Visconti e la simulazione
storica
di
Jean Baudrillard (*)
La storia è il nostro referente perduto, cioè il nostro mito, e come
tale prende il posto dei miti sullo schermo, dove arriva a titolo
postumo, anche se le è accaduto di apparirvi come tempo forte, come
processo attuale: come insurrezione e non come resurrezione. Nel "reale"
come nel cinema, c'è stato infatti qualcosa che fosse storia, ma ormai
non c'è più. La storia che oggi ci viene "restituita" (proprio perché ci
è stata presa) non ha rapporti con un reale storico, più di quanti ne
abbia avuto in pittura il neofigurativismo con la raffigurazione
classica del reale. Il neofigurativismo è stata un'invenzione della
rassomiglianza, ma contemporaneamente è stata la prova flagrante della
scomparsa degli oggetti nella loro stessa rappresentazione: iperreale.
Qui gli oggetti spiccavano come per ipersomiglianza, come la storia nel
cinema attuale: dunque non somigliano più a nulla, salvo alla figura
vuota della rappresentazione. Gli oggetti non erano più né vivi, né
mortali, perciò erano così precisi, minuziosi, fissi nella posizione
dove li avrebbe colti una brutale perdita di reale. Accadeva così anche
in Novecento di Bernardo Bertolucci o in Barry Lindon di Stanley Kubrick.
Non cito esempi più recenti, perché non vedo più molti film... Ai tempi
di Barry Lindon, si diceva che non fosse mai stato fatto di meglio, ma
in che cosa? Non nell'evocazione. Non era nemmeno evocazione, ma
simulazione, ogni radiazione tossica era stata filtrata, ma c'era ogni
ingrediente, rigorosamente dosato, senza un errore. Piacere freddo,
piacere di macchinazione.
Per cogliere la differenza, non solo nello stile dei registi, ma anche
nell'orientamento dell'azione cinematografica, si pensi invece a Luchino
Visconti: in Senso, nel Gattopardo c'era storia, una retorica sensuale,
tempi morti, un gioco appassionato non solo nei contenuti storici, ma
anche nella regia; mentre Kubrick manipolava il suo film come una
scacchiera, faceva della storia un copione operativo. E non c'è da
risalire all'opposizione fra esprit de finesse ed esprit de géometrie.
Siamo da tempo nell'era dei film privi di senso, delle macchine di
sintesi, a geometria variabile. Qualcosa di simile si avvertiva forse
già nei film di Sergio Leone. Del resto quasi tutti i registi sono
scivolati in questa direzione. Non è stata, non è questione di
perfezione: la perfezione tecnica può essere messa al servizio del
senso, può farne parte, e in questo caso non è né rétro, né
iperrealistica, ma è un effetto artistico. Oggi, e da decenni, il cinema
- non solo quello italiano - mette tutto il suo talento al servizio
della rianimazione di ciò che ha contribuito a liquidare. Resuscita
fantasmi. E vi si perde.
(*) sociologo.
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