Libri. Trasformismo addio
di Paolo Armaroli

Nella storia d’Italia non è stato né un accidente né una maledizione. Più semplicemente – come avverte Giovanni Sabbatucci in un lucido saggio ad esso dedicato – è stato un modo di governare dettato dallo stato di necessità. I nostri uomini del Risorgimento e del post-risorgimento conoscevano perfettamente le istituzioni britanniche e ne ammiravano i pregi. Ma loro furono costretti ad agire diversamente in quanto la cittadella governativa fu sempre assediata da opposizioni di destra e di sinistra percepite a torto o a ragione come antisistema. Si spiega così il connubio di Cavour con il centrosinistro (allora era maschile) di Rattazzi, che aveva tra l’altro il vantaggio di affrancare in qualche modo il presidente del Consiglio dall’occhiuta vigilanza di Vittorio Emanuele II. Così si spiega il trasformismo inaugurato nel 1882 da Depretis, che a sua volta si era trasformato in un paio di occasioni a dritta e a manca, dopo tutto, non si comportò in maniera diversa Giolitti, uno statista che non si faceva molte illusioni sulla natura umana. Minghetti, che cede alle lusinghe di Depretis, così si giustifica in un discorso pronunciato alla Camera il 12 maggio 1883: "Ma oggi dov’è la bandiera, dov’è il principio che ci separa?". E il 19 maggio dello stesso anno, sempre alla Camera, Depretis dirà: "Sono persuaso che le condizioni in cui ci troviamo adesso, sono non solo eccezionali ma eccezionalissime e la regola generale non può applicarsi". La regola generale, com’è chiaro, sarebbe quella di una netta divisione tra destra e sinistra.

Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana le cose in sostanza non cambiano. Certo, dopo il trionfo democristiano del 18 aprile 1948 la prima legislatura dà l’impressione che a calcare la scena sia un bipartitismo all’inglese: di qua il centro degasperiano, di là i socialcomunisti. Ma anche a prendere per buone le apparenze, questa stagione dura poco. Con le elezioni del 1953 la formula centrista perde smalto e il centrosinistra diventa ineluttabile. Così come, molto tempo dopo, sarà giocoforza addivenire al pentapartito. Tutte operazioni più o meno trasformistiche, osserva Sabbatucci. Perché si fanno entrare nell’area governativa e perciò si legittimano (si pensi alla solidarietà nazionale) forze politiche di opposizione considerate in un primo tempo antisistema. Tutto cambia in quest’ultimo decennio. Per usare l’immagine di Giovanni Sartori, il triciclo destra-centro-sinistra viene relegato in soffitta e la bicicletta del bipolarismo scende in pista. Merito del referendum del 1993 e della conseguente legge elettorale per tre quarti maggioritaria. Ma – osserva Sabbatucci – merito anche di Silvio Berlusconi che nel vuoto creato da Mani Pulite inventa un partito di sana pianta, si allea con Fini e con Bossi, dando loro quella patente di legittimità che gli era stata negata in precedenza, e vince contro ogni previsione le elezioni del 1994. Il “ribaltone” rischia di strangolare il bipolarismo nella culla. Ma nel 1996 destra e sinistra tornano a confrontarsi ad armi pari. 

E, particolare sul quale giustamente Sabbatucci si sofferma, vince quel centrosinistra che era già al potere. I poli, si sa, sono tutt’altro che stabili. E per un punto, cioè per un solo voto di scarto, a un certo momento Martin Prodi perde la cappa. Gli succedono D’Alema e Amato, che hanno il peccato originale di non essere investiti da un voto popolare. Nel 2001, per la prima volta nella storia d’Italia, abbiamo una vera e propria alternanza al potere. L’Ulivo va all’opposizione e il centro-destra torna dopo sette anni al governo. Il guaio è che tutto è a posto e nulla in ordine. Perché, rileva Sabbatucci, abbiamo sì un bipolarismo. Ma questo benedetto bipolarismo è polarizzato in quanto gli ultras delle due coalizioni contrapposte sono "inclini a porre in discussione la stessa legittimità, morale prima che politica, dello schieramento avverso". In questo clima c’è chi pensa che un ritorno al sistema proporzionale, eventualmente corretto da una clausola d’esclusione e/o da un premio di maggioranza, sia una ricetta salvifica. Non la pensa così Giovanni Sabbatucci, che arriva a concludere: "L’introduzione del maggioritario, ancorché corretto, ha comunque cambiato le regole del gioco, ha rovesciato la logica del vecchio sistema, restituendo agli elettori la possibilità di scegliere governo e maggioranza e introducendo per la prima volta nella storia d’Italia la pratica dell’alternanza". Parole che personalmente ci sentiamo di sottoscrivere dalla prima all’ultima.

5 novembre 2003

Giovanni Sabbatucci, Il trasformismo come sistema, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 130, € 14,00


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