Il maestro personalista di Russell Kirk
di Marco Respinti

La tradizione di pensiero che nella seconda metà del Novecento statunitense è stato definita conservative, considera generalmente lo storico delle idee Russell Kirk (1918-1994) un padre e un maestro. Le ricadute anche politiche di questa tradizione dopo gli anni Cinquanta hanno quindi generato quello che comunemente viene definito movimento conservative. Tuttavia, questa definizione generale, quando non generica, ancorché possegga una propria ragion d’essere (soprattutto nella misura in cui, più che definire, indica l’impatto politico avuto dal conservatorismo sulla società statunitense), non permette d’acchito di apprezzare e di valutare le notevoli, e talvolta profonde, differenziazioni che corrono – in certe circostanze addirittura dividono – anime e correnti di un mondo notevolmente variegato e stratificato. Senza entrare in questa sede nel merito specifico delle distanze (a volte dei contrasti) fra conservatori tradizionalisti, “Old Right” pre e post-bellica, new conservative, “New Right”, neo-conservatori, libertarian, paleolibertarian e paleo-conservatori1, occorre prendere storiograficamente atto della paternità del pensiero conservatore post-bellico – sovente definito in termine di vera e propria “rinascita” – attribuita ai “sei canoni” della forma mentis conservatrice con cui Kirk apre il suo magnum opus del 1953, ovvero The Conservative Mind: From Burke to Santayana (presto ampliato in From Burke to Eliot).

All’epoca, Kirk e un pugno di altri pensatori, protagonisti (seppur in modi e per vie diverse) di una vera e propria riscoperta teoretica – ma anche politica – della tradizione giusnaturalista classica e cristiana, furono giornalisticamente definiti “new conservative” per distinguerli da quel mondo della “Old Right” prebellica che aveva fatto soprattutto dell’isolazionismo e di quello che sempre più coscientemente verrà definendosi come Libertarianism la propria filosofia portante. L’enfasi di Kirk e dei new conservative cadeva infatti maggiormente sull’importanza del rispetto della tradizione quale fonte normativa principe dell’agire sociale, culturale, addirittura politico.

Significativamente, il percorso culturale del conservatorismo anglo-americano descritto da Kirk in numerose opere costruite sullo “zoccolo duro” di The Conservative Mind – un percorso, dunque, che lo storico delle idee indica come paradigmatico alle generazioni future – abbraccia due secoli, ma si occupa ben poco di autori contemporanei, o, più precisamente, di “colleghi conservatori”. Questo, con rare eccezioni: una delle quali è costituita da Richard M. Weaver (1910-1963). Kirk lo afferma esplicitamente in un testo breve della fine degli anni Ottanta, elencando le dieci figure “di formazione conservatrice che hanno influenzato il mio pensiero nel corso del tempo”. Weaver è la nona (la decima è la scrittrice Freya Stark [1893-1993], il solo altro “collega”). La scelta d’indicare, fra i “colleghi conservatori”, praticamente solo Weaver riveste, nell’economia generale del pensiero kirkiano, un’importanza certo straordinaria, soprattutto se si considera che le otto figure “di formazione conservatrice” che lo precedono rispondono (in ordine di citazione) ai nome di Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.), Marco Aurelio Antonino (121-180), Samuel Johnson (1709-1784), Sir Walter Scott (1771-1832), John Randolph di Roanoke (1773-1831), Nathaniel Hawthorne (1804-1864), Theodore Roosevelt (1858-1919) e Joseph Conrad (1857-1924).

Fu discepolo culturale del pensatore e statista angloirlandese Edmund Burke (1729-1797) per l’arco di una vita intera, tanto che il conservatorismo tradizionalista kirkiano può ben essere definito da un lato una glossa e una ricerca di applicabilità continue del pensiero burkeano, dall’altro la descrizione del fil rouge burkeano lungo la storia delle idee degli ultimi due secoli; amico e “allievo” di Thomas Stearns Eliot (1888-1965), ammiratore profondo e acuto del filosofo libertarian Albert Jay Nock (1870-1945), che instillò nel suo animo di agnosta un’austera forma di stoicismo, remotamente propedeutica alla sua conversione al cattolicesimo nel 1964 e che con Kirk intrattenne anche uno scambio epistolare. Kirk è decisamente figlio del pensiero di Weaver. Proprio Kirk e Weaver, assieme al sociologo Robert A. Nisbet (1913-1996) e allo storico Peter Viereck (1916-1997), costituiscono, del resto, il nerbo teoretico di quei new conservative che, certo diversi dalla “Old Right” pre-bellica (isolazionista e libertarian), nondimeno se ne sentivano in certa misura eredi, tanto da costituire una vera e propria – se a questo punto non si rasentasse il paradosso linguistico – nuova “Old Right”, ovvero quella che è stata definita “Old Right” post-bellica.

