Aron e lo storicismo tedesco contemporaneo
di Mario Signore

Della ripresa del significato “positivo”, anche se sempre in termini critici, dello storicismo contemporaneo, con il particolare privilegiamento dell’asse tedesco, Raymond Aron è senz’altro uno dei più significativi artefici, attraverso la riassunzione dei problemi della storia e di una sua teoria generale così come vengono posti e approfonditi, appunto, dai più qualificati esponenti dello storicismo tedesco contemporaneo, da Dilthey a Simmel, da Rickert a Weber. L’assunzione del significato positivo dell’Historismus è per noi tanto più evidente, quanto più è vero che il confronto con questi autori, dei quali alcuni in particolare sono sempre presenti, in modo esplicito o sommerso, in tutte le opere di Aron, non ha un valore di rassegna storica, ma piuttosto di quadro di riferimento per la elaborazione di una concezione della storia, capace di utilizzare in modo costruttivo e produttivo gli apporti delle scienze sociali e dell’indagine sociologica, e quelli delle prospettive filosofiche che, per lo specifico, si fanno portatrici dell’ineludibile istanza di una filosofia della storia. Attraverso questo confronto è facile mettere in risalto l’elemento unitario che consente di tenere in strettissima connessione i molteplici aspetti della personalità di Aron, e senz’altro quelli di filosofo della storia, di sociologo e di pubblicista. La tensione all’unità, senza perdere di vista la particolarità, e l’esigenza dell’universale, senza mai tradire l’individuale possono senz’altro essere indicati come i motivi informatori delle ricerche del nostro Autore, dalla Sociologie allemande contemporaine, a “In difesa di un’Europa decadente” in cui la difesa dell’ethos dell’Occidente Europeo coincide col rifiuto di qualsiasi dogmatismo e di ogni tentazione “totalizzante” e “pianificatrice”, pur non risolvendosi mai nel rifiuto del discorso filosofico. 

Questo preciso orientamento della ricerca di R. Aron è evidenziato, in modo particolare, nell’opera dedicata allo storicismo tedesco, “La philosophie critique de l’histoire” che è, appunto, un saggio su una teoria tedesca della storia, che prende le mosse da W. Dilthey, in quanto iniziatore di quel processo di corrosione dello storicismo assoluto, che in Germania ebbe, certamente, nel sistema hegeliano l’espressione più comprensiva e definitiva. E proprio per i meriti acquisiti sul campo della negazione del dogmatismo il pensiero diltheyano viene definito essenzialmente “pensiero critico”, cioè pensiero che si fonda sulla certezza che “giammai l’uomo perverrà a contenere in una rete di concetti la totalità dell’universo, giammai giungerà a riassumere e a presagire, in una unica formula, il divenire inesauribile della vita”. L’assunzione di questo punto fermo consente a Dilthey di porre le basi di un nuovo modo di filosofare, che, sulla scia del “ritorno a Kant”, spinge più in avanti le conseguenze della speculazione kantiana, impegnando il pensiero filosofico a lavorare sulla sola certezza immediata, sull’esperienza, cogliendo i propri limiti invalicabili (che sono poi i confini del criticismo diltheyano) nel ritorno dello spirito su se stesso, nell’analisi del dato e nel rifiuto di ogni proposizione che non si giustifichi grazie a questa analisi. Conseguentemente si risale all’esperienza originale della coscienza, alla totalità psichica, per mettere capo ad una filosofia della vita, che facendo dell’autoriflessione il carattere specifico dell’esistenza umana, tende a coinvolgere la vita in una presa di coscienza “totale”. In questa prospettiva, non ogni filosofia viene accolta con diffidenza, né viene rigettata indiscriminatamente ogni filosofia della storia. 

Resta la legittimità della riflessione filosofica sul passato umano, è accolto e giustificato lo sforzo di autocomprensione che l’uomo compie attraverso una nuova attenzione al suo passato e alle sue opere, e non per coglierne il filo unitario extrastorico o per individuare la “totalità” che si storicizza nel divenire dell’umanità, bensì per cogliere il fine della storia nel suo stesso realizzarsi, come storia, istante per istante, con la conseguente assimilazione della filosofia della storia alla scienza storica, anche se a quest’ultima viene riservato il compito di offrire alla persona il significato ed il valore della sua territorialità, nonché lo strumento per prendere coscienza di se stessa e riscoprire la propria identità. In questo senso, sembra ad Aron che l’esito finale della riflessione filosofica di Dilthey, dopo la negazione della filosofia della storia e l’impegno di costruzione di una “critica della ragione storica”, sia proprio “una filosofia dell’uomo”, anzi “una filosofia dell’uomo in quanto essere storico”, giacché, “l’esplorazione del passato umano, delle scienze morali, dell’arte, della poesia, della religione, della filosofia lo conducono all’unico obiettivo della filosofia e della storia: comprendere l’uomo e soprattutto comprendere la presa di coscienza dell’uomo attraverso se stesso...”. 

Impegno “positivo”, quindi, di una “critica”, che non vuole delimitare le aspirazioni della scienza, né le ambizioni della metafisica, ma piuttosto affermare le grandi potenzialità che lo spirito esprime ogni qualvolta si applichi alla realtà umana, giacché lo spirito è il principio stesso dello sviluppo e, quindi, ogni “critica” non può che avere come unico oggetto l’attività dello spirito umano. Ma non privo di influenze su questa tesi diltheyana si dimostra il principio del primato della vita sul pensiero, della vita soggetto e oggetto, nello stesso tempo, della storia, che quindi si svolge come presa di coscienza della riflessione della vita su se stessa. Questo consente a Dilthey di conservare alla sua “critica” il carattere “storico”, in quanto critica che non solo conduce sempre alla storia, e si sviluppa storicamente, ma lo sospinge anche ad ipotizzare la validità soprastorica ed universale della scienza del passato, proprio per evitare l’esito relativistico, incombente quanto indesiderato. A questo punto ciò che rimane come problema decisivo, come tema essenziale della “critica della ragione storica”, è proprio il problema della conoscenza, che si apre alla ricerca del fondamento delle scienze morali e alla fondazione di una filosofia storica, sempre nello schema di analisi proposto da Aron, il quale non manca di cogliere nella coincidenza, in una sola persona, dello storico e del filosofo, “l’espressione dell’unità teorica della filosofia e della storia”, e, se vogliamo, una certa eredità del clima positivistico che, lasciando spazio soltanto per una filosofia scientifica, aveva costretto la filosofia ad un rapporto stretto tanto con le scienze della natura, quanto con le scienze dello spirito. 

Eredità che, in vero, Dilthey non subisce interamente, opponendo la realtà delle scienze morali alla pretesa di imporre le scienze naturali come uniche scienze veritiere, alla riflessione filosofica. Conseguentemente, “la filosofia si definisce come il lavoro scientifico che, ispirato o illuminato dalla psicologia e dalla teoria della conoscenza, conserva un orientamento verso l’insieme”. Proprio nell’identità della filosofia e della scienza, presente e operante in tutta la ricerca diltheyana, va ricercato il positivismo mai del tutto superato, ma anche l’originalità del pensiero di Dilthey, che dà allo storico i compiti che si attribuiscono di natura al filosofo, sia pure con una maggiore attenzione verso il divenire, senza però mai perdere di vista l’istanza della sintesi. [...]

25 aprile 2003


stampa l'articolo