d'ufficio ai
produttori indipendenti, ma, se il modello deve essere quello
super-ideologico della Sacher, stiamo freschi. Allargando lo sguardo, i
primi passi di un vero internazionalismo industriale, per competere con
i prodotti Usa, dovrebbero essere quelli di abolire la commissione
governativa e i suoi equivoci attestati di "opera d'interesse
culturale"; di ridisegnare un meccanismo di finanziamenti (in conto
interessi e non in conto capitale) e agevolazioni fiscali che attiri
nuovi investitori e obblighi a reinvestire in attività cinematografiche
i premi per i migliori incassi; di promulgare, infine, misure
strutturali e regolamentari che riformino la distribuzione. In quanto
alla creatività e al talento, possiamo solo sperare che si facciano
avanti registi e sceneggiatori interessati (come in Francia) a catturare
e reinventare l'avvincente imprevedibilità dell'universo mondo anziché a
guardarsi l'ombelico o a sdilinquirsi in marce o girotondi.
(*) critico e docente di Storia e critica del cinema.
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