Anais Nin, la seduzione dell’anima
di Fulvia Galli della Loggia

Uno specchio frantumato, la propria immagine a terra, spezzettata in una miriade di io che riflettono aspetti separati, scissi nel caos di un’esistenza che non troverà altra possibilità di identità se non attraverso la scrittura di sé. Sono passati cento anni dalla nascita di Anais Nin, – 21 febbraio 1903 – scrittrice, femminista, musa ispiratrice non solo di Henry Miller, ma di molti esponenti letterari e surrealisti di un’epoca artistica e letteraria tra la Parigi degli anni ’30 e la New York degli anni ’40. Una donna che attraverso la scrittura tenterà di rimettere assieme i pezzi della propria esistenza partecipando disperatamente al senso profondo della propria femminilità, nascosta sotto cortine di modelli antichi, moderni: “Ero una bambina, una moglie e un’amante, ma senza avvedermene avevo evitato la donna: non ero una donna. Il sesso da solo non ha fatto di me una donna. La passione di Henry non era bastata a fare di me una donna”. Le parole di Anais Nin cercano il centro profondo e unico della propria esistenza ancorandosi sulle pagina bianche di diari che attraverso un processo creativo autogenerino la propria identità.

I suoi diari scritti dal 1914 al 1977, anno della sua morte, rifugio e oppio come li definisce la stessa autrice, diventano presto da resoconto adolescenziale luogo dell’anima dove spogliarsi delle proprie personificazioni mondane, unico specchio in cui potersi ancora riflettere. La vita, allora, è solo un teatro di prova dove sperimentare le proprie infinite possibilità di essere, per poi trovare unica verità e totalità nella solitudine della scrittura creativa. E non poteva certo mancare l’esperienza del teatro della psicoanalisi, alla ricerca di un “Tu” che rimandi al proprio Io, in un incontro in cui perdersi e confondersi nell’amplesso erotico che, misticamente, assurge alla completezza del sé, ricongiungendo nel gioco delle proiezioni ciò che si era rotto una mattina quando il padre di Anais abbandonò la moglie e la famiglia lasciando nelle dita della figlia undicenne l’eredità di un destino di itinerante, dispersa nei sentieri del vuoto dell’abbandono.

E così - come raccontato nel negli anni dal ’32 al ’34 - avvalendosi della creatività della psiche l’erotismo di Anais si fa sacralità, per una scrittrice che a torto si trova ancora menzionata nella letteratura erotica. Nell’esercizio dell’amplificazione emotiva dei propri sentimenti, la scrittrice trova l’ispirazione della creazione di sé attraverso l’arte, sperimenta l’unica forma di vita che contenga l’assoluto. “Forse sapeva – l’analista Otto Rank – che la donna ben presto se ne sarebbe andata in fumo perché non c’era un ruolo per lei, il compito di una donna consiste nel vivere per un uomo e questo mi era negato – che vivere frammentata fra tre uomini era la negazione della donna. E che sarei stata sospinta verso l’arte”. E quale arte migliore da interpretare se non quella di musa. Dare corpo e linfa vitale non solo alla propria creazione ma, in un processo di amplificazione mitopoietica di assoluto, a tutte le menti e i corpi degli uomini di cui si attornia nell’ultimo estremo tentativo di integrità attraverso la dissoluzione nell’opera d’arte: “Io ho l’amore degli egoisti perché mi inserisco nei progetti delle loro creazioni […] non pretendo che l’uomo rinunci al suo lavoro per me: entro nell’opera, la nutro, la sostengo […] E loro fanno morire di fame la donna che è in me”.

Plasmandosi e aderendo al desiderio dell’immaginazione maschile attraverso l’altro avrà vissuto, desiderato e amato tutto ciò che appartiene alla possibilità umana di fare della propria esistenza il racconto di una storia nell’elaborazione fantastica di sé: “Ho sedotto il mondo con un volto carico di dolore e un libro altrettanto carico di dolore. Ho sperimentato i più profondi drammi dell’esistenza, che in seguito voglio sognare, cessare di vivere per me stessa, per quella che non ho il coraggio di essere, perché i sentimenti degli altri mi toccano, perché chiunque, persino colui che in apparenza congedo a mani vuote, a quanto sembra porta via un pezzo della mia carne e della mia forza… e mi chiedo che cosa resterà, di me, dopo questa lotta per vivere per me stessa, che è tanto, ma tanto difficile, così stancante”. Anais Nin rimane così, attraverso la sua vita fattasi parola, la testimonianza più che attuale di un percorso di identità femminile ancora lungi dall’essersi concluso.

28 febbraio 2003
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