Alla ricerca del viaggio perduto
di Paolo Priolo

Il primo sentimento che scaturisce dalle pagine di “Viaggi intorno al mondo” di Marc Walter, una raccolta ragionata di immagini, didascalie e citazioni letterarie che rievocano centocinquant’anni di esperienze di viaggio, è la nostalgia di un mondo e di un tempo perduti, colmi di fascino, esotismo e voluttà. Un mondo e un tempo che rimandano a una geografia reale e immaginaria, a una storia sospesa tra verità, souvenir e desiderio. Al rimpianto per un’epoca in cui si raggiungevano o attraversavano i continenti a bordo di lenti piroscafi e treni lussuosi, soggiornando in alberghi da mille e una notte, si aggiunge, però, la consapevolezza che il paradiso evocato risulta tale solo in quanto apparentemente alieno da quella stanca, vituperata, ma irrinunciabile abitudine che porta il nome di turismo. A magnifici luoghi del passato destinati ai viaggiatori, si contrappongono, idealmente, modeste mete odierne assegnate ai turisti. Ma è solo l’effetto, almeno parziale, di un’illusione prospettica, di un miraggio della memoria. Non a caso, i flussi turistici di oggi sono soggetti alle stesse critiche mosse, per esempio, cento anni fa, da Alexander Innes Shand nel suo “Old Time Travel”. Già nel 1903, Shand faceva confronti tra il turismo idilliaco e composto di metà Ottocento e la “plebe viaggiante a buon mercato” del primo Novecento, parlando di luoghi sacri “profanati e degradati a livello di parco dei divertimenti per la massa”. Cinquant’anni dopo, Gerard Nebel indentificava nel turismo “un grande movimento nichilistico, una delle grandi malattie epidemiche dell’Occidente”. Il viaggio turistico nasce come fenomeno collettivo e non individuale, come processo, dapprima elitario e poi socialmente sempre più esteso, di omologazione del tempo libero. Una colpa, questa, che non gli sarà mai perdonata, nemmeno dai vacanzieri più assidui, gregari e omologati.

La data di nascita del turismo, prassi squisitamente occidentale, coincide con la seconda metà del XIX secolo e segna il confine tra un passato in cui i viaggi erano motivati da esigenze politiche, militari, economiche, climatiche e religiose, e un presente che riconosce al viaggio una funzione di crescita intellettuale e spirituale o, più banalmente, di svago. All’origine di una tale idea del viaggio troviamo, si sa, il Grand Tour, l’esperienza romantica, lo spirito inquieto ed errante che attraversa l’Europa tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento. Le opere e le biografie di Thomas Gray e William Wordsworth, Samuel T. Coleridge e George G. Byron, Chateubriand e Ludwig Tieck gettano le fondamenta di quell’idea. E nei decenni successivi, autori come Théophile Gautier, Johann W. Goethe (il cui “Viaggio in Italia” esce nel 1828) e Gustave Flaubert (che pubblica “Salambò” nel 1862) la rendono, ognuno a suo modo, immortale. L’incontro tra gli ideali romantici e il coevo contesto storico fa scattare la molla del turismo. Ai primi dell’Ottocento, la borghesia comincia ad avvertire la necessità di spezzare le abitudini imposte dai ritmi della società industriale, di fuggire da città spesso inospitali, di vagheggiare paesi lontani (possibilmente ad Oriente). Questa spinta, oltre che da una bramosia dell’Altrove stimolata dai romantici, è sostenuta da un incalzante progresso della tecnica (che, attraverso nuovi mezzi di comunicazione, facilita gli spostamenti), da una politica coloniale che rende più familiari e accattivanti spazi e popoli altrimenti sgraditi al viaggiatore medio, e da un inesausto desiderio, tipicamente borghese, di elevazione sociale (in tal senso, Hans M. Enzesberger individuerà correttamente nel grand hôtel il luogo in cui “la nuova classe usurpa dimostrativamente le forme di vita dell’aristocrazia”). 

