Un’immacolata concezione della libertà
di Nicola Iannello

Tra i molti difensori della libertà in epoca contemporanea, Murray Newton Rothbard si è ritagliato un posto di primissimo piano. Il pensatore americano ha infatti avuto il coraggio di intraprendere la fondazione di un edificio concettuale secondo criteri di assoluta originalità. Se il materiale da costruzione impiegato nell’impresa si trova disseminato lungo la storia e la tradizione del diritto naturale e del liberalismo, il tentativo rothbardiano ha il pregio di tentare soluzioni architettoniche pressoché inedite, senz’altro ardite. L’attività di questo economista e filosofo, accademico e divulgatore, polemista e organizzatore culturale, ha coperto oltre quattro decenni, mantenendo negli anni una coerenza di fondo nel segno della lontananza dal mainstream della cultura americana; Rothbard ha sempre seguito un suo percorso di ricerca personale senza mai correr dietro alle mode del momento. Stella polare di questo scienziato sociale è stata la libertà. Qualunque suo lavoro, in ogni campo del sapere da lui frequentato, ha sempre tenuto ben fermo questo punto di riferimento. 

La principale caratteristica del libertarismo rothbardiano è quella di fondare la libertà nella natura umana; l’economista newyorkese si innesta così saldamente nella tradizione aristotelico-tomistica, un filone di pensiero entrato già nella storia del liberalismo classico con la Seconda Scolastica. In epoca contemporanea a Rothbard, la fondazione della libertà nella natura umana è propria anche di Ayn Rand, la scrittrice e filosofa americana di origine russa fondatrice dell’Oggettivismo. Questa opzione che fonda consapevolmente il dover essere sull’essere, ricavando valori dalla natura, prescrizioni da descrizioni, batte in breccia la “legge di Hume”. La filosofia politica rothbardiana contesta la Wertfreiheit di tanta parte delle scienze sociali moderne, andando alla ricerca di un fondamento “forte” di tutto l’edificio concettuale. 

La libertà, scrive Rothbard, facendo sue le parole di Lord Acton, “è il più alto fine politico”, ovvero il valore principale di quell’aspetto della vita associata in cui c’è da valutare la legittimità del ricorso all’uso della forza fisica. In questo senso la riflessione sulla libertà nasce gemella con la riflessione sulla violazione della libertà: l’aggressione. Compito della filosofia politica – cui Rothbard assegna un alto profilo – è quindi interrogarsi sulle condizioni che rendono giustificato il ricorso alla forza nelle relazioni umane, ovvero se e quando l’uomo ha diritto a usare la forza contro l’altro uomo. Quella rothbardiana è una reine Freiheitslehre nel senso che l’autore di The Ethics of Liberty definisce la libertà bandendone dall’interno la negazione, ovvero l’aggressione. Lo fa attraverso una riformulazione della libertà in termini di proprietà. La proprietà non può per definizione – nell’universo concettuale rothbardiano – costituire violazione dell’altrui proprietà. 

Questa dottrina pura della libertà è speculare alla centralità nella filosofia politica libertaria della giustizia intesa come riflessione sull’uso legittimo della forza nei rapporti umani. Dirimente diventa la definizione di aggressione come inizio dell’uso della forza. Di conseguenza, legittimo è il ricorso alla forza in risposta all’aggressione cioè per difesa. Rothbard enuncia con chiarezza le direzioni di analisi: “La chiave della teoria della libertà è l’istituto dei diritti di proprietà privata, in quanto la sfera ammissibile della libera azione di ciascun individuo può essere stabilita solo una volta analizzati e determinati i suoi diritti di proprietà. Il “crimine” può essere quindi definito e adeguatamente studiato come l’invasione violenta o l’aggressione contro la legittima proprietà di un altro individuo (che comprende la proprietà del suo stesso corpo). La teoria positiva della libertà, allora, diventa una analisi di che cosa debba essere considerato un diritto di proprietà e, di converso, di che cosa debba essere considerato un crimine”. Il pensiero di Rothbard si assegna quindi due compiti: la definizione di una teoria della proprietà e la definizione di una teoria della legittimità (e specularmente illegittimità) della violenza nelle relazioni umane. L’esposizione seguirà quest’ordine in quanto, secondo Rothbard, la distinzione tra violenza aggressiva e difensiva5 presuppone una teoria della proprietà.

