I vini del Franco bevitore. Capannino, il
gusto di Maremma
di Franco Ziliani
Lo so bene che occorre andare cauti con gli allarmismi e con le
previsioni più fosche, ma lucidità d’analisi impone comunque di
affermare che il mondo del vino italiano, per la prima volta dopo
vari anni, sta vivendo un momento, se non di vera e propria crisi,
di grossa difficoltà. Il problema prezzi esiste, eccome. Non si
tratta dell’allarme lanciato ad arte da una fetta di filiera
interessata e neppure dai soliti piagnoni per vocazione. Gli
scricchiolii del mercato si fanno sempre più sinistri e l’onda
lunga del successo ha seriamente rallentato la sua corsa. Questo
non significa che i produttori italiani non dovranno più nutrire
la legittima ambizione di realizzare vini importanti, e di
venderli a prezzi remunerativi che producano utili e la
possibilità di continuare ad investire in vigna e cantina in
ricerca e sperimentazione, ma se il momento delle “vacche grasse”
volge al termine, forse, invece di continuare a puntare
esclusivamente su vini griffati che costano un occhio della testa
e che si acquistano e stappano semel in anno, (proprio
quando…licet insanire…), sarà opportuno anche mettere in cantiere
vini più confidenziali e ragionevoli, soprattutto nel prezzo, che
mantengano un legame non episodico con il consumatore.
Questo tipo di ragionamento, ne sono persuaso, non è semplice,
soprattutto nel caso di zone che non possono contare su una lunga
tradizione produttiva e dove gli investimenti, massicci e senza
risparmio di mezzi, sono stati fatti, considerando il momento
magico eterno, per tentare di inserirsi nella scia del successo di
alcuni vini simbolo, e non certo per vendere ad un prezzo che
fosse solo la metà o un terzo rispetto a quei vini. Pensando alla
Maremma e all’area di Bolgheri, per citare la prima e più
emblematica di queste zone, dove sono sbarcati, come cercatori
d’oro in campo vinicolo, personaggi dalle più disparate
provenienze, (ultima della serie la casa spumantistica bresciana
Guido Berlucchi), sono preso da un grande imbarazzo, nel vedere
tanti nuovi impianti in zone emergenti che a breve dovranno
affrontare il mercato, restando combattuti tra l’ammirazione per
un nuovo progetto imprenditoriale toccato dalla magia del vino e
la convinzione della necessità di una strategia di marketing più
orientata al realismo, e forse anche all’umiltà.
Certo, il Sassicaia, che è il Sassicaia, si vende a 100 euro
(anche se alla tenuta San Guido quest’anno hanno deciso di mettere
in commercio un terzo vino dal prezzo ben più moderato, dovrebbe
chiamarsi Le Difese, questa volta a base di Sangiovese, 80-90 per
cento più un pizzico di Cabernet, 7-8 mila bottiglie, vendute con
discrezione solo nella zona di Bolgheri e dintorni) l’Ornellaia a
60, il Guado al Tasso e altri vini a 40, ma quale destino toccherà
ai vari Super Tuscan base Cabernet, Merlot, Syrah ecc. che i nuovi
arrivati in Maremma stanno producendo, se i mercati che quei vini
si sono sinora contesi, e che li hanno fatti diventare dei miti
enologici, oggi dicono a chiare lettere che di acquistare vini a
30, 40 e più euro, per di più nuovi o di recente storia, anche se
targati Bolgheri e dintorni, oggi non hanno più alcuna intenzione
? Che fine faranno quei mega-investimenti, quelle illusioni, quei
sogni di fare business enologico in questa terra promessa ?
Interrogativi inquietanti, che stanno però inducendo gli
imprenditori più svegli e più attenti a quel che accade a prendere
decisioni importanti. E non facili.
