Per la politica, contro le ideologie
di Alessandro Campi

[…] Raymond Aron è stato uno dei protagonisti della cultura europea del dopoguerra, un autentico caposcuola nel campo degli studi politico-sociali e della critica culturale, come dimostra l’esperienza di Commentaire, la prestigiosa rivista francese che ne ha raccolto l’eredità e che attualmente rappresenta una delle tribune intellettuali più autorevoli, non solo in Francia ma su scala europea. Chi è stato, in breve, Raymond Aron? Poco prima della morte, avvenuta nel 1983, un articolista del New York Times, lo ha definito, con un’immagine sgraziata ma aderente alla sua personalità intellettuale, un punto interrogativo ambulante: il dubbio fatto persona, la negazione vivente di ogni sistema, l’avversario implacabile delle ideologie totalizzanti e chiuse. 

In effetti, per circa cinquant’anni Aron ha calcato la scena culturale seminando interrogativi, sollevando problemi, proponendo analisi e chiavi di letture in forma sempre dubitativa; cercando, insomma, di spiegare a se stesso e agli altri, “senza illusioni, senza pessimismo” e attraverso l’uso critico della ragione, le complesse vicende politiche di cui è stato spettatore partecipe e studioso attento. Liberale convinto, Aron non ha mai assunto atteggiamenti dogmatici. Intransigente sul piano dei valori, mai lo è stato sul piano dello studio e della ricerca. Si è sempre confrontato criticamente con l’attualità storica, con l’ambizione di padroneggiarla e di comprenderne la trama, per definizione complessa ed irriducibile ad una formula. La sua vita è stata quella di un intellettuale impegnato, testimone lucido ed attento di un secolo tragico e sanguinoso, ma non privo di una sua grandezza, a dispetto delle interpretazioni liquidatorie del Novecento che oggi hanno corso. 

Giovane borsista in Germania, Aron ebbe modo di assistere in diretta al montare della dittatura hitleriana, traendo da questa esperienza importanti insegnamenti sui limiti e le debolezze della democrazia rappresentativa, della quale pure è sempre stato un convinto assertore. Negli anni del secondo conflitto mondiale, fu resistente accanto a de Gaulle, dall’esilio londinese. Nel dopoguerra, tornato a Parigi, si trovò coinvolto nel clima della guerra fredda e nel contrasto, ideologico e politico-militare, tra Occidente e Oriente. Verso la fine degli anni Cinquanta, prese parte alle dispute sull’Algeria francese e sulla decolonizzazione. Nel decennio successivo affrontò, da studioso delle relazioni internazionali e da cultore degli studi strategici, il dibattito sul nucleare e sul bipolarismo. Si trovò poi coinvolto nelle convulsioni del Sessantotto francese. Mancò, per sua sfortuna, l’appuntamento del secolo: la caduta del muro di Berlino e la fine delle ideocrazie dell’Est. 

Vista la sua passione per l’attualità storica chissà cosa avrebbe pensato Aron della globalizzazione, del disordine geopolitico seguìto alla fine della contesa tra Stati Uniti e Unione Sovietica, della diffusione planetaria del “pensiero unico” liberale, dell’economicismo trionfante, dell’immigrazione, dei nuovi orizzonti aperti alla politica dalla rivoluzione digitale, delle “nuove guerre”? Spesso si è parlato di lui, con un’immagine iperbolica, come una sorta di Tucidide del XX secolo: uno storico del presente, osservatore della storia-in-corso, letta da Aron attraverso il filtro dei grandi classici del pensiero politico e con gli strumenti delle moderne scienze sociali. Per tutta la vita lo studioso francese ha avuto, in realtà, una sola passione: la politica. Ed un’unica ambizione intellettuale: comprenderne la natura e l’essenza, spiegarne le contraddizioni, descriverne la dinamica. In effetti, non c’è evento o fenomeno politico contemporaneo con il quale egli non si sia misurato con disincanto e rigore: dal totalitarismo (nero e rosso), che per primo egli ha descritto alla stregua di una “religione secolare”, all’evoluzione dei regimi rappresentativi, dalla natura delle guerre al declino politico dell’Europa. 