Una teoria della proprietà

La purezza della dottrina rothbardiana della libertà – oltre che nel tentativo di depurarla dall’aggressione – sta anche nella desiderabilità della sua applicazione totale. In altre parole, la libertà non ammette limiti nel senso che per definizione non è licenza. Al contrario dell’eguaglianza, la libertà è un valore “puro” e quindi non soggetto a dosaggi consigliati. Mentre nessuno (o quasi) propone l’applicazione totale dell’eguaglianza, Rothbard propone l’applicazione totale della libertà. Di solito gli egualitari non vogliono un’eguaglianza completa ma un’approssimazione a un ideale-guida (solo gli estremisti fanatici predicano l’eguaglianza integrale), come se fosse coerente indicare un valore ma predicarne la realizzazione parziale: come potrà mai essere preferibile il conseguimento di parte di un valore piuttosto che il suo conseguimento totale? Rothbard parla di “rivolta contro la natura” a proposito dell’egualitarismo, citando un racconto di Kurt Vonnegut in cui si dipinge una società egualitaria del futuro: la completa realizzazione del valore “eguaglianza” ha condotto alla penalizzazione dei più intelligenti tramite l’introduzione di un congegno disturbatore nell’orecchio, per impedir loro di trarre vantaggio dai talenti naturali del cervello.

La libertà è invece formulata da Rothbard come ideale totalmente auspicabile. Rothbard può far ciò per mezzo dei diritti di proprietà e della loro naturalità. La teoria della proprietà di Rothbard si fonda sulla self-ownership e sullo homesteading. L’economista americano intraprende un’opera di fondazione consueta per chi si accinge a questa prova, basti pensare alla teoria dell’entitlement (titolo valido) proposta da Robert Nozick. Nel pensiero rothbardiano, la libertà è definita lockianamente in termini di proprietà, e la proprietà è radicata nella natura umana. Self-ownership – Nella sua fondazione di un’etica della libertà in aperta e consapevole violazione della “legge di Hume”, Rothbard prende le mosse dal “fatto naturale del dominio della mente sul proprio corpo e sulle sue azioni, cioè, della naturale proprietà di se stesso”. La lingua inglese permette l’uso di un termine assai perspicuo come self-ownership per intendere questo concetto che in italiano si può rendere con “proprietà di sé” o “autoproprietà”; si tratta dell’applicazione di un vantaggio più generale dell’inglese, quello di disporre di una radice germanica e di una radice latina per indicare concetti affini: ownership permette così di impiegare property in un senso più specifico – la proprietà come diritto reale – senza quelle ripetizioni che soffre invece l’italiano.

Giovandosi di questa chiarezza concettuale e lessicale, Rothbard intraprende la fondazione della property sulla ownership. Il primo passo riguarda la persona. La proprietà di sé appare come una verità autoevidente, un fatto incontrovertibile della natura. L’autore di The Ethics of Liberty procede a dimostrare le implicazioni (il)logiche della negazione della self-ownership, il diritto di controllare il proprio corpo libero da interferenza coercitiva, come avverrebbe nel caso in cui tutti appartenessero a tutti in modo eguale – il comunismo – o nel caso in cui un gruppo appartenesse parzialmente ad un altro – il dominio di classe. Bocciate le alternative impraticabili, non resta che riconoscere che “la società della proprietà assoluta di se stessi da parte di tutti si fonda sul dato originario della naturale proprietà di se stessi”. In questo modo anche la conclusione contribuisce a dimostrare la premessa: se vogliamo affermare che gli uomini hanno diritti e che tutti dispongono in modo eguale di questi diritti, allora il punto di partenza del ragionamento deve essere per forza il diritto di ciascuno ad esser padrone del proprio corpo. L’universalità della self-ownership è quindi l’unica base insieme morale e logica per affermare i diritti dell’uomo. A questo non piccolo pregio si aggiunge anche il primo passo verso la depurazione della libertà dall’aggressione: “Ogni uomo può godere del diritto alla proprietà di sé, senza che vi sia coercizione ai danni di alcuno”. La proprietà, base della libertà, nasce innocente.

