Ugo La Malfa, le riforme nel realismo 
di Antonio Carioti

Un secolo fa, nel 1903, nasceva a Palermo Ugo La Malfa, figura tutt’altro che facile da classificare secondo i criteri usuali. Uomo di sinistra indefettibilmente legato ai valori antifascisti, ammirava tuttavia la destra storica ed era in continua polemica con il sindacato. Amico sincero degli Usa e di Israele, fermo nel difendere il legame atlantico, si adoperò negli anni Settanta per coinvolgere il partito comunista nell’area di governo. Possono sembrare contraddizioni stridenti, che però trovano una loro spiegazione se inquadrate nel percorso storico, nient’affatto lineare, dell’Italia repubblicana. Collocato su una posizione di cerniera tra gli schieramenti contrapposti, ma non per questo incline agli accomodamenti, La Malfa spese ogni sua energia nel tentativo di promuovere la modernizzazione del paese. Realista e pragmatico, non s’illudeva di rovesciare i rapporti di forza tra il piccolo Pri, di cui era il leader, e i partiti di massa. Riteneva però di poter pungolare questi ultimi con la limpidezza della propria visione politica, mettendone a nudo le insufficienze e sfatandone i miti ideologici, fino a determinare un’evoluzione del sistema politico in senso occidentale.

E' un filo rosso che risulta evidente nell’esaminare i documenti inediti curati da Paolo Soddu – studioso dell’Università di Torino che sta preparando un’ampia biografia del leader repubblicano – e pubblicati nel fascicolo più recente degli “Annali della Fondazione Ugo La Malfa”. Si tratta di appunti e lettere risalenti nella quasi totalità a due fasi che videro un forte impegno dell’uomo politico siciliano per far assumere responsabilità di governo alle forze del movimento operaio: prima i socialisti con il centro-sinistra, poi i comunisti con la solidarietà nazionale. Come spiega Soddu nella sua introduzione, La Malfa aveva accettato, quale dato di fatto duraturo, l’egemonia democristiana, rifiutata invece con sdegno e combattuta aspramente da molti suoi ex compagni azionisti. Ma della Dc non aveva una buona opinione. Quindi puntava le sue carte nella sinistra, cui additava come esempio da seguire le esperienze delle socialdemocrazie nordiche e del laburismo britannico. Consapevole della fragilità di cui soffriva la democrazia italiana, non pensava affatto, contrariamente al suo antagonista repubblicano Randolfo Pacciardi, che fosse possibile porvi rimedio con una radicale riforma delle istituzioni. Riteneva al contrario che non vi fosse salvezza se non nel sistema cui si dovevano la Repubblica e la Costituzione. 

Le speranze di La Malfa andarono deluse: il centro-sinistra si arenò nell’inconcludenza; il Pci di Berlinguer si ritrasse di fronte alla prospettiva di un chiaro approdo a Occidente; comunisti e socialisti avrebbero finito per logorarsi reciprocamente in una guerra infinita; i partiti storici sarebbero crollati ingloriosamente sotto il peso dei loro errori. Definire il leader repubblicano "uno sconfitto", come scrive Soddu, è ineccepibile. Ma lo è altrettanto aggiungere che "non fu un vinto". Le forze in cui La Malfa aveva confidato si dimostrarono inadeguate, ma molte sue battaglie restano attuali. Persino il richiamo all’austerità aveva un senso profondo, tutt’altro che pauperista o penitenziale. Se infatti la via italiana al benessere si è fondata sull’espansione dei consumi individuali a scapito dei servizi pubblici, sempre criticata da La Malfa, oggi ci accorgiamo che le carenze del nostro paese in materia di formazione, ricerca e infrastrutture sono una micidiale palla al piede per lo sviluppo. Anche se nel frattempo l’Italia è profondamente cambiata, riflettere sui moniti lamalfiani non è dunque oggi un esercizio sterile.

5 novembre 2003

Appunti inediti di Ugo La Malfa, “Annali della Fondazione Ugo La Malfa”, Volume XVII - Roma 2002, pp. 281
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