Libri. Rsi: una storia da scrivere
di Pino Bongiorno

Con la pubblicazione dei verbali del Consiglio dei ministri dell’Rsi, intrapresa dall’Archivio centrale dello Stato e curata da Francesca Romana Scardaccione, si è reso un servizio fondamentale, attraverso l’esame della produzione legislativa nelle “due Italie”, alla comprensione di quello che è stato senza ombra di dubbio uno dei tornanti più tormentati della nostra storia novecentesca. La Repubblica sociale italiana, più conosciuta con il nome di Repubblica “di Salò” dalla città sul lago di Garda in cui doveva risiedere il capo del governo, nasce ufficialmente il 23 settembre 1943. Una settimana prima Mussolini si era incontrato con Hitler in Germania, a Rastenburg, e i due avevano pianificato insieme le mosse successive, in particolare quelle relative allo scacchiere italiano. Per capire le intenzioni del duce in quei giorni è di grande aiuto quanto Göbbels scrive su di lui nel suo Diario intimo, alla data 17 settembre 1943: “Mussolini dapprima intende ricostruire il Partito fascista. Poi, con l’aiuto di questo, vuole iniziare la ricostruzione dello Stato, a cominciare dal più basso gradino amministrativo. A coronare la sua opera, si propone infine di indire una Costituente. Il suo scopo sarebbe quello di deporre la Casa Savoia. Il Duce è ancora un poco esitante su questo passo perché è naturalmente a conoscenza dei forti legami che uniscono gli italiani alla casa reale, e sa che questi legami non possono essere troncati con leggerezza. D’altra parte, le sue misure dipenderanno moltissimo dagli sviluppi militari”. Il 18 settembre, dai microfoni di radio Monaco, Mussolini annuncia di voler instaurare uno Stato “nazionale e sociale”, di “riprendere le armi a fianco della Germania, del Giappone e degli altri alleati”, di preparare “la riorganizzazione delle forze armate attorno alle formazioni della Milizia”, di “eliminare i traditori”, di “annientare la plutocrazia parassitaria e fare del lavoro finalmente il soggetto dell’economia e la base infrangibile dello Stato”.

I verbali del Consiglio dei ministri della Rsi confermano il giudizio storico circa i rapporti intercorsi in quegli anni tra italiani e tedeschi. Infatti sono quasi del tutto assenti le discussioni e le decisioni politico-militari, affrontate e prese altrove, mentre per la sfera amministrativo-gestionale, in cui la sovranità è reale, continuativa, e le interferenze occasionali, abbondano interventi e documenti che ne rendono conto. Nella riunione del 28 settembre 1943, la seconda dell’esecutivo, Mussolini prima riconosce che il governo in carica “ha fra i suoi compiti quello fondamentale di preparare la Costituente, che dovrà consacrare il programma del Partito con la creazione dello Stato fascista repubblicano”, poi dichiara che la Repubblica avrebbe dovuto essere “unitaria nel campo politico, decentrata in quello amministrativo e con un pronunciatissimo contenuto sociale, tale da risolvere la “questione sociale” almeno nei suoi aspetti più stridenti, tale cioè da stabilire il posto, la funzione, la responsabilità del lavoro in una società nazionale veramente moderna”.

Il primo obiettivo però si arena subito. Il progetto costituente viene affidato a Biggini, il ministro dell’Educazione nazionale, che nel Consiglio dei ministri del 16 dicembre 1943 presenta una proposta in cui all’art. 1 si legge che il nuovo Stato avrebbe dovuto essere una Repubblica sociale: Repubblica perché il popolo vi sarebbe stato considerato sovrano e “padrone assoluto dei propri destini”; sociale “perché verranno elaborate provvidenze legislative per tutti, assistenza ai colpiti da grave malattia, mantenimento degli invalidi, pensione nella vecchiaia, distribuzione con giustizia del lavoro e della remunerazione in modo che a nessuno più sarà consentito di vivere sfruttando il suo simile, ciascuno dovrà godere in pieno il frutto del proprio lavoro”. Le condizioni generali del Paese, però, sconsigliano, nelle settimane successive, di affrettare i tempi, con il risultato che le idee sul futuro assetto politico e sociale del popolo italiano avanzate da Biggini vengono procrastinate a “quando l’Italia repubblicana avrebbe ripreso il suo posto di combattimento”, cioè sine die. Circa la “questione sociale” non esistono le stesse remore e l’attività legislativa procede più spedita. Nella seduta del 24 novembre 1943, ad esempio, viene approvato il decreto con cui si costituisce la Confederazione generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti.

Le difficoltà, però, ricompaiono nella realizzazione di quello che, nella seduta programmatica del 28 settembre 1943, è stato indicato come un altro obiettivo essenziale del nuovo Stato, cioè la socializzazione delle imprese. Tarchi, ministro dell’Economia corporativa, e Mussolini sono convinti che il provvedimento sia necessario per ripensare l’economia italiana e contenere l’invadenza tedesca, ogni giorno più forte e intollerabile. Nella riunione dell’11 gennaio 1944 è approvata la cosiddetta “Premessa fondamentale per la creazione della nuova struttura dell’economia” con cui lo Stato “a norma della dichiarazione IX della Carta del Lavoro e dei postulati programmatici del primo rapporto del Partito Repubblicano Fascista di Verona, assume la gestione diretta di aziende che controllino settori essenziali per l’indipendenza economica e politica del Paese, nonché di imprese fornitrici di materia prima o di energia e di altri servizi indispensabili al regolare svolgimento della vita economica del paese”. Le aziende “socializzate” sarebbero state amministrate “da un Consiglio di gestione, eletto da tutti i lavoratori dell’azienda: operai, impiegati, tecnici”. Seguono polemiche roventi, soprattutto fra il ministro Tarchi e l’ambasciatore tedesco Rahn, che non riescono però a impedire l’approvazione del decreto sulla “Socializzazione delle imprese” nel Consiglio dei ministri del 12 febbraio 1944. Il provvedimento suscita diffidenza nel mondo imprenditoriale e ostilità nei settori più politicizzati del movimento operaio (come stanno a dimostrare gli scioperi del mese successivo), mentre la reazione tedesca si limita a chiedere con forza l’esclusione dalla socializzazione delle imprese che hanno interessi in comune con la Germania.

Le “Norme integrative e di attuazione” approdano al Consiglio dei ministri soltanto il 12 ottobre 1944, quando oramai neppure gli stessi promotori del decreto hanno più dubbi sul suo fallimento. Circa due mesi dopo, il 9 dicembre, la crisi in corso ha il suo sbocco nello smembramento del ministero dell’Economia corporativa, da cui nascono il ministero del Lavoro, competente in materia di socializzazioni e affidato a Spinelli, e il ministero della Produzione industriale, rimasto nelle mani di Angelo Tarchi. La delusione di quest’ultimo trapela chiaramente dalle parole della relazione con cui accompagna, nella seduta del 15 febbraio 1945, l’ordinamento dei due nuovi ministeri. Poco più di due mesi dopo la Repubblica sociale italiana sarà spazzata via da eventi che non era in grado di controllare, lasciando però a disposizione del Paese quel “tessuto connettivo” – fatto di strutture, procedure e uomini dell’amministrazione, e sostanzialmente comune anche all’altra Italia – che gli consentirà di ritornare alla normalità in tempi rapidi e senza traumi eccessivi.

20 giugno 2003

Verbali del Consiglio dei ministri della Repubblica sociale italiana, a cura di Francesca Romana Scardaccione, Archivio centrale dello Stato, Roma, 2002, voll. 2.



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