Homesteading – Se la self-ownership permette l’affermazione del diritto dell’uomo a disporre in modo esclusivo del proprio corpo e delle proprie capacità, la teoria della proprietà di Rothbard ha bisogno di un criterio per sancire la legittimità dell’appropriazione dei beni materiali. Per muovere questo secondo passo lungo il tragitto che dalla ownership conduce alla property, l’economista riprende la “proprietà di ogni uomo della propria persona e del proprio lavoro”. L’acquisizione di beni tangibili si configura come estensione, tramite il lavoro, dei diritti della persona. Come l’uomo ha proprietà di sé, così ha anche proprietà delle opere compiute. Per spiegare l’appropriazione dei beni tangibili Rothbard si rifà a John Locke e alla sua teoria del lavoro “mescolato”. Rothbard non a caso usa il termine homesteading, che deriva dall’occupazione delle terre da parte dei pionieri nella frontiera americana, una sorta di “diritto del primo occupante”; con questa parola si vuole indicare più in generale l’acquisizione di beni che sono res nullius.

Il concetto va interpretato nell’ottica della dottrina economica “austriaca” che formula la teoria soggettiva del valore: il valore di un bene è attribuzione del soggetto, anzi la stessa caratteristica di “bene”, antecedente a quella di valore, è conseguenza di un giudizio dell’individuo. Alla luce di questa premessa teorica, Rothbard intende il diritto di proprietà come situazione giuridica soggettiva che nasce in capo al soggetto che “inventa” un bene tramite il proprio lavoro. In questo senso, l’attività dell’uomo crea un valore che prima non c’era e si appropria di questa creazione. Nel caso dei coloni del West americano, gli homesteader appunto, si tratta dell’acquisizione di terre vergini; nel caso dell’inventore o dello scopritore si tratta della cosa inventata o scoperta; nel caso dell’artigiano si tratta del “pezzo” prodotto; nel caso del lavoratore subordinato si tratta del compenso percepito, una ricchezza che prima non c’era e che quindi viene creata e appropriata col lavoro. Ovviamente, in un’ottica soggettivistica “austriaca” questa centralità del lavoro è tutt’altra cosa rispetto alla teoria marxiana, ma con ascendenze classiche, del valore-lavoro: il lavoro crea la proprietà ma non il valore che è attribuzione del soggetto. Se volessimo semplificare al massimo le posizioni, per Marx è il produttore a creare valore, per gli “austriaci” è il consumatore.

Secondo Rothbard, siamo così giunti a formulare “una teoria dei diritti di proprietà. Ognuno ha un assoluto diritto al controllo e alla proprietà del suo stesso corpo e delle risorse naturali inutilizzate che egli scopre e trasforma. Ognuno ha il diritto di cedere i beni tangibili (sebbene non possa alienare il controllo della propria persona e della propria volontà) e di scambiarli per ottenere beni altrui. Di conseguenza, tutti i legittimi diritti di proprietà derivano dalla proprietà che ciascuno ha della persona, insieme al principio di homesteading, che afferma che beni senza proprietario appartengono per diritto al primo possessore”. Protagonista del mondo rothbardiano è così l’uomo con i suoi diritti assoluti. Rothbard è un giusnaturalista che si muove nel solco della tradizione lockiana. La teoria della proprietà ha carattere fondativo per tutto il suo pensiero etico-politico: “Questi due assiomi, il diritto alla proprietà di se stessi e il diritto di homestead, rappresentano l’intera gamma dei princìpi del sistema libertario”. La proprietà, così come il lavoro, può essere data o scambiata col consenso di chi ne ha diritto: è la giustificazione del dono, del contratto e dell’economia di libero mercato; il capitalismo è l’ordine delle cose umane che si basa su queste premesse. “La libertà è una condizione in base alla quale i diritti di proprietà (ownership) di una persona sul proprio corpo e sulle sue proprietà (property) materiali legittime non vengono invasi, e non sono oggetto di aggressioni da parte di altri”16; secondo questa visione, il crimine è essenzialmente aggressione contro la persona o le cose della persona.