All’origine della “rinascita” conservatrice del secondo dopoguerra, del resto, vi è la pubblicazione di tre volumi “di fondazione”: il succitato The Conservative Mind kirkiano nel 1953, The Road to Serfdom di Friedrich A. von Hayek (1899-1992) nel 1944 e Ideas Have Consequences di Weaver nel 1948, un assortimento che suggerisce la grande diversificazione presente all’interno della “Old Right” post-bellica, ma che pure indica la possibilità non solo di una convivenza, ma addirittura di una compenetrazione fra tradizionalismo e Libertarianism, non sempre storicamente realizzatasi ma di per sé non impossibile. Come peraltro riteneva lo stesso Weaver, pubblicando nel 1960 il saggio breve Conservatism and Libertarianism: The Common Ground. Anzitutto, Kirk riconosce a Weaver il merito di aver rintracciato e descritto le radici profonde della mentalità progressista (in inglese Liberalism), quindi di averne mostrato le caratteristiche filosofiche costanti e l’itinerario rivoluzionario a far data da quello che lo storico olandese Johan Huizinga (1872-1945) definirebbe “autunno del Medioevo”. In secondo luogo, e di conseguenza, il padre del conservatorismo statunitense della seconda metà del Novecento si mostra debitore nei confronti di Weaver quanto al concetto di “ordine”. Ordine da cercare, venerare difendere e ricostruire proprio perché costantemente minacciato dal suo opposto, la sovversione del disordine. 

E’ anzitutto un ordine morale, interiore, quello che Kirk mutua da Weaver, con lui spingendosi fino ad affermare la fragilità di ogni ordine socio-politico (outer order) che non sia anzitutto fondato appunto su un inner order. L’idea di quest’ordine – attorno a cui Weaver magistralmente pubblica, nel 1964, il volume Visions of Order: The Cultural Crisis of Our Time, significativamente ripubblicato nel 1995 con una premessa di Kirk – diviene infatti l’emblema distintivo dell’intera riflessione kirkiana, continuamente alla ricerca di esponenti di quel “partito dell’ordine” che non ha tessere né iscritti, ma solo testimoni e paladini. Ne è testimonianza una delle opere kirkiane più ponderose, Le radici dell’ordine americano, del 1974, il cui incipit – il primo capitolo – s’intitola, riprendendo una suggestione di Simone Weil (1909-1943), “L’ordine il primo dei bisogni”.

Weaver, del resto, è stato un grande interprete contemporaneo della filosofia di Platone. E per Platone – come suggerisce Eric Voegelin (1901-1985) in questo spesso citato da Kirk – l’ordine sociale è solo il riflesso dell’ordine dell’anima. Di fronte allo sfascio prodotto dalla politicizzazione ideologica e spersonalizzante della sfera sociale, Weaver lo riafferma con forza, decisione e rigore all’inizio del secolo XX. Kirk ne raccoglie il testimone. La società non è altro che l’essere umano scritto maiuscolo: forse era implicitamente, incoscientemente platonica la famosa (e oramai proverbiale) affermazione del premier Conservatore britannico Margaret Thatcher secondo cui non esiste la società, ma esistono solo le persone. Il movimento conservatore statunitense postbellico è nato figlio dell’ordine morale, ma nel corso degli anni ne ha talora smarrito la memoria. Oggi, assieme agli outsider “paleoconservatori”, sono alcuni esponenti del pensiero libertarian – i cosiddetti paleolibertarian – a ricordarlo. Weaver aveva visto giusto sin dagli anni Sessanta.

26 settembre 2003

(da Ideazione 3-2003, maggio-giugno)
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