La rinascita del “pensiero sudista”
di Thomas E. Woods jr

Con Russell Kirk e Robert Nisbet, Richard Weaver è stato uno degli intellettuali che hanno esercitato maggiore influenza sulla rinascita del “pensiero sudista” nell’America del dopoguerra. Professore di inglese all’Università di Chicago, Weaver era anche uno studioso della storia del Sud, e la sua difesa della civiltà sudista era così elegante e ricca d’intuizioni che gli storici continuano ad approfondire e a discutere il suo lavoro ad oltre quarant’anni dalla sua prematura morte. Nonostante sia disprezzato in certi circoli alla moda, il Sud, Weaver ne era certo, possedeva quelle intuizioni e quella saggezza che un mondo vieppiù sedotto dalla socialdemocrazia (quel che in America si chiama liberalism) ha dimenticato a suo rischio e pericolo.

Nel 1830, uno dei più famosi dibattiti della storia politica americana ebbe luogo fra Daniel Webster, senatore del Massachusetts, e Robert Hayne, senatore del South Carolina. Weaver analizza il dibattito nel suo saggio “Two Orators”, e molto di ciò che secondo lui separava Nord e Sud politicamente, culturalmente ed ideologicamente affiorò in superfice in questo celebrato scambio. Innanzi a una camera senatoriale gremita e rapita, i due uomini si produssero in un totale di cinque discorsi, nei quali esaminarono la natura dell’Unione americana. Secondo Hayne, l’Unione era formata da Stati americani distinti, che nella loro capacità di sovrani aveva scelto di porre in essere un governo federale acciocché esso agisse a loro nome in pochi, chiaramente specificati, frangenti. Le conseguenze politiche di questa posizione erano palesi. Ne discendeva che gli Usa erano composti di comunità politiche indipendenti e sovrane, le quali mantenevano tutti i poteri non esplicitamente delegati al governo federale, e che in quanto Stati sovrani potevano, attraverso la secessione, riavocare a sé i poteri delegati a quel governo. Che la posizione di Hayne avesse dei meriti era evidente nella costruzione grammaticale di cui la gente comunemente faceva uso per riferirsi agli Stati Uniti: the “United States are,” piuttosto che “the United States is” - si utilizzava, cioè, il plurale. Webster, d’altro canto, sosteneva che l’Unione fosse formata dall’intero popolo americano come aggregato. 

Nella concezione di Webster, dunque, la secessione (e il metodo meno estremo di resistenza all’azione federale incostituzionale noto come nullification) era metafisicamente impossibile. L’Unione non era, da nessun punto di vista, una confederazione di Stati, ma piuttosto un invisibile tutto. Weaver ha osservato sovente come il tipico sudista fosse davvero una persona legata alla dimensione più locale della sua vita, devota al suo particolare appezzamento di terreno e scettica nei confronti di autorità remote o di grandiosi schemi politici – ed egli percepiva questo attaccamento alla dimensione locale nei commenti di Hayne di fronte al Senato. L’argomentazione storica di Hayne, scriveva Weaver, “era dedicata alla giusta affermazione che gli Stati Uniti erano stati fondati primariamente per assicurare le benedizioni della libertà. Per Hayne la chiara implicazione che ne discendeva era che la libertà abbisognava dell’indipendenza e della dignità delle parti che componevano l’Unione, con attenzione e disposizione locale degli affari locali. In quello che a molti parve un eccesso di particolarismo, egli si oppose a miglioramenti locali quando finanziati coi fondi del governo centrale. Eppure, se lo guardiamo con gli occhi della coerenza, Hayne non stava che affrontando ed accettando il prezzo della libertà. La libertà è qualcosa che si raccoglie intorno al cuore, è radicata nelle associazioni locali, e rende caro a un uomo il luogo in cui vive”. 

Questo problema può anche essere letto in un’altra ottica: l’Unione americana era semplicemente un mezzo per ottenere un fine, o un fine in se stessa? Per Webster una nazione era “qualcosa che riempiva l’orizzonte politico, una creazione che tendeva a determinare la sua stessa giustificazione, e per la quale il sacrificio dei diritti locali era appropriato”. Ma per Hayne, una nazione “era un mezzo verso un fine più alto, non una struttura auto-glorificantesi che migliora nel momento in cui cresce di dimensioni e guadagna in autorità per far uso di una maggiore coercizione”. Questo era il problema fondamentale in discussione nel pensiero politico americano durante il Diciannovesimo secolo.

La critica al giacobinismo

Nonostante la testimonianza della storia fosse chiaramente dalla parte di Hayne, anziché da quella di Webster, i cui voli pindarici retorici tendevano più verso il mistico che verso lo strettamente storico, fu la visione di quest’ultimo a uscire vincitrice dai campi di battaglia della guerra civile. Weaver osservava con dolore che “in qualche momento, lungo il cammino degli eventi, la teoria, tipica della Rivoluzione francese, del popolo come tutt’uno, che ha come conseguenza il fatto che si governi nell’interesse di questo tutto, senza alcuna restrizione al potere politico, è filtrata all’interno del pensiero politico di alcuni americani… La “democrazia spuria” della rivoluzione francese, come l’avrebbe chiamata Lord Acton, che mette il potere e il dominio al di sopra dei diritti locali e delle istituzioni autoctone, ha perpetuato la propria influenza lungo il Diciannovesimo secolo e ha profondamente alterato il carattere dell’Unione americana”.

