Le
relazioni culturali dell’Italia
di Bruno Bottai
Credo che non ci siano molte parole da spendere per dimostrare
l’importanza fondamentale della cultura nei rapporti fra il
nostro e gli altri popoli. In questo campo, sin dall’antichità
noi abbiamo dato e, per la verità e per fortuna, abbiamo anche
saputo accogliere, molto. L’apporto di una grande tradizione che
ha dato luogo a una sensibilità e a un’esperienza ben
riconoscibili, è quindi atteso e spesso sollecitato nei nostri
confronti nei contatti internazionali, oggi anche nell’ormai
tanto più domestico quadro europeo. Intorno al tavolo di un
negoziato, ci si sorprende se la finezza, una capacità di
inquadrare i problemi contingenti in una visione più sensibile a
prospettive generali che presuppongono un forte retroterra
culturale, non caratterizzi – come ovviamente può accadere –
le posizioni italiane.
Mi sembra significativo ciò che pensa un personaggio non
sospettabile di conformismo diplomatico come l’attore e regista
Woody Allen. A una domanda di Maurizio Porro del Corriere della
Sera, (“Il ruolo dell’Italia oggi nel mondo?”), postagli lo
scorso 11 settembre – un giorno di pensieri e ricordi dolorosi e
certo non superficiali per un newyorkese come lui – ha così
risposto: "E' importante che sia all’altezza della propria
responsabilità come una delle grandi nazioni della Storia.
L’America conta sull’Italia come su un partner importante e
soprattutto quelli che sono coinvolti nella cultura e nell’arte
vi guardano sempre con stima". L’Italia, dunque, grande
potenza culturale? Questa definizione nasconde sollecitazioni,
equivoci e tranelli. La cultura di per sé è un valore ma non può
avere peso mercantile. Deve o dovrebbe permeare di sé il modo di
essere, di produrre e di comportarsi di una società matura. Una
società moderna, peraltro, vale per quello che è, senza
possibilità di sovravalutazioni o inganni. La legge cruda e netta
è oggi più che mai questa. Un paese conta per quello che sa fare
e dare, soprattutto per le responsabilità che è disposto ad
assumersi, in un mondo sempre più interdipendente. I ricordi
fanno colore, ma contano poco.
Tuttavia, una definizione retorica come quella di potenziale
“grande potenza culturale” può colpire e costituire uno
stimolo ed è in questo caso tollerabile. Può, infatti,
sollecitare quel senso di impegno e solidarietà che costituisce
il punto più alto della straordinaria tradizione umanistica e
cristiana che nei secoli ha permeato da noi il pensiero, la
scienza, la poesia, le arti e, per gli aspetti migliori, anche il
modo di essere, di comportarsi, di soffrire e di divertirsi della
gente. Sappiamo bene e, se lo dimenticassimo, ce lo ricordano le
durezze della vita e della storia, che non è consentito, che è
vano e sbagliato, sedersi sulle glorie del passato. Alla nostra
comunità nazionale lo ricordano esemplarmente le vicende
travagliate e le guerre e le distruzioni della prima metà dello
scorso secolo. Tornano a dimostrarlo, con qualche premio a uno
straordinario impegno di maturazione civile e di serio lavoro,
anche alcune delle vicende appena trascorse della sua seconda metà,
che sconfina nell’alba incerta del Terzo millennio. Pur in
circostanze a volte difficili o difficilissime, in quei cinque
decenni la nostra comunità nazionale, guidata con coraggio e
lungimiranza da una politica con profonde radici ideali e morali,
ha effettuato alcune svolte fondamentali: la libertà, la
ricostruzione, la democrazia consolidata, la crescita economica,
l’Unione europea, l’inclusione nel gruppo dei paesi-guida in
questa fase mondiale.
