Perché non possiamo non dirci aroniani
di Marcello Pera

[…] Credo di essermi imbattuto per la prima volta nel nome di Raymond Aron quando lessi un celebre slogan sessantottesco, secondo cui era meglio “avere torto con Sartre che ragione con Aron". Quelli erano proprio gli anni della mia confusissima formazione intellettuale. Anni in cui cercavo di abbeverarmi presso qualunque pensatore o pensiero che mi desse qualche elemento, qualche strumento di riflessione. Questo slogan mi colpì immediatamente per la sua paradossalità, perché tutto sommato lo slogan vuol dire "meglio aver torto che ragione". […] Per fortuna io mi trovai a preferire quella che pensavo fosse la ragione anziché il torto. Ma soprattutto a rifiutare - con un debito intellettuale che ho nei confronti di Aron e di altri - l'idea che deve prevalere la massa, deve prevalere il gruppo, deve prevalere il partito e questa era la ragione per cui bisognava stare con Sartre e non con Aron. Deve prevalere il numero. Mi accadde poi di pensare che il numero non è un criterio di verità. […] Siccome Sartre aveva da parte sua - a mio avviso pressoché soltanto - il numero (comprese le moltitudini di quelle processioni che lo accompagnavano nei boulevard parigini dove lui predicava come un grande intellettuale), io mi schierai con Aron. Questo volle dire, per me, che bisognava rifiutarsi ad ogni ideologia e ad ogni dogmatismo. Non perché gli uomini non sono dogmatici […] ma perché non ci si deve lasciar convincere da una moltitudine, dal seguire una moda, una tendenza. Questo era il primo debito che io ho avuto nei confronti di Aron.

[…] Un altro debito, e forse un altro spunto di riflessione, riguarda il dovere morale di parlare chiaro. C'è un'etica del discorso. Il discorso ha un'etica nella sintassi, un discorso deve essere coerente. Ha un'etica nella semantica; un discorso deve essere significante - ho già escluso quasi tutto il discorso politico. Andando avanti c'è anche un'etica morale, un'etica sostanziale cioè un discorso deve essere chiaro. La chiarezza del discorso, la chiarezza del parlare e ovviamente dello scrivere, è una sorta di dovere morale perché significa non solo avere ben presente le idee che si vogliono esporre, ma significa anche - avendole ben chiare – che ci si espone più facilmente al rischio di essere controbattuti e confutati. […] Quando cominciai a leggere Aron, mi accorsi che scriveva alla maniera in cui scrivevano personaggi che poi hanno influito forse anche molto più di lui nella mia formazione, come Einaudi. Scriveva come Benedetto Croce. Scriveva come Salvemini […] Certo non scriveva come scriveva Sartre. Quando ho cercato di capire cosa scriveva Sartre non sono quasi mai riuscito a comprenderlo e questo mi ha dato un senso di fastidio intellettuale perché si rimane sempre con il sospetto che dietro ad un gergo non ci sia un concetto chiaro. Aron non scriveva come scriveva Lukacs. Aron non scriveva come scriveva Marcuse o Adorno o altri illustri intellettuali e pensatori del Ventesimo secolo. Mi piacque anche per quello. 

Aveva il coraggio delle idee, le esponeva e le diceva chiaramente. E un altro spunto, o debito, che io devo a lui riguarda non soltanto l'esposizione ma l'argomentazione, il modo dell'argomentare ritrovato poi in alcuni suoi scritti. Perché l'argomentazione non è soltanto il modo di svolgere, magari coerentemente, una propria tesi. L'argomentazione è un modo di esporre la propria tesi confrontandola con una tesi critica, fosse anche la propria stessa. […] Questo modo di argomentare, che è il tentativo di confutare la tesi opposta sulla base delle opinioni dell'interlocutore, aiuta ad avere, quasi sempre, con chiarezza due versioni o due lati di una stessa tesi e quindi di una stessa posizione. Abitua sempre a capire e comprendere che non c'è una sola possibilità di svolgere una tesi o di raggiungere una conclusione, ma ce n'è più di una. 

