Scienze della vita e bio-sicurezza
di Leonardo Santi

Le biotecnologie rappresentano attualmente la sfida più significativa per lo sviluppo della società. Come era già nelle previsioni degli ultimi anni, con l’inizio del nuovo secolo è questo il settore che è maggiormente all’attenzione dei governi e della collettività. Le biotecnologie hanno infatti caratteristiche peculiari che spiegano questa loro centralità e che possono essere così sintetizzate: a) riguardano la modifica del patrimonio genetico di esseri viventi, tematica del tutto particolare che può di per sé suscitare interrogativi e perplessità; b) sono la risultante di competenze molto diversificate coinvolgendo aspetti biologici, chimici, fisici, di ingegneria ecc., abbattendo così tradizionali steccati che hanno di fatto segnato, nella maggior parte dei casi, le varie discipline scientifiche; c) i risultati della ricerca in questi campi si applicano a vari settori produttivi, dalla sanità, all’ambiente, all’agro-alimentare, alla genetica delle popolazioni e delle piante ecc.; d)coinvolgono aspetti economici, giuridici, etici, filosofici e sociali. E' per questo che, già dal momento in cui è stata prospettata la possibilità di un’applicazione pratica delle ricerche in questo campo, gli stessi scienziati si sono posti alcuni interrogativi sulle loro ricerche, rendendosi conto di quale potenziale rivoluzione si stesse profilando e di come essa comportasse gravi rischi, oltre che grandi potenzialità. Già nel febbraio del 1975 – nel corso della conferenza di Asilomar, in California – 140 scienziati provenienti da tutto il mondo si riunirono con l’obiettivo di discutere e proporre delle linee guida che definissero nuove regole per controllare le ricerche basate sulle nuove tecnologie ricombinanti, riconoscendo che prospettare alla società dei rischi, di cui non si conosceva l’esatta entità, poteva scatenare risposte emotive contrarie allo sviluppo della ricerca nel campo della genetica molecolare. 

In particolare fu espressa grande preoccupazione per le conseguenze che alcune tecniche di introduzione di geni modificati nella cellula avrebbero potuto comportare, nonché delle scarse conoscenze scientifiche che all’epoca non consentivano di prevedere possibili ricadute negative e fu quindi concordata una sospensione dell’utilizzo di queste ricerche, finché non si fosse stati certi di poterle utilizzare in piena sicurezza. Gli interrogativi posti dai ricercatori ebbero però in breve tempo, con il proseguire delle ricerche, risposte soddisfacenti e prese campo, pertanto, la considerazione che le biotecnologie potevano rappresentare un fattore centrale per ottenere risultati positivi per problemi fino a quel momento irrisolti come la guarigione di malattie gravi, la possibilità di degradare sostanze tossiche presenti nell’ambiente o migliorare i prodotti alimentari e, quindi, la qualità di vita delle popolazioni.

Queste possibilità di enorme portata postulano, pertanto, l’esigenza di valutare con attenzione e responsabilità un costante rapporto tra possibili rischi e benefici, aspetto che deve essere sempre considerato allorché si affrontano processi innovativi non ancora validati da un’utilizzazione prolungata. La ricerca scientifica, insieme a progressi di conoscenza che possono portare alla messa a punto di nuovi prodotti commerciali, è anche in grado di perfezionare e affinare metodi che possono consentire un adeguato controllo su conseguenze nocive: l’equilibrio dell’impegno tra la ricerca finalizzata alla produzione di beni e quella finalizzata alla verifica di eventuali rischi comporta valutazioni e strategie diverse da Paese a Paese. Per quanto riguarda le biotecnologie, il prevalere di uno o dell’altro aspetto è rappresentato dalla esistenza di cinque diversi gruppi di nazioni: il gruppo di Miami (Usa, Canada, Argentina, Australia, Cile e Uruguay); il gruppo dell’Unione Europea; il gruppo dei Paesi dell’Est Europa; il gruppo dei Paesi emergenti, e il gruppo cosiddetto “compromise” (Svizzera, Giappone, Norvegia, Messico, Singapore). Non vi è dubbio, peraltro, che oggi le biotecnologie hanno superato alcuni limiti che erano propri del periodo iniziale, per cui le differenze tra i diversi gruppi di nazioni vanno sfumando, almeno per quanto riguarda alcuni aspetti applicativi. In ogni caso, vi è la consapevolezza che è necessario stabilire un confronto serrato per individuare alcuni problemi che possono trovare comportamenti comuni. 