Nel giro di pochi anni, il turismo segna le sue tappe fondamentali, soprattutto ad opera degli inglesi. Nel 1836 esce il primo “Red Book” di John Murray e nel 1839 viene pubblicata la prima guida di Karl Baedecker, dedicata alla Renania. Sei anni dopo, nel 1845, Thomas Cook inaugura la prima agenzia di viaggi e nel 1860 Edward Kennedy fonda l’Alpine Club. La borghesia assiste con interesse alle spedizioni e ammira le grandi imprese di David Livingstone. Si diffonde così la voglia di raggiungere e visitare luoghi (vette elevate, lidi lontani, città remote) fino a poco tempo prima inviolati o poco conosciuti, nel tentativo di ricalcare, ben al riparo da ogni rischio, senza imprevisti e con tutti i comfort garantiti, le avventure dei primi esploratori, dei pionieri. Il fine è quello di assimilare la giusta dose – minima – di libertà e di sfida, di meraviglia e diletto, visitando tappe obbligate e andando a caccia di souvenir. Una tale concezione del viaggio, con gli opportuni aggiornamenti e le dovute variazioni, giunge fino ai giorni nostri. I sogni e i bisogni che regolano le nostre vacanze non sono molto diversi da quelli delle origini. Che si tratti di un lungo e principesco soggiorno presso il Raffles Hotel di Singapore, ai primi del Novecento, o di un moderno tour in Nigeria o nel Ciad, fatto a bordo di un equipaggiato fuoristrada, i motivi che determinano tali spostamenti sono sempre i soliti e non hanno molto a che vedere con le ragioni che hanno spinto grandi nomi quali Thomas E. Lawrence, Wilfred Thesiger, Paul Morand, Victor Segalen, Freya Stark, Bruce Chatwin, Pierre Loti e Fosco Maraini a conoscere e raccontare altre realtà, altri popoli, altre abitudini, altri mondi. 

Si potrebbe dire che, escluse rare eccezioni, il viaggiatore, dalla metà dell’XIX secolo in poi, si è perso o è diventato irrimediabilmente un turista (magari consapevole, intraprendente e giudizioso). Detto altrimenti, non c’è viaggiatore, forse, che possa non dirsi turista. Lo stesso turismo, dal canto suo, nei decenni, è cambiato. La velocità e la proliferazione delle immagini hanno annullato i confini, e la supremazia della mèta ha soppiantato la rilevanza del mezzo, della via per raggiungerla. Basti pensare a quello che ha rappresentato, almeno fino agli anni Trenta del secolo scorso, l’Orient-Express, il treno sontuoso e leggendario (la cui prima corsa venne inaugurata il 4 ottobre del 1883) che univa Parigi a Costantinopoli e a cui è dedicata una splendida, omonima antologia di testi, più o meno noti, che ne ripercorrono la gloriosa e movimentata parabola (inclusa la memorabile “Ode ai treni di lusso” di Valery Larbaud, oltre a brani classici di Paul Morand, Agatha Christie, Graham Green, Ian Fleming e Guido Milanesi). Oggi un mezzo di trasporto non potrebbe mai esaurire il senso di un viaggio e diventare un venerato oggetto di culto. È rimasta identica, invece, rispetto al passato, l’aspirazione all’evasione, alla fuga temporanea dalla vita borghese. Una fuga che, in assenza di nuovi luoghi da scoprire, ha barattato il culto del viaggio con il mito dello svago, dell’intrattenimento: ageografico e atemporale. Nel migliore dei casi, ancora oggi, si continua a partire per poter vivere, con le parole di Roland Dorgelès, “il domani, l’eterno domani”, per alimentare l’illusione di ritardare la fine dei giorni, perché alla radice di ogni partenza troviamo, secondo Stenio Solinas, “l’insoddisfazione come motore dell’azione, come esorcismo contro la propria finitudine”.

In ultima analisi, le foto e i testi di “Viaggi intorno al mondo” sono lì a testimoniare la nostra difficoltà di immaginare un Altrove diverso da quello, esotico, in cui, nonostante tutto, abbiamo sempre cercato di credere. Un Altrove che non esiste, molto simile a quella geografia idealizzata che Renata Pisu si è impegnata a demolire nel suo “Oriente Express”, facendo piazza pulita di ogni fantasia legata a un Oriente tipico, ideale, lussureggiante e fascinoso. Dal Kuwait allo Yemen, dalla Cambogia alla Mongolia, l’autrice annota stancamente episodi della vita di uomini e donne che abitano in un mondo detronizzato, ibrido, sfrangiato, dove, tra miserie e ingiustizie, con risultati drammatici, “le differenze tra culture svaniscono, e quella che era l’idea dell’Oriente si confonde con l’idea dell’Occidente”.


19 novembre 2003

(Ideazione 4-2003, luglio-agosto)

Marc Walter, Viaggi intorno al mondo, TCI, Milano, 2002, pp. 320, € 60
AA.VV., Le vie del mondo. Orient-Express, TCI, Milano, 2002, pp. 239, € 12,5
Renata Pisu, Oriente Express. Storie dall’Asia, Sperling & Kupfer, Milano, 2002, pp. 245, € 15
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