E’ questo il caso, ad esempio, in un angolo di Maremma che da
Bolgheri dista solo 25 chilometri e che per poco è ancora in
provincia di Pisa e non in quella di Livorno, del Castello del
Terriccio, (www.terriccio.it), che io considero una delle tenute
in assoluto tra le più belle ed emozionanti che abbia avuto modo
di visitare in Italia e all’estero. Il Terriccio, che pure deve la
sua fama a due magnifici esempi della raffinatissima tecnica
enologica del suo super consulente Carlo Ferrini, il Lupicaia ed
il Tassinaia, e pur essendosi collocato, con questi due vini di
fascia altissima o alta, nel segmento top del mercato, quest’anno
non ha avuto alcun timore di turbare e tanto meno contraddire la
sua immagine di azienda da “happy few”, affiancando ai suoi due
classici rossi un nuovo vino che rispecchia in tutto la filosofia
produttiva della Tenuta, ma che esce sul mercato ad un prezzo
notevolmente inferiore, ovvero, tenetevi forte, intorno ai cinque
euro.
In verità per il Capannino, il nome del vino, non si dovrebbe
parlare di novità in senso assoluto, perché un rosso con questo
nome è stato prodotto fino al 1997, utilizzando il Sangiovese
proveniente dai vigneti più vecchi, ma la sua ripresa, dopo anni
di stand by, è stata decisa, con una valutazione che testimonia
l’intelligenza e la lucidità del team formato dal proprietario
della tenuta, il conte Gian Annibale Rossi di Medelana Serafini
Ferri, il consulente Carlo Ferrini e il direttore Carlo Paoli,
qualche tempo dopo la vendemmia 2002. A fronte della decisione di
saltare, senza esitazioni, per carenza degli standard qualitativi
indispensabili, l’annata 2002 del Lupicaia e di ridurre a circa 60
mila bottiglie (contro le 115.000 del 2000) la produzione del
Tassinaia, si è pensato che gran parte del Sangiovese proveniente
dai nuovi impianti messi a dimora, con cloni di Sangiovese di
Montalcino, a partire dal 1998, e una piccola percentuale (10-15%)
del Cabernet e del Merlot normalmente utilizzato per i due rossi
importanti, e un pizzico di Syrah, potessero fornire l’ossatura di
un vino dall’appeal più facile, che completasse la proposta della
Tenuta.
Un vino dall’appeal facile, di piena dignità espressiva e
continuità produttiva, interamente fermentato e affinato in
acciaio, prodotto per ora in ventimila esemplari, ma con
l’intenzione di arrivare a 60.000 bottiglie. Nato con una voglia
dichiarata di piacere, di farsi bere senza troppe discussioni, il
Capannino mi ha convinto in pieno perché testimonia come anche nel
regno dei vitigni bordolesi e delle altre varietà francesi che
sono state introdotte da poco (Syrah) o sono in corso di
sperimentazione in zona, il grande Sangiovese toscano abbia la
possibilità di difendersi, anzi di dire la sua, senza alcun
complesso d’inferiorità. Colore rubino brillante luminoso,
pimpante, mostra una bellissima dolcezza e fittezza aromatica, un
fruttato plastico, caldo, rotondo che richiama la ciliegia e si
completa con note fresche di pepe nero, macchia mediterranea,
mazzetto odoroso.
Certo, in bocca non ha la potenza, la carnosità succosa e
masticabile del Tassinaia 2000, e la grande stoffa, la fittissima
trama di tannini levigati del Lupicaia 2000, che una volta
affinato con calma in bottiglia diventerà davvero un capolavoro
nel suo genere, ma quale piacere, in un vino di Bolgheri e
dintorni, sentire il frutto esprimersi, sapido, vibrante, fresco,
godibile, pieno di allegria grazie ad una fresca acidità, senza
l’intervento del legno, la cui azione, anche se effettuata con le
più nobili intenzioni e con la dichiarata volontà di dare
importanza, spalla, struttura al vino, si configura troppo spesso
come un elemento di disturbo. Non prenderà di certo “tre
bicchieri” e 95/100 da Parker e Wine Spectator, questo pimpante
Capannino del Terriccio, ma la simpatia e la gratitudine dei
semplici appassionati del Sangiovese come me, e l’affermazione
dovuta al fantastico rapporto prezzo-qualità, sono assicurate.
Castello del Terriccio, Località Terriccio 56040 Castellina
Marittima (PISA). Tel. 050-699709 Fax 050-699789. www.terriccio.it
E-mail info@terriccio.it - Prezzo 5 euro
bubwine@hotmail.com |