Nel 2000, con questo spirito, ha lavorato intensamente il Forum transatlantico sulle biotecnologie, composto da 10 esperti degli Stati Uniti e 10 esperti dell’Unione europea che ha discusso su aspetti divergenti trovando una posizione unitaria per molti problemi, nonostante il permanere di alcune sostanziali differenze. Questo risultato non è stato però risolutivo, ma ha dato inizio a un confronto indispensabile per stabilire importanti punti di incontro. L’attuale rilevanza nazionale e internazionale delle biotecnologie nel quadro di uno sviluppo sostenibile impone, altresì, una diffusa e corretta informazione tanto più necessaria in medicina, tenuto conto che le biotecnologie hanno avuto il loro impulso iniziale proprio dall’esigenza di poter risolvere assillanti problemi relativi a un’identificazione tempestiva di patologie gravi e per interventi curativi sempre più efficaci. 

Biotecnologia e salute

E' proprio lo studio delle diverse fasi con cui si realizza la trasformazione di una cellula normale in tumorale, nonché la comprensione dei fenomeni che caratterizzano l’azione cancerogenetica dei virus oncogeni, che ha consentito di utilizzare le metodiche biologiche che sono alla base di questi processi di trasformazione per attuarli in laboratorio per un diverso progetto programmato dal ricercatore. Le cellule riparano infatti un danno provocato al Dna per esposizione a fattori chimici o fisici grazie all’intervento in successione di enzimi riparatori che prima rilevano l’addotto al Dna e cioè l’alterazione che si realizza come espressione del danno subìto, e quindi, dopo aver tagliato e asportato il tratto di Dna danneggiato, provvedono al suo reintegro completando in tal modo il naturale processo di danno e riparo della catena che consente di mantenere immodificata la sua struttura originaria. Il danno non può però essere riparato se è particolarmente intenso l’evento che lo ha provocato o l’azione di danneggiamento è ripetuta più volte o infine se gli enzimi riparatori sono stati a loro volta danneggiati o costituzionalmente non vi è sufficiente capacità riparatrice come nei soggetti in cui si evidenzia lo xeroderma pigmentoso. In questi casi si passa quindi dalla fase di iniziale alterazione del Dna ad altre successive fasi del processo biologico che determinano, come evento finale, la trasformazione di una cellula normale in cellula cancerosa.

In laboratorio è stato pertanto possibile, acquisita la conoscenza delle proprietà possedute da questi enzimi, di poterli utilizzare per tagliare tratti di filamenti di Dna e unirli con tratti di Dna di altri organismi, tagliando, ad esempio, il pezzo di Dna umano che corrisponde al gene dell’interferone e cucirlo nel Dna di un batterio che non possiede il gene dell’interferone per produrre interferone in laboratorio, allo stato puro e nella quantità desiderata. L’esempio è quanto mai opportuno perché sono note le difficoltà insite nel produrre interferone utilizzando cellule di sangue prelevate da donatori umani, contaminando queste cellule con virus lenti e ottenendo, però, scarse quantità di interferone e, per lo più, con molte impurità.

L’uso di questo interferone per terapie antiinfettive o antitumorali provocò infatti alcuni casi di Creuztfeld-Jacob per cui ne fu vietato l’impiego. Grazie all’uso di metodi di ingegneria genetica come quelli a cui ho fatto cenno è ora possibile disporre di vari tipi di interferone senza particolari conseguenze negative. Ma per trasferire un gene da un organismo ad un altro non è sufficiente poter togliere ed asportare il tratto di Dna che ci interessa. E' anche indispensabile poter reinserire il tratto di Dna asportato nel patrimonio genetico di un altro organismo per aggiungerne le proprietà o le funzioni del gene trasferito e che non possiede. A questo scopo è necessario poter disporre di un vettore in grado di penetrare nella cellula in cui si vuole introdurre il gene prelevato inserendolo nel Dna di quelle cellule. 