Riprendendo una fondamentale osservazione di Ayn Rand, Rothbard afferma che “non c’è alcun diritto umano separabile dai diritti di proprietà”. La dicotomia tra diritti umani e di proprietà è artificiale; i diritti di proprietà pertengono solo agli umani, il diritto umano alla vita richiede il diritto a mantenere ciò che si è prodotto per sostenere la vita; “non solo i diritti di proprietà sono anche diritti umani, ma nel senso più profondo non ci sono diritti se non diritti di proprietà. I soli diritti umani, in breve, sono diritti di proprietà […]. I diritti “umani” della persona che sono difesi nella pura società di mercato sono, in effetti, il diritto di proprietà di ogni uomo sul proprio essere, e da questo diritto di proprietà deriva il suo diritto ai beni materiali che egli ha prodotto”. I diritti umani, quindi, devono essere assorbiti nei diritti di proprietà. Ovviamente, secondo Rothbard, non c’è bisogno dello Stato per definire o allocare i diritti di proprietà, bastano l’uso della ragione e i processi di mercato. Rothbard ritiene così, avendo preso le mosse dalla concezione di natura umana, di aver fondato un sistema di pensiero basato sulla libertà intesa come proprietà; ma questo procedimento fondativo è introduttivo al secondo passo nella purificazione della libertà: “La filosofia politica è quel sottoinsieme della filosofia etica che si occupa specificamente della politica, ossia del giusto ruolo della violenza nella vita umana (di qui la spiegazione di concetti quali “crimine” e “proprietà”)”. Questo ci introduce alla seconda parte della nostra ricostruzione.

Giustizia, violenza e aggressione

Secondo il modo di procedere che abbiamo ricostruito, la teoria della proprietà permette di formulare il concetto di aggressione: “L’ “aggressione” viene definita come l’inizio dell’uso o della minaccia della violenza fisica contro la persona e la proprietà di altri”. La filosofia politica rothbardiana giunge a fermare un punto: l’aggressione è sempre violenza, la violenza non è sempre aggressione. Scomponiamo questo enunciato e analizziamolo separatamente. Aggressione e violenza – La prima parte dell’enunciato significa che Rothbard non considera illegittime forme di pressione come il ricatto che è fondamentalmente uno scambio su base volontaria; solo l’invasione fisica (o la sua minaccia) alla persona e alla proprietà è aggressione in senso proprio. Questa posizione di principio porta a conseguenze pratiche importanti. In primo luogo, per i libertari vanno depenalizzati tutti i cosiddetti victimless crimes, ovvero quelle attività che spesso sono proibite dai pubblici poteri ma che non soddisfano la definizione in oggetto di aggressione: prostituzione, consumo e commercio di droga, usura, diffamazione. 

Per il libertarismo, in tutti questi casi, siamo di fronte a rapporti tra adulti consenzienti, di certo non punibili sul piano politico proprio in quanto mancanti di quel contenuto di aggressione che solo giustifica e legittima l’uso della forza. La prostituzione, ad esempio, è lo scambio di prestazioni sessuali contro denaro, e anche il lenocinio, finché non impiega la violenza, non è che un’attività di intermediazione. L’assunzione di droga è un atto di disposizione del proprio corpo, nocivo per sé ma assolutamente non violento nei confronti degli altri, e lo spaccio non è che commercio applicato ad un bene particolare. L’usura è prestito ad interesse, e nulla costringe in senso proprio il “bisognoso” a ricorrere ai soldi dello strozzino. La diffamazione è l’uso della parola per esprimere giudizi negativi e offensivi su una persona; ma neanche in questo caso ricorre aggressione, in quanto la reputazione che verrebbe lesa non è altro che l’idea che gli altri hanno della persona diffamata, la quale però non può accampare alcun diritto su ciò che gli altri pensano di lui. Il ricatto è lo scambio di denaro contro la rinuncia a divulgare informazioni imbarazzanti; rispetto al normale pettegolezzo ha il vantaggio di fornire alla “vittima” la possibilità di comprare il silenzio.