Un altro aspetto del temperamento sudista che Weaver identifica è che esso non è utopista. Quando, attorno alla metà del Diciannovesimo secolo, i nordisti stavano costruendo quelle che si chiamavano “comunità utopiche” – nelle quali non ci sarebbe stata proprietà privata, o matrimonio, o qualsiasi altra cosa – il sudista scuoteva la testa. Il sudista, disse Weaver, “accetta l’irrimediabilità di un certo ammontare di male e prova a contenerlo invece di tentare di batterlo e finire per diffonderlo. Il suo è il classico riconoscimento della dimensione tragica della vita umana, e dei limiti del potere”. Weaver sottolineava come una mentalità di questo tipo fosse totalmente incompatibile con un altro tipo di carattere, con il quale noi tutti abbiamo fin troppa familiarità. Quest’altro tipo di carattere è “infelice a meno che non abbia la sensazione di trasformare il mondo. Egli può parlare molto di tolleranza, ma per lui la tolleranza non è che un esponente del potere. La sua tolleranza tollera soltanto l’idea dogmatica della tolleranza, come chiunque può imparare andando a conoscere da sé il moderno socialdemocratico umanitario”. 

Nonostante naturalmente ammettesse l’esistenza di eccezioni, sono questi due impulsi, suggeriva Weaver, che raccontano le due parti dell’Unione (quale di queste due tendenze sia finita per prevalere è evidente da uno sguardo alla politica estera americana di oggi). Lungo il corso della storia americana, molti hanno voluto rafforzare il governo centrale e indebolire l’indipendenza degli Stati col pretesto di suscitare questo o quell’esito sociale, che dipingevano come desiderabile. Questa tendenza si è manifestata in molte forme. Nel 1954, agli Stati del Sud veniva detto che essi avrebbero dovuto avviare la de-segregazione razziale delle proprie scuole. Nel 1957, le truppe federali venivano usate contro una scuola superiore di Little Rock, Arkansas, che aveva sfidato il governo federale. 

Nel 1960, agli Stati del Sud venne detto che la de-segregazione non era più sufficiente: essi avrebbero dovuto dare avvio ad un’attiva integrazione delle razze. Risolversi semplicemente a dare ai genitori la possibilità di scegliere una scuola o l’altra per i propri figli non bastava più, sostennero gli ideologi, dacché essi avrebbero potuto scegliere di seguitare a mandare i propri figli in una scuola aperta a una razza soltanto (come infatti accadde in molti casi). A partire dall’inizio degli anni Settanta, persino gli Stati del Nord che non avevano mai partecipato ad un’aperta discriminazione nei confronti dei neri, si sentirono affidare l’ordine di integrarli forzosamente, nel caso i sistemi scolastici si mantenessero di fatto segregati. La maggioranza dei genitori – bianchi o neri – si oppose a questa intrusione nei loro affari locali. 

Weaver ci aveva messo in guardia circa il fatto che il governo federale, pretendendo di agire in nome della libertà, avrebbe smesso di mantenersi all’interno dei propri limiti. “La strumentalità dell’Unione, con la sua forza centrale ma la sua subordinazione alle parti, è una tentazione per gli assetati di potere di ogni generazione”, egli scrisse. “La forza dell’Unione potrebbe venir esercitata all’inizio in nome della libertà, ma una volta resa monopolistica e inattacabile, essa verrà usata, se la storia ci insegna qualcosa, per altri motivi” . In un altro contesto egli osservò che, quando “l’ideologia socialdemocratica viene applicata alle società”, il risultato è “un’utopia forzosa sostenuta da uno Stato di polizia”. 

L’unico uso che un socialdemocratico sa fare del potere, diceva Weaver, è per distruggere. Chiunque immagini che la socialdemocrazia farà un uso puramente benigno del potere federale si sta raccontando bugie. “Se a questi fanatici “distruttori” viene concesso di compiere il proprio cammino”, mise in guardia, “la prossima cosa a venir messa in discussione sarà tutto lo spirito che informa la american way of life. Le stesse accuse di iniquità innalzatesi contro il modo d’essere del Sud verranno indirizzate contro il capitalismo, la proprietà privata, la famiglia e, alla fine, contro l’idea stessa di individualità”. Una volta la guerra civile fu conclusa e la nazione americana consolidata (nel 1869, la corte suprema descrisse insulsamente la secessione come un atto “incostituzionale”, senza degnarsi di giustificare con qualche prova questa presa di posizione), i portatori di questa mentalità imperiale furono liberi di volgere la propria attenzione all’arena internazionale. Come ha scritto Weaver, “non ci si può fingere sorpresi, quindi, se trent’anni dopo la grande battaglia per consolidare e unificare il potere americano, la nazione inaugurò la sua carriera d’impero. 