Scienza e informazione responsabili

Pur avendo ottenuto allo stato attuale un’abbastanza vasta possibilità di utilizzo di diversi vettori; inizialmente è stato usato un virus che, privato delle sue capacità infettanti, mantiene però quella di inserirsi nel genoma delle cellule dell’organismo ospitante, trasferendo in tal modo il gene nel patrimonio genetico di quella cellula che acquista una nuova funzione (produrre interferone, insulina, ormone della crescita per l’uomo e gli animali; resistenza ai patogeni esterni per le piante, evitando in tal modo l’uso di pesticidi, ecc.). Anche questo processo di trasferimento di un gene da un organismo a un altro è derivato dalle ricerche di cancerogenesi. E' infatti studiando le modalità di azione dei virus oncogeni in grado di provocare in alcuni animali particolari forme tumorali che è stato possibile utilizzare come vettori questi virus ovviamente, come ho già detto, depurati della loro capacità patogena. 

Ma il ruolo della medicina non si limita solo alla prima fase di sviluppo delle biotecnologie. Ancor più si evidenzia nel tempo la necessità di una costante e rigorosa verifica da parte dei medici per valutare eventuali conseguenze negative sulla salute dell’uomo per quanto riguarda le applicazioni pratiche dei risultati conseguiti con ricerche oncologiche. Applicazione che è sempre più estesa a settori importanti della nostra vita – dalla tutela della salute, all’agro-alimentare, all’ambiente, ecc. – e per cui sono necessarie garanzie che devono essere fornite non solo per considerare eventuali effetti sulla salute in fase di sperimentazione dei prodotti biotecnologici prima della loro immissione nel mercato, ma anche successivamente, una volta che questi prodotti sono stati autorizzati per il consumo per un indispensabile monitoraggio nel tempo di effetti indesiderati che, eventualmente, potrebbero manifestarsi allorché un vasto numero di persone li utilizza, avendo presente la possibile diversa risposta a una stessa sostanza da parte di soggetti diversi.

E' per questo che occorre realizzare un’informazione aggiornata sulle continue scoperte concernenti le biotecnologie anche per poter discernere notizie corrette tra la congerie di dati che frastornano l’opinione pubblica, in quanto queste notizie sono diffuse dai mass–media, in modo sensazionale. Il sensazionalismo tra l’altro permea ormai anche le più importanti e autorevoli riviste scientifiche che spesso anticipano ai giornali informazioni su articoli che pubblicheranno dopo qualche tempo, stimolando, quindi, un interesse molto spesso enfatizzato per ricerche relative a esperimenti di laboratorio che però, riportate in modo giornalistico, suscitano speranze immotivate con richieste insistenti per ottenere farmaci purtroppo inesistenti per curare gravi patologie.

L’informazione al pubblico è pertanto da considerare con grande impegno, identificando modalità di comunicazione in grado di poter fornire garanzia di obiettività. Il confronto tra posizioni diverse, ovviamente basate su concetti documentati, è un modo per rispondere a dubbi e interrogativi e per compiere scelte di interesse della collettività. Il Commissario per la ricerca dell’Unione europea, Busquin, ha voluto quindi costituire un gruppo di undici esperti con un duplice mandato: da un lato anticipare gli sviluppi scientifici e tecnici emergenti, e dall’altro indicare nuove modalità nella comunicazione delle scienze. Questo gruppo ha espresso importanti pareri su questioni scientifiche più significative, realizzando incontri ad alto livello tra cui in particolare: sulla genetica, la sicurezza alimentare, le prospettive della moderna biologia e, recentemente, sui rapporti tra scienza e mass-media, per contribuire a individuare comportamenti politici e sociali utili per scelte le più idonee nel rispetto della dignità dell’uomo.