L’Italia occupa certamente un posto centrale nella cultura
dell’Occidente, che è incomprensibile senza conoscere le pagine
scritte dal nostro paese. Dalle Alpi alla Sicilia, – ben lo
sappiamo – è un museo che folle crescenti vengono a visitare
con un interesse forse superficiale, ma che lascia almeno qualche
traccia. E', inoltre, uno stile di vita che ha una sapienza
secolare e insieme una freschezza e una disinvoltura
nell’insieme molto attraenti. Ma questo non basta per stare
tranquilli per quanto concerne l’apporto che possiamo e dovremmo
dare al dialogo culturale fra i popoli. Per valutarlo, mi pare
occorra un sia pure sommario esame critico dello spazio, del
significato che nella nostra società si dà in questa fase alla
cultura. Cioè dell’impegno a continuare a contribuire in modo
originale agli scambi che in questo campo si moltiplicano ogni
giorno fra i popoli, grazie all’intensificazione e alla rapidità
dei mezzi d’informazione. Il quesito è di quelli che aprono le
porte a ogni genere di considerazioni e polemiche che ci
porterebbero troppo lontano. Porselo, almeno ricordarlo, serve però
forse a sottolineare che tanto meno nel campo della cultura si può
vivere di rendita. Quindi le relazioni culturali di un paese con
altre nazioni, prima ancora che dall’attenzione che è giusto
portarvi, dall’impegno a coltivarle e dal proposito di
espanderle, dipendono dalla consapevolezza del valore che la
cultura ha per ogni popolo, dall’utilizzo che se ne fa, dal
lavoro quotidiano che, generazione dopo generazione, si porta
avanti per vivificarla e anche dal legittimo orgoglio che è
lecito avere al fine di mantenerne caratteristiche e peculiarità.
Cultura non è solo filosofia, letteratura, arte, scienza è anche
vitalità e originalità del modo di vivere di un popolo, che
include il rispetto delle tradizioni, i divertimenti, la moda, lo
sport, le canzoni, persino la cucina. Fra alta cultura e cultura
di massa c’è in gran parte solo una divisione di scuola. Per
radicata tradizione erudita, di solito, da noi, si prende in
considerazione solo la prima, nella quale riteniamo che il nostro
paese abbia saputo dire qualcosa d’importante, e perciò
trascuriamo la seconda. Questo è sbagliato. La cultura di massa
in qualche modo si vendica di questa trascuratezza ed oggi ha la
possibilità di dilagare incontrollata, grazie alla potenza dei
mezzi d’informazione tra i quali è di moda oltre il giusto
porre in discussione certezze e tradizioni. Finisce per consistere
nell’ovvio e nel banale e disporsi ad accogliere senza cernita
ogni imbastardimento, da noi forse più che altrove. Occorrerebbe,
invece, una continua alimentazione che la raccordi alle radici
storiche e popolari, affinché non perda le caratteristiche che
sole la rendono riconoscibile. Dunque, le relazioni culturali
verso l’esterno di un paese dipendono in primo luogo
dall’attaccamento, dalla cura che esso ha per la propria
cultura, senza distinzione fra tradizioni auliche e manifestazioni
nella vita quotidiana.
Il nostro paese sembra, purtroppo, assai disattento al riguardo,
pronto, quasi lieto, di aprirsi a ogni influenza esterna, ad ogni
contaminazione, a cominciare dalla lingua. Né richiami troppo
pedanti ex-cathedra potrebbero – a mio avviso – al riguardo
valere, al contrario rischierebbero di determinare una reazione
opposta, in nome della libertà, chiamata in causa a sproposito.
Si potrebbe invece, forse, modificare questo andazzo attraverso un
grande, costante impegno nella scuola, nell’università, nel
giornalismo, nel mondo dell’editoria e della critica d’arte.