E fin qui sono dei piccoli debiti intellettuali che io metto in pubblico con un po’ di pudore e affido più a me stesso che a voi. Ci sono altri debiti che devo a Raymond Aron, più importanti e che ho scoperto successivamente facendo altri generi di studio, più filosofico e più epistemologico. La tesi della avalutatività della scienza, e quindi dello scienziato sociale, che Aron nutre come Max Weber. La scienza, ivi compreso la scienza sociale secondo la tesi classica di Weber che però è anche una tesi di Aron, non dà giudizi di valore. Si può molto sottilizzare sulla distinzione tra giudizi di fatto e giudizi di valore. […] Nel caso di Aron e delle discipline di cui si occupava va tenuta e mantenuta per evitare che lo scienziato sociale si trasformi o venga percepito come una sorta di profeta, una sorta di vate, o di vaticinatore, dei segreti del mondo. […] La tesi della avalutatività della scienza che si trova in Aron è anche la tesi che le spiegazioni delle scienze sociali sono di tipo diverso dalle spiegazioni delle scienze naturali. Quelle naturali si avvalgono di leggi generali, astratte e di copertura; quelle delle scienze sociali così non fanno, o perché sono spiegazioni teleologiche o perché sono spiegazioni genetiche, o perché sono spiegazioni di carattere narrativo. 

C'è un altro spunto di riflessione che per me è importante e che forse rende più attuale Aron oggi e riguarda il liberalismo. […] Aron critica Hayek, notoriamente. Critica la definizione di libertà di Hayek, la definizione di libertà negativa, cioè la libertà come non costrizione, intendendo per costrizione la riduzione dell'individuo a strumento di altri. […] Non si è costretti se noi ubbidiamo ad una legge che sia generale ed astratta e che quindi non sia stata deliberata a vantaggio di questo o di quell'individuo, o di questo o di quel gruppo, non c'è costrizione in questo senso se la legge è generale ed astratta. C'è l'ubbidienza ad un comando che riguarda tutti, e anzi è quel comando che esalta la libertà dell'individuo. Ad Aron questa definizione non piace, la trova insufficiente e cita altre idee e che secondo lui la definizione di Hayek trascurerebbe. Una è l'idea della procedura elettorale per la scelta dei governanti, questa libertà che riguarda il modo in cui si eleggono i governanti, quindi il libero voto. Un'altra idea che secondo Aron verrebbe esclusa dalla definizione di Hayek, sia quella della versione negativa che positiva era l'idea della indipendenza da uno straniero, o dalla dominazione di uno stato straniero. Poi c'è ancora un'idea - sempre secondo Aron - che Hayek trascurerebbe e che non rientrerebbe nella sua definizione è quella dei poteri dell'individuo di soddisfare i propri fini o le proprie legittime attese. E' interessante quella polemica di Aron. 