In questo incontro, che ha avuto luogo a Bruxelles nel mese di luglio di quest’anno, preso atto del diverso contesto culturale e comportamentale esistente nelle diverse aree geografiche europee, e della necessità di armonizzare il più possibile un approccio comune su alcuni argomenti che riguardano i temi relativi allo sviluppo delle conoscenze scientifiche e al loro trasferimento applicativo incentivando momenti di confronto tra opinioni e valutazioni diverse, sono state individuate alcune raccomandazioni per facilitare un rapporto tra ricercatori e giornalisti che deve diventare sempre più integrato, e in particolare:a) promozione di studi dettagliati di comunicazione sulla scienza in Europa, poiché si hanno a disposizione solo dati sommari che riguardino lo specifico richiamo dell’informazione scientifica sul pubblico;b) stimolo ad una maggiore consapevolezza di rispettivi bisogni e necessità tra giornalisti scientifici e ricercatori, promuovendo periodi, anche brevi, di esperienza nelle rispettive realtà lavorative per entrambe le categorie;c) maggiore impegno attivo dei ricercatori nel dibattito pubblico, attraverso la trasmissione di messaggi chiari e semplici, anche attraverso una promozione politica della pubblicazione non-specialistica, finora decisamente trascurata dall’ambiente accademico e istituzionale;d) interfacce e formazione di gruppi di media più serrate, e collegamenti di informazione sulle scienze biologiche – data la quotidiana difficoltà da parte dei giornalisti scientifici di reperire notizie direttamente dalle fonti di produzione scientifica;e) riconoscimento della specificità del giornalismo scientifico per permettere la costituzione di riconoscimenti di alto profilo professionale riguardanti l’alta qualità di un servizio di informazione sulla scienza;f) promozione di un ruolo più attivo nel processo di comunicazione da parte delle istituzioni di ricerca per garantire un’ appropriata linea di condotta da parte dei ricercatori nei confronti della comunicazione, che riduca il rischio di false o eccessive rivendicazioni.

Il “Principio di Precauzione”

Un’informativa corretta deve peraltro garantire a un tempo una comunicazione, frutto di un confronto tra opinioni diverse, sempre però basate su dati oggettivi di tipo scientifico e con valutazioni approfondite, specie allorché si tratta di argomenti innovativi, e quindi non ancora validati nel tempo, con una loro estensiva utilizzazione. La ricerca scientifica può pertanto offrire risposte adeguate agli interrogativi che possono sorgere in seguito all’impiego di nuovi prodotti derivanti da nuove sperimentazioni. La velocità con cui si ottengono nuovi risultati scientifici e la possibilità di una loro applicazione pressoché immediata ha altresì determinato, specie allorché si tratti di un impiego ambientale o su esseri viventi, il rispetto di un principio definito “Principio di precauzione” da considerare allorché esiste un’evidente difficoltà di avere certezze scientifiche sugli effetti a lungo termine, applicando un approccio cautelativo alla gestione dei rischi.

Episodi rilevanti di inquinamento ambientale e di danni alla salute verificatisi negli anni ’70 e ’80, dalla diossina di Seveso agli effetti non previsti dei fitofarmaci hanno evidenziato la necessità di prevenire episodi rilevanti e irreversibili per cui, di fronte a ipotesi di un rischio potenziale senza dati scientifici certi, si invoca il Principio di Precauzione. L’applicazione del Principio di Precauzione ha però dato adito a molte incertezze essendo per sua natura un concetto che mette in gioco elementi di natura scientifica, giuridica e politica. La scelta politica di come gestire il rischio comporta pertanto la decisione su come intervenire. La Commissione europea ha previsto interventi per eliminare o ridurre i rischi finanziando determinate ricerche e informando in modo corretto l’opinione pubblica.

Applicare il Principio di Precauzione necessita però la identificazione di alcuni criteri oggettivi per impedire valutazioni arbitrarie conformandosi ai princìpi generali di una gestione obiettiva dei rischi. L’incertezza dovuta a non sufficienti dati scientifici dovrebbe stimolare un maggiore impegno per sostenere la ricerca relativa alla valutazione dei rischi. La ricerca per ottenere nuovi prodotti è sostenuta economicamente prevalentemente con finanziamenti privati anche se la ricerca di base è sostenuta da finanziamenti pubblici che dovrebbero però essere sempre più impegnati anche per studi sulla biosicurezza che è da riferire a tutte le possibili applicazioni in cui sono utilizzati agenti biologici e non solo, come ora sembra, agli alimenti prodotti con Ogm, per la cui autorizzazione all’uso il Commissario europeo Busquin ha dichiarato che la Commissione europea seguirà due princìpi: quello della precauzione e quello della proporzionalità: "Dobbiamo esaminare nell’interesse pubblico l’equilibrio tra rischi ipotetici e la loro presa in conto in un quadro di regole comuni più o meno vincolanti".