In tal caso, potrebbe svilupparsi una dialettica persuasiva, che
utilizzi come un risultato da non disperdere l’attrazione che il
modo di essere italiano tuttora e forse crescentemente esercita
nel mondo. E' un’attrazione che ovviamente presuppone che da
parte nostra si sappiano mantenere le caratteristiche e
l’identità del nostro modo di essere. Ma la nostra alta cultura
sembra in questa fase storica quanto mai aliena dal volersi
assumere questo impegno “nazionale”. Una politica estera che
non trascuri la ricchezza culturale del paese, ma veda anzi, in
essa, una straordinaria possibilità di arricchimento dovrebbe
quindi utilizzarla anche come sostegno allo slancio della
produzione, delle esportazioni, dell’economia, ma non solo. La
cultura dovrebbe cercare di rappresentare il nostro paese, la sua
vitalità, in tutti gli aspetti che oggi lo caratterizzano,
ovviamente senza mancare di spirito autocritico.
Il processo di globalizzazione in corso, che coinvolge tutti i
popoli, ha un’evidente sostanza socio-economica, ma per avanzare
senza troppe scosse gli occorre anche una crescente dimensione
socio-culturale. E' di moda criticare, soprattutto quando si
tratta di svalutare con ironia il passato rispetto a presunte
straordinarie, risolutrici impostazioni e innovazioni del
presente. Quanto a me, credo invece che non da oggi, ma da tempo
la politica estera italiana abbia individuato nel prestigio
culturale del paese una delle migliori carte a sua disposizione.
Lo ha fatto – direi – con crescente consapevolezza negli
ultimi decenni, ma naturalmente nell’ambito delle disponibilità
finanziarie che le sono state concesse: poiché una seria e
producente politica culturale verso l’estero costa e costa
molto.
Tuttora non credo si possa immaginare qualcosa di alternativo alla
nostra rete di Istituti di cultura (un centinaio) e di lettorati
universitari sparsi nel mondo. Sono strumenti e canali di base
usati da tutti i paesi a noi comparabili. Ma la nostra rete di
Istituti è palesemente insufficiente, soprattutto in alcune aree
geografiche, come l’Asia, e per estenderla ci vorrebbero più
soldi, che purtroppo non ci sono. L’eterna disputa fra chi
sostiene che, per operare negli Istituti, siano più indicate
personalità “di chiara fama” e chi invece ritiene preferibili
elementi che rispondano a caratteristiche professionali vagliate,
per fortuna non deprime, nell’insieme, la buona volontà e la
capacità di lavoro della nostra rete culturale. Gli Istituti, –
questa è una novità importante, al passo con i tempi e
opportunamente stimolata da ultimo dal governo e per esso dalla
dinamica Direzione generale degli Scambi culturali della Farnesina
– hanno, in genere, già mostrato una notevole e crescente
capacità di sollecitare finanziamenti esterni a favore di singole
iniziative: sarà opportuno continuare a incoraggiarli su questa
via.
Inoltre, pur continuando a sfruttare al massimo l’attuale rete
di Istituti di cultura, è oggi possibile affiancarvi degli
strumenti alternativi, che non soggiacciano agli stessi vincoli
finanziari. La scelta di strumenti addizionali è d’altronde
anche imposta dall’esplosione dei mezzi di comunicazione in
corso (televisione satellitare ed Internet) e dalla
globalizzazione culturale che ne sta sempre più conseguendo. Fra
questi, mi sembra si possano in primo luogo indicare le Fondazioni
pubblico/private per la promozione della cultura italiana
all’estero, che possono nel contempo divenire luogo di incontro
e di confronto fra le priorità delle nostra promozione culturale
e quelle della promozione economica, quindi un canale per ottenere
un apporto di risorse dal settore privato ed uno strumento di
intervento più agile della burocrazia. E' recente ed è stato
esemplare, in questo campo, il notevole successo della Fondazione
“Italia in Giappone 2001”. Con alcune grandi e ben scelte
manifestazioni artistiche rivolte al grande pubblico nipponico e
ben collegate al “modo di vivere” italiano si sono ottenuti
straordinari successi promozionali in quel Paese di tradizioni così
diverse, pur se desideroso di aprirsi.