Attratto in gioventù dalla filosofia della storia, materia sulla quale ha pubblicato ricerche e studi ancora oggi fondamentali, si è guardato bene dal proporne una sua propria, nella convinzione che la libertà, sale della storia e della politica, è nemica di ogni determinismo e di ogni concezione finalistica e meccanica del divenire storico degli uomini. Dotato di una cultura enciclopedica, Aron è stato molte cose insieme: politologo, giornalista, sociologo, stratega, polemista, economista: un intellettuale poliedrico, poco incline al rispetto dei confini disciplinari. L’esatto contrario, insomma, dello studioso tutto rinserrato all’interno dell’accademia, fedele unicamente al proprio linguaggio specialistico. Come analista politico si è mosso nella tradizione del realismo politico europeo, del quale ha tuttavia criticato l’esaltazione della forza e della volontà di potenza, alle quali ha opposto, soprattutto nel campo della politica internazionale, la virtù della prudenza e la morale della saggezza. Tutte le volte che si è trovato a discutere la decisione di un politico si è posto preventivamente la domanda: “Cosa farei se fossi al suo posto?”. L’analisi che non tiene conto dei numerosi vincoli che gravano sulle scelte politiche è vana o iniqua, mai efficace.

Commentatore apprezzato per la sua prosa lucida e per il suo rigore analitico, per decenni colonna del Figaro, successivamente dell’Express, Aron ha lasciato una lezione insuperata di giornalismo, praticato all’insegna del motto: “La previsione attraverso il ragionamento”. Uomo di grandi passioni, nei suoi commenti sull’attualità ha sempre privilegiato l’uso critico della ragione, disprezzando il partito preso ideologico. Nel solco della sociologia di Montesquieu, Tocqueville e Max Weber ha sviluppato una penetrante analisi della società industriale moderna, della stratificazione del potere, dei meccanismi di selezione delle classi politiche e della conflittualità sociale. E’ stato inoltre un grande universitario, un docente scrupoloso, in grado di suscitare l’interesse degli studenti (molti dei quali a lui politicamente avversi) sui grandi problemi della società contemporanea, sempre guidato da una forte passione per la conoscenza e per il confronto. Non a caso tutti i suoi libri più importanti sono scaturiti dai corsi universitari tenuti alla Sorbona o al Collège de France dinnanzi ad un pubblico di studenti sempre numeroso. Politicamente, non è mai venuto meno al suo credo antitotalitario. Bestia nera della sinistra francese ed europea, ha mostrato tutte le incongruenze del marxismo (nelle sue molte varianti) e della mentalità rivoluzionaria. E’ stato un liberale mai dogmatico ed assertivo, sempre problematico e pronto a mettersi in discussione. Ha difeso il mercato, senza mai farne un feticcio o un dogma. Ha difeso la libertà, accettando tuttavia l’idea che il potere sia il fondamento necessario dell’ordine politico. Vicino alle leve del comando politico, non è mai stato un Consigliere del Principe. Dall’esercizio diretto del potere si è anzi sempre tenuto lontano: la libertà di giudizio prima di tutto. 

Ebreo di nascita, si è sempre dichiarato un patriota ed un buon francese, animato da un forte spirito nazionale e tuttavia mai tentato dalle sirene del nazionalismo. In questa chiave si è battuto, volta a volta, contro le divisioni della Francia determinate dalla catastrofe del 1940, contro gli anacronistici difensori dell’impero coloniale, contro le velleità autoritarie di de Gaulle, contro i rivoluzionari parigini da salotto. È stato insomma un vero intellettuale, sempre pronto ad impegnarsi in prima persona, geloso della propria autonomia di pensiero, mai prono al potere. Provato duramente dalla vita, oltre l’apparenza di freddezza fu anche un uomo generoso e leale: morì di un attacco di cuore dopo essere stato in tribunale a difendere il suo vecchio amico Bertrand de Jouvenel dall’accusa di aver civettato in gioventù con l’hitlerismo, dimostrando così di non amare coloro che fanno i processi postumi alla storia. In Italia Aron ha sempre avuto pochi estimatori. Tra gli accademici, si sono mostrati sensibili alla sua lezione studiosi quali Angelo Panebianco, Dino Cofrancesco, Nicola Matteucci. Tra i commentatori e gli analisti politici è stato apprezzato da uomini quali Indro Montanelli, Enzo Bettiza, Alberto Ronchey. Troppo libero e spregiudicato per il gusto intellettuale prevalente nel nostro paese, Aron è stato più rispettato che studiato. Riproporne la figura e l’opera può rappresentare, nell’attuale contesto politico-culturale, un serio antidoto contro ogni concezione intransigente, illiberale, dogmatica della politica e della cultura.

25 aprile 2003

(da Ideazione 1-2001, gennaio-febbraio)
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