Il nuovo nazionalismo mise Theodore Roosevelt, il più arrabbiato difensore dell’Unione, in condizione di camminare impettito e fare lo spaccone davanti ai nostri più deboli vicini, per poi intimidirli direttamente. In ultima analisi, la vittoria nordista ha lanciato gli Stati Uniti nella loro carriera d’impero mondiale, i cui risultati oggi si possono vedere nella coscrizione militare, in montagne di debiti, nella restrizione del dissenso, e altre limitazioni della libertà” lasciataci in eredità dal liberalismo classico.

Regionalismo e indipendentismo

Il Sud americano è stato spesso criticato per la sua lentezza nell’adottare le idee moderne, e per essere troppo poco “progressista”. Ma il Sud al quale Richard Weaver tenta di avvicinarci, per quanto sicuramente imperfetto, possiede alcune delle caratteristiche di un eroe tragico. I sudisti provarono a resistere allo spirito del tempo – quella era, dopotutto, l’epoca delle unificazioni della Germania e dell’Italia – esattamente come tentarono di resistere a una forza militare infinitamente superiore. Opponendo resistenza all’idea di una nazione centralizzata e consolidata, il Sud mantenne viva una concezione pre-moderna dell’autorità politica che riconosceva l’indipendenza e l’integrità delle parti costituenti che andavano a formare la società politica, e che negava l’idea che una singola, irresistibile voce sovrana avesse il diritto di agire senza rispettare i tradizionali diritti locali. (Il Sud era Althusius, il Nord Rousseau). I sudisti sono dunque un’ispirazione per tutti quei popoli che cercano di mantenere vive le culture regionali a dispetto dell’armonizzazione e dell’uniformità imposte dai moderni Stati unitari.

I sudisti certo non potevano sapere quale distruzione senza precedenti, su larga scala, gli Stati centralizzati avrebbero scatenato nel Ventesimo secolo. Ma avendo cercato di resistere alla trasformazione degli Stati Uniti da Repubblica decentralizzata composta di molte giurisdizioni a Stato centralizzato in poco diverso da quello forgiato durante la Rivoluzione francese, essi presero posizione contro quella che si è rivelata una delle istituzioni più distruttive della storia. Non a caso, il professor Donald Livingston della Emory University ha descritto lo Stato moderno precisamente come una delle forze più distruttive della storia. Le sue guerre e rivoluzioni totalitarie sono state senza precedenti quanto a barbarie e ferocia. Ma oltre a ciò, esso ha continuamente sovvertito e continua a sovverire quelle autorità sociali indipendenti e quelle comunità morali sulle quali i monarchi del Diciottesimo secolo non osavano allungare le mani. La sua sovversione di queste autorità, assieme al suo successo nel fornire benessere materiale, ha prodotto un numero crescente di individui senza radici le cui caratteristiche sono l’edonismo, la presunzione, e la mancanza di spirito. Noi siamo arrivati ad accettare espropri, sia materiali che spirituali, da parte del governo centrale che i nostri antenati nel 1776, esattamente come nel 1861, avrebbero considerato inaccettabili. In una simile vena, Weaver cita il lamento di Alexander Stephens, vice presidente degli Stati confederati d’America:

Se il centralismo deve finire per prevalere; se tutto il nostro sistema di libere istituzioni per come è stato costruito dai nostri comuni antenati dev’essere sovvertito, e se un impero dev’essere costruito al suo posto; se questa dev’essere l’ultima scena della grande tragedia che è in corso: allora, è certo, noi del Sud verremo assolti, non soltanto nelle nostre coscienze, ma nel giudizio dell’umanità, dalla responsabilità di una tale terribile catastrofe, e da tutta la colpa di un tale, gigantesco crimine contro l’umanità.

Il Sud, come risultato sia della devastazione che subì durante la guerra civile sia della cristianità ortodossa nella quale credeva, è arrivato a comprendere l’elemento della tragedia nell’esistenza umana, e ha così guardato con grande scetticismo coloro i cui schemi utopici dimenticano sia il senso comune sia l’influenza perniciosa del peccato originale. Non vi è mai stato più bisogno di comprendere quest’importante intuizione di quanto ve ne sia ora, nel momento in cui l’establishment che regge i fili della politica estera americana crede sia ragionevole ricostruire il volto di un’intera regione del mondo, come se le società non fossero che semplici giocattoli da smontare e rimontare a piacimento. In tutto il mondo, movimenti volti alla secessione o alla devoluzione dei poteri abbondano: persino sul territorio dell’Unione Europea di tanto in tanto si sente agitarsi la voglia di secessione. La bandiera da battaglia confederata, condannata dall’ignoranza dei giacobini americani come un simbolo di schiavitù che dovrebbe essere sradicato con la forza da dove si trova, è stata vista sventolare ovunque nel mondo un popolo provi a opporre resistenza alla sua subordinazione a una oppressiva autorità centrale. Queste, alcune delle cose di valore che Richard Weaver ritrovò nella civiltà del Sud, che mostrano perché noi possiamo dire, con il vice-presidente confederato Alexander Stephens, che “la causa del Sud è la causa di noi tutti”.

26 settembre 2003

(da Ideazione 3-2003, maggio-giugno)
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