I vini del Franco bevitore. Né bianchi né rossi
di Franco Ziliani

Stupidamente negletti, snobbati come vini di “serie B”, da una critica per la quale se i rossi non hanno il colore dell’inchiostro, se non sono iper-concentrati e muscolari, non sono vini, i vini rosati si stanno lentamente, ma inesorabilmente, prendendo la loro rivincita. A tal punto che sul Corriere Vinicolo n°37 del 29 settembre si poteva leggere un articolo intitolato “Boom dei rosé sul mercato inglese”, dedicato al “ritorno in voga” dei vini rosati nel Regno Unito, con un aumento della richiesta, da parte di supermercati e ristorazione, pari al 40%. In Italia, naturalmente, non cambierà nulla per quanto riguarda i giudizi delle guide, che continueranno imperterrite e stolte a “bicchierare” ed incensare più o meno gli stessi vini palestrati di sempre, ma nella graduatoria di gradimento del consumatore, il cui palato si è stufato di ingurgitare blasonate e costose marmellate all’aroma di legno, i buoni rosati d’Italia, che pure non sono pochi, stanno risalendo posizione su posizione.

Il merito, oltre che del loro intrinseco valore, e ad alcune iniziative che si sono svolte quest’anno, come ad esempio il convegno dal titolo “La primavera del Chiaretto e dei Rosati Italiani”, organizzato lo scorso maggio dal comune di Moniga sul Garda - convegno che ha ribadito come i rosati siano vini “incontaminati, da proteggere da ideologie gustative diverse” e che sebbene scarsamente reperibili sugli scaffali i rosati godano in enoteca di una clientela fedele - è stato anche dell’incredibile estate tropicale che abbiamo vissuto in Italia. Con il caldo torrido che ha imperversato dal Piemonte alla Sicilia da giugno a tutto agosto, e data la conseguente scarsa propensione a stappare, anche servendoli più freschi del solito, corposi e strutturati vini rossi, il cui consumo aveva l’indesiderato effetto di rialzare la nostra, già bollente, temperatura corporea, l’unica seria alternativa per chi non volesse giocoforza bere dei bianchi ha finito per essere rappresentata dalla carta dei rosati. 

Un sacco di persone, quest’estate, sebbene inizialmente frenate dallo scetticismo di chi, non conoscendoli bene, era portato ad affrontarli con qualche prevenzione, hanno avuto la bella sorpresa di scoprire che non solo i rosati erano molto migliori di quel che pensassero ma che in molti casi si rivelavano vini di un livello qualitativo ben superiore alla povera cosa che era stata loro prospettata e dipinta, grazie ad un’informazione, fornita da veri “esperti” del tubo, il cui valore lasciamo al lettore giudicare. Questa “scoperta” della loro piacevolezza, della bevibilità, della facilità e duttilità d’abbinamento, ha indotto molti appassionati di vino a cambiare radicalmente idea sui rosati, a ripudiare la loro acritica rinuncia a consumarli normalmente e a confrontarsi con loro, a rammaricarsi della “mancanza di una comunicazione sulla qualità del prodotto e sulle sue caratteristiche qualitative”, a volerne sapere di più.

Ottima cosa questa nuova disponibilità dei consumatori, anche se la vera svolta deve ancora arrivare, oltre che da parte di una stampa più attenta all’autentica “biodiversità” rappresentata dai vini rosati, da un nuovo atteggiamento dei produttori stessi, che devono finalmente dimostrare di credere veramente nelle grandi potenzialità dei rosati. E di conseguenza riservare loro non le uve di scarto, come troppo spesso accade, ma alcune delle migliori selezioni provenienti dai loro vigneti, vinificando i vini in maniera impeccabile e diffondendone un’immagine forte, ben focalizzata, vincente. Sarà questo l’unico modo per impedire che, schiacciato tra le tipologie bianco e rosso, il rosato si riduca ad essere, una bestia misteriosa, che passa spesso inosservata tra consumatori, operatori di mercato e stampa specializzata. Voglio pertanto segnalarvi due vini che danno autentico lustro al panorama dei rosati di casa nostra. Non gli unici rosati che potrei citare (pescando tra Salice Salentino rosato, Montepulciano Cerasuolo, Cirò rosato e altri vini prodotti qua e là in giro per l’Italia se ne potrebbero rintracciare almeno una quindicina di vini), ma due esempi particolarmente significativi che liquidano e mettono definitivamente fuori gioco l’idea, falsa e assurda, che i rosati siano solo dei vinelli per signorine. 