Vi è il progetto, che mi sembra molto interessante, di
trasformare in permanente la Fondazione nata per il Giappone e di
assegnarle la promozione della cultura italiana nel mondo, con
obiettivi che il settore pubblico potrebbe concordare volta per
volta con i privati. Vi è poi, certo, la possibilità di una più
attiva mobilitazione della Società Dante Alighieri e dei suoi
Comitati all’estero. Di questo mi è capitato di scrivere, da
varie angolazioni e in molte occasioni, anche sull’ultimo numero
di questa rivista. Ricorderò qui soltanto che è vero che la
struttura centrale della Dante dispone di pochi mezzi. Non se ne
vergogna e non se ne lamenta troppo. Nonostante queste
ristrettezze, infatti, i nostri Comitati all’estero sono circa
500 – caratterizzati dal volontariato e
dall’autofinanziamento, come non mi stanco di ricordare – e
quindi la Dante riesce ad essere presente in moltissime città e
regioni dove non abbiamo Istituti di cultura e non li avremo mai.
Nuovi Comitati si sono recentemente aperti ad esempio nel Caucaso
e nell’Asia centrale ex sovietica, persino in Mongolia.
Dal centro cerchiamo di riservare i mezzi e gli incentivi di cui
disponiamo per valorizzare queste iniziative, proponendoci
naturalmente di fare, via via, di più. Infine, ritengo che
occorra attrezzarsi per fare promozione culturale attraverso le
televisioni, e attraverso Internet in Paesi prioritari di grandi
dimensioni (Cina, India, Russia, ma anche Stati Uniti) ed inoltre
in una miriade di Paesi piccoli dove non possiamo impiantare un
Istituto di cultura. La televisione ed Internet rappresentano una
via di accesso diretto a larghe fasce della popolazione. È
pensabile, se vi fossero buona volontà e intese, utilizzare
canali esistenti, ma sino ad oggi molto trascurati, come Rai
International. Le dispute interne ed esterne sulla Rai-tv di Stato
sono continue e assordanti, ma di argomenti importanti e concreti
come questo, per ora, non si è riusciti a parlare seriamente,
nonostante qualche sforzo del ministero per le Comunicazioni e di
quello per gli italiani nel mondo.
Vorrei chiudere con alcune considerazioni che prendono spunto da
aspetti dell’attualità.
E' evidente che nel vagliare la politica culturale verso
l’estero sia necessario valutare cosa più interessa, cosa sia
più utile ai singoli Paesi verso i quali essa si indirizza. Credo
sia ogni giorno più evidente, ad esempio, che il nostro turismo
all’estero, cresciuto a dismisura e diventato ormai in ogni
stagione anche solo di fine settimana in paesi contigui, determina
in questi una necessità di attrezzarsi per l’accoglienza, che
include tra l’altro una sufficiente conoscenza dell’italiano.
Con molti di questi paesi contigui o vicini, in particolare quelli
della costa mediterranea africana e quelli di oltre-Adriatico,
abbiamo poi in comune il problema crescente dell’immigrazione,
sia quella indispensabile alla nostra economia sia, purtroppo, i
così dolorosi e travagliati flussi clandestini. In tutte queste
aree, per queste e molte altre ragioni, è urgente e sarebbe
opportuna un’azione culturale che punti a una migliore
conoscenza del nostro paese ed anche specificatamente
all’insegnamento dell’italiano: è un campo vastissimo, nel
quale, di nuovo, sono molte le componenti che possono lavorare
utilmente: da quella pubblica, (statale o regionale), alla Dante
Alighieri, alle tante iniziative private mosse dal volontariato, a
cominciare da quello d’ispirazione cattolica.
11
aprile
2003
(da
Ideazione 6-2002, novembre-dicembre)
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