Io credo che delle tre tesi che Aron dice essere escluse da Hayek o non considerate sufficientemente da Hayek, le prime due possono benissimo rientrare nella definizione di Hayek. La procedura elettorale per la scelta dei governanti è una idea di libertà che rientra nella concezione di Hayek per il semplice fatto che se la procedura per la scelta dei governanti fosse costrittiva o non ci fosse una procedura democratica e libera non ci sarebbe nemmeno libertà. Quindi questa idea la considererei coperta dalla definizione di libertà come non costrizione. Lo stesso penso di quella della indipendenza dello straniero. La dipendenza da uno straniero è proprio un caso di costrizione. Più interessante, perché fa vedere come i due liberali vanno verso varianti o versioni diverse del liberalismo, è la terza idea la cui mancanza Aron rimprovera ad Hayek e cioè quella dei poteri degli individui di soddisfare i propri fini o le proprie legittime attese. Questa idea - soddisfare i propri fini o le proprie legittime attese - introduce nella definizione un elemento che è l'elemento della storicità, della contingenza. Perché per stabilire se si è o non si è liberi bisognerebbe valutare, con questa idea le legittime attese o i legittimi fini degli individui, e osservare se siano o non siano legittimi e non invece compressi o costretti. Si introduce l'elemento contenutistico nella definizione di libertà di Hayek, in questo modo. "Un elemento soggettivo", dice Aron. Più propriamente un elemento di carattere storico. E infatti c'è una frase che mi piace ricordare e in cui Aron compendia questa sua obiezione ad Hayek rispetto a questo terzo elemento, considerare l'elemento soggettivo storico degli interessi e degli scopi degli individui nella definizione di libertà: "se l'obbedienza a comandi specifici non sempre comporta costrizione" - tesi che anche Hayek ammette facendo una distinzione tra comando specifico e la legge generale e astratta - "non sempre rispondere o l'essere costretti da un comando specifico (è il caso dell'operaio che ubbidisce agli ordini del suo datore di lavoro), se l'obbedienza a comandi specifici non sempre comporta costrizione allo stesso modo - dice Aron - l'obbedienza a leggi generali e astratte non sempre comporta libertà". 

E qui introduce un elemento di paradossalità: ci potrebbero essere delle leggi generali e astratte che - benché generali e astratte - comandino in un senso oppressivo o compressivo delle legittime attese e legittimi scopi degli individui. Allora non basta questo criterio. "Ce ne vuole altro" dice Aron. E l'altro che introduce è quello del rapporto fra contenuti. "Dobbiamo capire", dice nella sua tesi "qual è il contenuto della legge generale astratta di volta in volta, e qual è il contenuto della legittima attesa o del legittimo scopo che l'individuo intende perseguire". Solo con un rapporto tra contenuti si può stabilire se gli individui sono o non sono liberi, non con un criterio così generale come quello della mancanza di costrizione. Perciò la libertà secondo Aron potrebbe avere una definizione di questo genere, cioè che è una costrizione secondo leggi generali e astratte, il cui contenuto non ostacola le attese legittime o gli scopi specifici degli individui. In questo modo però la definizione è di carattere storico. Di volta in volta dobbiamo valutare quali sono le leggi generali astratte che valgono in una determinata società e quali sono i legittimi scopi o le legittime attese degli individui che vivono in quella determinata società. Solo il confronto tra questi due contenuti, quello degli individui da un lato e il contenuto delle leggi dall'altro, può consentire di stabilire se una società - quindi anche un individuo - sia o non sia libera. 

Qui si biforcano un po’ i due liberali perché a me sembra chiaro che la differenza fra le due definizioni di libertà e la differenza tra una definizione di libertà di tipo formale è una differenza di libertà di tipo materiale o contenutistico che è quella di Aron. E la differenza tra la definizione di libertà di un filosofo, che ancora in qualche modo pensa ad un criterio generale e astratto di libertà, invece uno che non è soltanto un filosofo che probabilmente non vuole essere un filosofo ma che è un sociologo o che è uno storico e che quindi sta attento alla evoluzione storica degli individui e delle società, e che quindi ancora una definizione o una attribuzione di libertà alle contingenze. Lo storico e il sociologo. L'attenzione dello storico e del sociologo è molto diversa, è più contenutistica di quella del filosofo. A me pare che ci sia anche una distinzione sotterranea tra Hayek e Aron. La distinzione tra un liberale, che è un liberale classico, e un liberale che non solo avverte il senso della storia ma anche dei contenuti, cioè il liberale che è in gran parte un liberal-democratico. Cosa sono le legittime attese o aspettative, o legittimi scopi degli individui se non contenuti di valori che di volta in volta evolvono e che quindi devono essere confrontate con le leggi generali e astratte? […]

25 aprile 2003


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