Con questi due grandi vini ci si trova invece di fronte a vini letteralmente dotati di “attributi” enologici, dai colori splendenti, dotati non solo di una fragranza aromatica intensa ed esuberante, ma di una ricchezza di frutto, di una carnosità che non può che entusiasmare. Il primo viene forse dalla migliore azienda produttrice di rosati del Salento, Rosa del Golfo creata dal compianto Mino Calò e oggi condotta da suo figlio Damiano, mentre il secondo, targato Abruzzo e proposto dall’azienda Cataldi Madonna, ha tutti i crismi per lottare, con ottime probabilità di successo, per aggiudicarsi il titolo di miglior Montepulciano Cerasuolo. Conosciamo già tutti e amiamo particolarmente il Rosa del Golfo rosato, ma questa selezione Vigna Mazzì, prodotto solo con le uve, Negroamaro 90% e Malvasia Nera 10%, di un vigneto di circa 40 anni posto in Contrada Mazzì a sud di Alezio, ne è l’ideale amplificazione in termini di intensità olfattiva e di calda ricchezza al gusto, con il suo colore corallo splendente luminoso cerasuolo con leggera vena granato, il naso fittissimo, fragrante, suadente di ribes e mirtilli, dalla stupenda eleganza, e una bocca incredibilmente ricca, polputa e succosa, dotata di grande stoffa, di una struttura tannica importante che non pregiudica in alcun modo la sapidità e la freschezza e che regala una lunga persistenza da grande rosso. Vino prodotto con il sistema tradizionale di vinificazione definito “a lacrima”, con un rendimento di 25-30 litri di vino per quintale di uva, fermentato parzialmente in legno e poi lasciato lungamente ad affinarsi sui propri lieviti.

Grandissimo rosato, ma con il Piè delle Vigne, orgoglio di Luigi Cataldi Madonna, produttore noto anche per i suoi Montepulciano, per un Pecorino Igt Alto Tirino e per un Cerasuolo base davvero piacevolissimo, si va ancora oltre, nel senso di una masticabilità carnosa, di una ricchezza di frutta, di un’esplosione di aromi, consentite dall’uso di mosto fiore di Montepulciano 100% proveniente da un vigneto a guyot di sei ettari posto a 450 metri d’altezza su suoli argilloso calcarei ricchi di scheletro e da una vinificazione esclusivamente in acciaio. Colore rubino cerasuolo luminoso con unghia violacea pimpante, squillante, piena d’energia (una tonalità, a dire il vero, più da vino rosso che da rosato in senso stretto…), il Piè delle Vigne regala un naso fitto fragrante, come un cesto di frutta ben matura, con mirtillo, lampone, ciliegia, ribes, mora di gelso, e poi accenni di fiori di montagna e soprattutto una bocca bellissima, dolce, succosa, di magnifica consistenza e ricchezza, con un frutto croccante a strati, una rotondità viva e non plasticosa. L’alcol, 14 gradi e mezzo dichiarati in etichetta, è perfettamente bilanciato e non prevale mai sul frutto, la freschezza, nonostante lo spessore e l’ampiezza del vino, non ha mai cali di tono e regala un finale lungo, pulito, vibrante, da standing ovation. Solo un “rosato”, anche se con le sembianze di un grande Montepulciano Cerasuolo d’Abruzzo, ma che fantastico vino.

5 novembre 2003

bubwine@hotmail.com


Azienda agricola Cataldi Madonna. Località Piano - 67025 Ofena L’Aquila. tel. 085 4911680 - fax 085 816166. Prezzo: € 8. luigicataldimadonna@tin.it 



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