Le origine del liberalismo contemporaneo
di Stefano De Luca

Riportiamo, per gentile concessione dell’autore, uno stralcio della prefazione al libro di Stefano De Luca “Alle origini del liberalismo contemporaneo. Il pensiero di Benjamin Constant tra il Termidoro e l’Impero”.

La riflessione constantiana sviluppatasi tra il Termidoro e l’Impero segna un momento decisivo per la storia delle idee: essa rappresenta infatti il primo tentativo di ripensare in modo sistematico la teoria liberale, dopo che il terremoto rivoluzionario ha alterato irrimediabilmente i dati del problema politico e istituzionale. Di fronte alla genesi convulsiva della democrazia, il pensiero politico settecentesco appare improvvisamente inadeguato: esso rivela gravi carenze di elaborazione teorica e pratica, soprattutto in relazione ai concetti di libertà e di sovranità popolare. Rielaborando e ridefinendo tali concetti – in primis attraverso la critica a Rousseau – Constant giunge a distinguere nettamente tra la libertà degli Antichi (coincidente con la sovranità collettiva) e la libertà dei Moderni (coincidente con un’ampia sfera di libertà individuali, accompagnate e sorrette dalla libertà politica); egli ne identifica altresì le rispettive “patologie”, vale a dire la collettivizzazione integrale dell’esistenza (insita nel modello giacobino) e la tendenza ad un eccesso di privatismo (sfruttata dal regime napoleonico). In tal modo egli si dota di una straordinaria chiave di lettura per spiegare il dramma della Rivoluzione “liberale”, vale a dire il suo dérapage egualitario-terroristico e il suo epilogo cesaristico. 

Nel pensiero di Constant troviamo così una lucida analisi dei rischi insiti nel principio democratico e la prima critica alle sue mistificazioni, prima che tale principio diventi una forza storica di prima grandezza. Sotto questo profilo, i “Principes de politique” rappresentano, nella storia del pensiero etico-politico, il passaggio obbligato tra lo “Spirito delle leggi” e il “Contratto sociale” da un lato e la “Democrazia in America” dall’altro. E il loro autore dimostra di essere in largo anticipo sui tempi: egli immette infatti nel bagaglio teorico del liberalismo una serie di costrutti teorici la cui fecondità critica si manifesterà appieno solo dopo il 1830, quando – sconfitti definitivamente i “profeti del passato” – si faranno avanti i profeti di una società futura ispirata ad un differente ma speculare disprezzo per la libertà individuale.

Quando Constant scrive che in un regime democratico puro (nel quale la libertà è identificata con la sovranità del popolo) è facile per gli uomini al potere opprimere il popolo come suddito, al fine di forzarlo a manifestare come sovrano la volontà che gli dettano – e aggiunge che per fare ciò è sufficiente terrorizzare individualmente i membri del popolo e in seguito rendere un ipocrita omaggio al popolo nel suo complesso – non si può fare a meno di pensare quanto profetica sia stata la sua analisi e di quali potenti armi concettuali egli abbia dotato il pensiero liberale del XIX e del XX secolo. Per queste ragioni la sua riflessione può essere considerata l’atto di nascita del liberalismo contemporaneo, che dovrà vedersela non più con le teorie tradizionalistico-assolutistiche del potere, fondate sulla religione, ma con le teorie della democrazia pura e con le ideologie totalitarie, imperniate sull’esaltazione di soggetti collettivi come il popolo, la classe e la nazione.

Che il pensiero liberale assuma la sua fisionomia contemporanea soltanto dopo la riflessione di Constant lo si comprende anche dalla trasformazione delle sue basi filosofiche. E’ in questi scritti che si può infatti osservare l’abbandono della fondazione giusnaturalistica, predominante nel liberalismo sei-settecentesco, e l’approdo ad una fondazione di tipo storico ed etico-spiritualistico, che sarà prevalente nel liberalismo ottocentesco e novecentesco. Constant delinea, sin dagli scritti direttoriali, una filosofia della storia incentrata sul progresso delle idee (che presenta forti assonanze con quella kantiana), alla quale affiancherà in seguito una concezione della morale fondata sul sentimento religioso: queste due posizioni filosofiche permettono a Constant di cogliere la storicità (e dunque la relatività) dei fenomeni sociali e politici, ma al tempo stesso di affermare l’esistenza di valori assoluti quali la libertà e l’eguaglianza: questi ultimi nella storia si realizzano progressivamente, soltanto dopo che la ragione (facoltà del perfezionamento) li ha ‘dimostrati’, mentre sul piano etico sono sempre validi e vengono colti tramite il sentimento (facoltà che non varia). Tale concezione filosofica – per quanto non sistematica, né particolarmente originale – è stata trascurata anche dagli interpreti più attenti, i quali hanno spesso compiuto una “reductio ad politicum” di tutto il pensiero constantiano, svalutando l’autonomia della sua riflessione filosofica e il ruolo fondativo che questa svolge nei confronti della teoria politica.

19 novembre 2003

Stefano De Luca, “Alle origini del liberalismo contemporaneo. Il pensiero di Benjamin Constant tra il Termidoro e l’Impero”, Marco editore, Lungro di Cosenza, 2003, pp. 260, € 26
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