In secondo luogo, a salire sul banco degli imputati è lo Stato, l’istituzione che più di ogni altra mette a repentaglio i diritti dell’individuo. Lungi dal proteggere i propri cittadini, “lo Stato commette abitualmente omicidio di massa, chiamandolo “guerra” […]; lo Stato pratica la schiavitù nelle proprie forze militari, e la chiama “coscrizione”; vive e giustifica la propria esistenza attraverso la pratica della rapina, chiamata “tassazione”. L’anarchismo libertario di Rothbard si spiega proprio a partire dalla coerenza della sua impostazione etica: uccidere, ridurre in schiavitù, rubare sono azioni illegittime a prescindere da chi è l’uccisore, lo schiavista, il ladro. Se assiologicamente l’individuo con i suoi diritti viene prima delle istituzioni, allora le azioni che violano l’individuo e i suoi diritti restano tali anche se commesse in nome di entità quali la società, lo Stato, la classe. Violenza e aggressione – La seconda parte dell’enunciato rothbardiano su aggressione e violenza significa che la violenza in sé non ha connotazione, è neutra, nel senso che la filosofia politica è chiamata a distinguere tra violenza aggressiva e violenza difensiva, sceverando così quella illegittima da quella legittima; in particolare, il libertarismo deve individuare i criteri per definire la legittima difesa.

Si tratta di distinguere, in ordine alla valutazione della violenza, tra una posizione pacifista e una posizione libertaria. La prima si schiera contro la violenza tout court, considerandola un male in sé; la seconda prende partito contro la violenza aggressiva cioè a tutela della proprietà legittima. Nel mondo libertario la “forza legittima” non cessa di esistere ma viene meno il suo monopolio. A sorreggere la visione del libertarismo sta il terzo concetto fondamentale della filosofia politica rothbardiana, l’assioma di non aggressione: “Il credo libertario si basa su un assioma centrale: nessuno può aggredire la persona o la proprietà altrui”. L’assioma di non aggressione chiude il cerchio aperto dalla teoria della proprietà; per essere applicabile infatti occorre prima stabilire criteri di giustizia nell’appropriazione: “nessuno ha il diritto di violare la legittima o giusta proprietà di un altro”.

Il punto qualificante dell’assioma di non aggressione sta nell’individuazione del criterio di inizio dell’uso della forza per giudicare sulla legittimità o meno di tale uso. Chi ricorre per primo alla violenza nella relazione con gli altri uomini si configura come aggressore e si colloca quindi in una posizione illegittima; all’opposto, colui contro il quale s’inizia l’uso della forza riveste la posizione di vittima e quindi si trova nella situazione di potersi difendere legittimamente con la forza. Se l’aggressione – inizio dell’uso della forza – è illegittima, la difesa – uso della forza in ritorsione – è legittima. Rothbard assegna quindi un alto profilo al mestiere di filosofo politico, al contrario di quello che è accaduto nella disciplina dopo il successo di A Theory of Justice di John Rawls. Se la giustizia che ha in mente il filosofo di Harvard recentemente scomparso è quella “sociale” o “economica”, quella ricercata dall’autore di The Ethics of Liberty è ben più radicale e si interroga sull’uso della forza nelle relazioni umane: “La libertà è un principio morale, radicato nella natura umana. Più precisamente si tratta di un principio di giustizia, dell’abolizione della violenza aggressiva negli affari degli uomini”. Ben prima quindi di occuparsi di distribuire o redistribuire risorse, la speculazione è chiamata a interrogarsi sulla legittimità del ricorso alla forza.