Un protocollo per accertare possibili rischi deve perciò riguardare tutti i settori di applicazione di prodotti biologici e quindi non solo agro-alimentari ma anche quelli dell’area medica dove è vero che già esistono procedure rigorose come per esempio per i farmaci, ma che, tuttavia, necessitano di una diversa valutazione allorché si tratta di farmaci biologici che hanno caratteristiche e modalità di agire ben diverse dai farmaci tradizionali. La medicina è il campo di applicazione in cui maggiormente si è fatto uso dei risultati delle ricerche biotecnologiche, e non solo per vari tipi di medicamenti, test predittivi per varie forme di malattia, test genetici per diagnosi accurate o per applicazioni in medicina forense; diagnosi di malattie con appropriato uso di microchip; trapianti di tessuti e di organi e xenotrapianti; utilizzo di cellule staminali; vaccini non solo ottenuti con metodi di ingegneria genetica sia in laboratorio che con piante; terapie mirate in base a tipizzazione genetica dei tessuti; terapia genica; ecc. Sono solo una parte delle possibilità di uso delle biotecnologie in medicina. Per ogni tipo di applicazione è quindi necessario stabilire un accurato protocollo di valutazione di possibili rischi, sia per il personale che lavora a queste attività sia per le persone che le utilizzano, avendo presente che il concetto di rischio comporta anche di considerare una corretta modalità del loro impiego, che è spesso fonte di conseguenze negative (l’uso, ad esempio, di test per polizze assicurative o per assunzioni al lavoro o ancor più per test predittivi indiscriminati o per terapie avventate).

Focalizzare l’attenzione solo sui rischi da Ogm non solo espone all’enfatizzazione di un problema che deve essere invece considerato nelle sue reali dimensioni e valutato con dati scientifici e non ipotetici, ma può essere deviante nel sottostimare possibili rischi in altri settori applicativi. Il Gruppo europeo per le Scienze della Vita ha pertanto organizzato incontri specifici per ciascun problema. Di particolare importanza è stato il meeting sulle cellule staminali con un serrato confronto tra ricercatori, esponenti dell’industria e rappresentanti dei movimenti di opinione. Su questo argomento vi è stata una ampia discussione anche nel Parlamento europeo cui è stato approvato l’emendamento degli onorevoli: G. Nisticò, A. Trakatellis e J. Puvvis, che hanno proposto il finanziamento in via prioritaria di ricerche in cui si usino cellule staminali presenti in tessuti adulti e cellule adulte da “riprogrammare” o linee cellulari già esistenti in laboratorio, indipendentemente dalla loro origine, nonché cellule embrionali o fetali provenienti da aborti spontanei o terapeutici. La posizione europea, approvata a larga maggioranza dal Parlamento, vieta quindi da un lato la creazione di nuovi embrioni da utilizzare per la ricerca e dall’altro apre la porta all’impiego di cellule staminali per la terapia di malattie gravi e spesso mortali (Cancro, Aids, Morbo di Parkinson, di Alzeimer, di Creuzfeld-Jacob, cardiache, ereditarie, diabete, ecc.).

Biotecnologia e ambiente

Un altro importante settore di applicazione delle biotecnologie è l’ambiente, sia per quanto riguarda le conseguenze della biodiversità valorizzando le varietà e specie vegetali e animali, creando database accessibili in rete e curando la conservazione di germoplasma di diverse specie di piante sia per potenziare la ricerca di base in modo da contribuire a una più precisa definizione e comprensione delle dinamiche evolutive che hanno contribuito a generare la biodiversità sostenendo studi e ricerche sulla tassonomia molecolare, sulla sistematica molecolare e genetica dello sviluppo con utilizzo di specifici marcatori molecolari.
Per la tutela ambientale sono però fondamentali gli studi sulla cosiddetta bioremediation e cioè il trattamento con metodi biotecnologici di acque ed effluenti industriali, di rifiuti solidi urbani e quindi la bonifica dei siti inquinati. È questa una gamma di interventi non ancora sufficientemente considerata mentre è di notevole impatto per migliorare la qualità della vita. Si deve pertanto evitare di discutere sulle biotecnologie come se si trattasse di un’unica tematica.