Una libertà totale

Se la definizione della proprietà è necessariamente propedeutica alla definizione dell’aggressione, l’aggressione è necessaria per purificare totalmente la dottrina rothbardiana della libertà. Rothbard rimuove dalla libertà definita in termini di proprietà il potenziale aggressivo; la coesistenza delle libertà non deriva quindi dalla limitazione delle libertà di tutti ma è il risultato di una libertà per se non aggressiva. La centralità della proprietà per la filosofia politica rothbardiana emerge in tutta la sua portata teorica se poniamo mente alla problematicità del concetto di libertà. Il campo liberale è alla ricerca dei confini della libertà poiché ovviamente la libertà non comprende le attività di aggressione violenta contro soggetti non aggressori e vari sono stati i limiti concettualmente prospettati alla libertà. Secondo una visione classica vale il principio del neminem lædere, in base al quale la libertà di un soggetto trova un limite nelle conseguenze dannose che ricadono su altri soggetti: “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri”, come recita l’art. 4 della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789. 

Ma il concetto di “nuocere ad altri” è troppo ampio per poter essere una guida sicura; è fuor di dubbio infatti che in base al principio del neminem lædere si può autorizzare qualsivoglia intervento limitativo della libertà. Soprattutto se si pone mente al fatto che nella storia del pensiero liberale il “nuocere ad altri” è stato talvolta sostituito dal semplice “riguardare gli altri”, come nel caso di John Stuart Mill. Il criterio milliano è inservibile in quanto ogni azione umana produce una serie di conseguenze, positive o negative, imprevedibile; non a caso, la giustificazione della co-gestione delle fabbriche (Mitbestimmung) parte proprio dalla constatazione incontrovertibile che le decisioni dell’imprenditore producono conseguenze nelle situazioni degli operai. Nella filosofia politica contemporanea è in atto un ripensamento del concetto di neminem lædere attraverso la categoria della proprietà privata: l’elaborazione di Rothbard si inserisce nel tentativo, compiuto anche da altri teorici liberali, di riformulare i concetti fondamentali della libertà. A mo’ d’esempio prenderemo brevemente in esame i tentativi di Friedrich von Hayek e Robert Nozick che con Rothbard convergono sul punto che la sfera inviolabile del singolo è delimitata da quello spazio individuabile per mezzo del diritto di proprietà; la differenza sta nell’approccio, utilitaristico quello di Hayek, giusnaturalistico quello di Rothbard e di Nozick.

Hayek è partito proprio dalla problematicità del concetto di azione dannosa per ripensare dalla radice i fondamenti del pensiero liberale. La concezione hayekiana del diritto si salda con la consapevolezza dell’imprevedibilità delle conseguenze verso terzi delle azioni umane; il principio classico del neminem lædere va riformulato, stante l’impossibilità di proibire tutte le azioni che possono in qualche modo danneggiare gli altri. Occorre distinguere tra aspettative legittime, con cui nessuno – singolo o governo – può interferire, e aspettative che possono andar deluse. Il solo modo finora trovato per tutelare le aspettative legittime è “quello di definire per ogni individuo un campo di azioni permesse determinando [...] campi di oggetti di cui solo certi individui possono disporre, escludendo tutti gli altri dal loro controllo”. Il liberalismo è inseparabile dall’istituzione della proprietà privata che costituisce appunto la parte materiale di quel dominio individuale protetto dalle norme generali di giusta condotta, senza però metter capo, nella visione hayekiana, a una definizione dei diritti fondamentali della persona; il libertarismo si distingue proprio per prender le mosse dalla definizione dei diritti naturali dell’uomo, intesi lockianamente come ciò che nessuno può ledere negli altri. Quello di Hayek è un discorso lockiano che fa a meno dei diritti naturali di Locke: la libertà, l’indipendenza della persona presuppone una sfera materiale intangibile nella quale l’individuo è sovrano. 

La posizione di Nozick è più difficile da individuare perché egli sembra non ricondurre integralmente i diritti dell’uomo – ricordiamo la nota affermazione che apre Anarchy, State, and Utopia: “Gli individui hanno diritti” – ai diritti di proprietà, essendo questi ultimi introdotti solo nella seconda parte del libro. L’ambiguità del principio del neminem lædere non preoccupa il filosofo di Harvard, il quale ha “l’immagine di una società libera, nel senso di incorporare una presunzione a favore della libertà, una società in cui le persone sono autorizzate ad agire finché con ciò non danneggino altri in modi specificati”. Nel tentativo di legittimare lo stato minimo, Nozick deve giustificare la proibizione dell’esecuzione privata della giustizia imposta dall’agenzia dominante degli indipendenti. Nozick si allontanta dalla prospettiva dei diritti dalla quale aveva preso le mosse escogitando il “principio epistemico di violazione di confini: […] quanto una persona può fare non è limitato solamente dai diritti degli altri. […]. Questo spazio extra è creato da considerazioni epistemiche”. 

Al fondo di questo principio ci sono considerazioni di informazione e conoscenza, come quella che l’agenzia non sa, a differenza del cliente, se il cliente punito dall’indipendente è veramente colpevole – e quindi meritevole della punizione – oppure no. Sulla base di questa teoria epistemologica della legittimità delle azioni, Nozick può concludere in favore della rivendicazione dell’agenzia-Stato a proibire il diritto della giustizia privata. Nello stesso senso va anche il “principio di risarcimento”, “secondo cui chi impone una proibizione su attività rischiose è tenuto a risarcire chi è svantaggiato dal fatto che gli siano proibite”. L’introduzione di questo principio serve per sostenere l’obbligo della compagnia di protezione dominante a fornire il servizio di protezione come risarcimento agli indipendenti cui ha proibito l’esecuzione privata della giustizia in quanto considerata attività rischiosa. Grazie al concetto di “azione rischiosa” Nozick rovescia il concetto di risarcimento: normalmente è chi arreca un danno, che paga il risarcimento; qui è chi proibisce l’azione rischiosa che paga il risarcimento. Egli preferisce proibire un’azione rischiosa – nel caso specifico, l’esecuzione privata della giustizia – dietro pagamento di un risarcimento piuttosto che lasciar liberamente agire gli uomini e affidare la risoluzione delle eventuali dispute sui diritti a un sistema privato (non a caso Nozick prende esplicitamente le distanze da Rothbard che ammette l’esecuzione privata della giustizia).

Al fine di precisare la classe di azioni risarcibili, Nozick propone la distinzione tra attività (scambi) produttive e attività (scambi) improduttive. Con le prime l’acquirente sta meglio rispetto al caso in cui il venditore non ci fosse; con le seconde, se esse fossero proibite una delle parti non si troverebbe in condizioni peggiori. Il silenzio del ricattatore, anche se pagato, è un’attività improduttiva perché le vittime starebbero altrettanto bene se il ricattatore non esistesse; Nozick sembra qui abbracciare un punto di vista utilitaristico perché considera il vantaggio che si trae dallo scambio, non il fatto che lo scambio è espressione di libertà. La distinzione tra attività produttive e attività improduttive passa attraverso la confutazione della liceità del ricatto secondo Rothbard36; l’autore di Anarchy, State, and Utopia considera il ricatto attività improduttiva in quanto sostiene che si può pretendere risarcimento solo per la proibizione di attività produttive. Nozick elabora una teoria del “giusto prezzo” del ricatto: il ricattatore può lecitamente pretendere solo ciò di cui si priva tacendo (ciò che altri gli pagherebbe perché riveli l’informazione), non la cifra che il ricattato è disposto a pagare. Il discorso sul ricatto è introduttivo al parallelo tra servizi di protezione, produttivi e vantaggiosi per chi li riceve, e “il racket della protezione”, non produttivo; Nozick manca clamorosamente il punto, non accorgendosi che il “racket” vende l’astensione dal danneggiare, cioè minaccia ricorso alla violenza fisica contro individui non aggressori, ciò che per Rothbard manca nell’azione del ricatto. Il “racket della protezione” può esser proibito senza risarcimento non perché è un’attività improduttiva ma perché è un’attività aggressiva quindi illegittima.