Le differenze sono profonde non solo per la gamma delle loro applicazioni, che possono distinguersi grosso modo in: red-biotechnology; green-biotechnology; brown-biotechnology; ma anche per le diversità sostanziali all’interno di una stessa tematica applicativa. Per quanto riguarda la biomedicina, cellule staminali, test genetici, terapia genica, farmacogenetica e farmacogenomica, per le biotecnologie verdi, sono da considerare metodiche e applicazioni ben differenziate, non solo per applicazioni a piante ornamentali e floricole o per prodotti alimentari che pongono problematiche ben diverse, ma anche per quanto riguarda il settore agro-alimentare si deve valutare prodotto per prodotto. Ancor più per le cosiddette biotecnologie brune, che comprendono attività sinora assai indistinte e che pertanto accorpano una serie di applicazioni considerate marginali, ma che hanno ora acquistato una dignità rilevante almeno per certi settori – le biotecnologie ambientali, anche in questo caso con utilizzazione molto articolata – o altri settori emergenti come energia, restauro di beni artistici, archeobiologia (cioè lo studio di come si sono distribuiti gli esseri viventi sulla terra). 

Conclusioni

Da questi brevi cenni si possono trarre due considerazioni: da un lato che le biotecnologie estendono ogni giorno nuove possibilità applicative in numerosi campi, corrispondendo alla loro peculiare caratteristica di pervasività certamente non riscontrabile in altri settori delle conoscenze scientifiche; dall’altro che le biotecnologie devono essere considerate in modo separato per ciascuna delle applicazioni possibili. Il genericismo determina infatti posizioni ideologiche e quindi inconciliabili. E' ormai evidente quindi la necessità di un quadro di insieme sulle problematiche derivanti da ricerche biotecnologiche e dalle applicazioni dei risultati compiuti. L’Unione Europea ha sempre posto molta attenzione a questi problemi sia nel momento in cui sono stati attivati i primi programmi-quadro di ricerca inserendo progetti di biotecnologia tra i principali argomenti da finanziare con l’obiettivo di stimolare interazioni tra laboratori di ricerca tra i diversi paesi membri. Ancor più questo orientamento si è accentuato dopo la decisione di costituire l’Area o spazio europeo della ricerca, in modo da realizzare una politica della scienza quanto più possibile unitaria o almeno armonica, incentrata su tecnologie innovative e sul rapporto ricerca-attività produttive.

Per quanto riguarda le scienze della vita, la Commissione europea ha organizzato una conferenza nel mese di settembre del 2001 elaborando successivamente il documento “Le scienze della vita e le biotecnologie: una strategia per l’Europa” che è stato approvato nel marzo 2002 a Barcellona da capi di governo dell’Unione europea e dagli stessi sollecitato per una tempestiva attuazione nell’incontro di Siviglia del 21-22 giugno 2002. Questo documento contiene precise affermazioni che mettono in risalto l’importanza cruciale di queste attività per uno sviluppo economico competitivo, avendo presente che "L’Europa si trova ad affrontare come scelta strategica di grande importanza: o accettare un ruolo passivo e reattivo e sopportare le conseguenze dello sviluppo di queste tecnologie altrove oppure definire strategie preattive per sfruttarle in modo responsabile, coerente con i valori e gli standard europei. Più a lungo l’Europa esita, meno realistica diventa questa seconda opzione". 

Nel documento sono quindi stabilite trenta azioni che devono essere compiute, a seconda dei casi dalla commissione, dal consiglio, dagli Stati membri, da regioni, da università, da associazioni professionali, dalle industrie, dal gruppo Bei, da organismi europei o da appartenenti alla società civile. Per quanto riguarda l’Italia, il Comitato nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie della presidenza del Consiglio dei ministri si è assunto l’onere di approfondire ogni singola azione con i principali interessati alla sua specifica realizzazione in modo da comprendere le attività programmate nel Piano nazionale di sviluppo delle Biotecnologie che sarà predisposto da un gruppo di lavoro ad hoc costituito nel contesto del comitato da rappresentanti di ministeri, delle regioni e di Sviluppo Italia, società controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze.
Sarà così possibile avere un quadro di riferimento indispensabile per incentivare emergenti investimenti privati, almeno per quei settori che potranno essere identificati come scelte prioritarie corrispondenti, però, agli interessi nazionali ed europei.

11 aprile 2003

(da Ideazione 5-2002, settembre-ottobre)

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