Con il “principio epistemico della violazione di confine” e con il “principio di risarcimento”, il filosofo di Harvard rende difficile l’individuazione degli spazi intangibili di libertà degli individui e problematica la formulazione di diritti assoluti. Nozick non crede che i diritti di proprietà possano da soli risolvere il problema della coesistenza delle libertà perché non affronta il problema del neminem lædere; la ritardata introduzione del diritto di proprietà nel suo discorso non gli permette una corretta definizione dei confini delle azioni lecite. Rothbard affronta di petto la questione della libertà; non a caso la Parte Quarta di The Ethics of Liberty è dedicata a una ricognizione di alcune moderne teorie della libertà alternative alla sua. In queste pagine vengono criticati gli approcci di Ludwig von Mises, in quanto utilitaristico, di Isaiah Berlin, per la contraddittorietà del concetto di “libertà negativa”, di Friedrich von Hayek, per l’indeterminatezza del concetto di coercizione, Robert Nozick per la “immacolata concezione” dello Stato.

Rothbard affronta il problema dal punto di vista giusnaturalistico, iscrivendo l’assioma di non aggressione nel codice genetico del suo sistema; la formulazione classica del “non recar danno ad altri” è ritenuta troppo vaga poiché può includere nella proibizione qualunque azione. Attraverso una critica sia interna sia esterna della “Legge della libertà eguale” di Herbert Spencer – “Ogni uomo ha libertà di fare tutto ciò che vuole, a patto che non violi la eguale libertà di ogni altro uomo” – egli cerca di dare una definizione accettabile di libertà. Secondo la critica interna, è possibile formulare in modo inequivoco il concetto di violazione: “interferenza fisica diretta con la persona o proprietà di un altro uomo, o minaccia di tale interferenza fisica”. Secondo la critica esterna, la Legge spenceriana è pleonastica perché “ogni” contiene già il fatto che la libertà di nessuno è stata violata; in questo modo la seconda parte della Legge diventa superflua. La posizione libertaria estrema approda alla Legge della Libertà Totale: “Ogni uomo ha un diritto a fare ciò che vuole con il proprio (with his own)”, in cui la libertà è coestesa alla proprietà. La teoria rothbardiana della libertà parte dalla ownership per definire l’own che delimita il diritto ad agire dell’individuo. Se rammentiamo che la self-ownership nasce come diritto senza coercizione verso gli altri, allora dobbiamo ammettere che anche l’own permette di formulare un diritto all’azione senza aggressione verso gli altri.

La costruzione concettuale rothbardiana mette capo a una società libera o società della “pura libertà”: “Il regime di pura libertà – la società libertaria – può essere descritto come una società nella quale nessun titolo di proprietà viene “distribuito” da chi non ne è titolare; una società, in breve, in cui nessuno può molestare o violare la proprietà di un uomo – della sua stessa persona o di beni materiali – o interferire con essa. Ma questo significa che la libertà assoluta, in senso sociale, può essere goduta non soltanto da un Crusoe isolato, ma anche da qualunque membro della società, per quanto essa possa essere complessa o avanzata. Infatti se, come accade per Crusoe, la proprietà “naturale” (della persona e di beni) di ciascuno è libera da invasioni o molestie da parte di altri, tutti godono della più assoluta libertà”. Alla base di tutto sta una definizione di libertà che ha come pilastri fondanti la proprietà e l’aggressione. Quella rothbardiana è una “immacolata concezione” della libertà – per volgere in termini positivi l’immagine usata a scopo negativo da Rothbard a proposito di Nozick41 – nel senso che evita le insidie dell’ormai classica distinzione tra libertà negativa e libertà positiva per concentrarsi sulla centralità dell’essere dell’uomo, del suo corpo, del suo lavoro, della sua volontà. Il realismo antropologico rothbardiano consente la fondazione di una filosofia politica che sia l’etica di una libertà concepita senza peccato.

14 febbraio 2003

(da Ideazione 1-2003, gennaio febbraio)

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