Libri. L’individuo negato
di Carlo Roma

Un uomo grida a pieni polmoni la sua pesante responsabilità. Cerca di liberarsi dal tormento che l’opprime e che gli impedisce di vivere serenamente. E’ consapevole di essersi macchiato, in un frangente di pura e semplice follia, di una colpa micidiale. Rivede e rivive, azione dopo azione, la scena in cui si è consumata la tragedia che ha cancellato con un solo colpo tutta la sua vita. Desidera espiare, è pronto ad essere giudicato e a pagare in base alla giusta pena. Non aspetta altro che un giudizio serio e giusto. La società, però, non lo ascolta. La giustizia del suo paese sembra intenzionata a redimerlo. Il perdono, misto a commiserazione, suona come una risposta singolare ad un reato gravissimo ed ingiustificabile. L’immagine del colpevole viene trasformata e sfumata, in un sorprendente gioco di specchi, fino a cambiare pelle. Di fronte a coloro che devono valutare il suo caso l’incriminato appare come un disadattato da reintegrare nel novero degli esseri civili. La sua figura riflette la classica fattispecie di uno squilibrato, debole ed insicuro, capace soltanto di gesti inconsulti e riprovevoli. L’uomo, in realtà, non è un disadattato. Non è uno squilibrato da curare con la forza della persuasione frutto delle attente strategie messe in atto da un gruppo affiatato di psichiatri ed assistenti sociali. Non ha bisogno di calarsi in una dimensione che non gli appartiene e per la quale non nutre alcun interesse. Vuole consumare, momento dopo momento, la sua vita recuperando il filo spezzato di un’esistenza difficile, ricca di promosse ma povera di risultati appaganti.

Torben, dunque, è uno scrittore danese poco prolifico ma con molta ambizione. I suoi libri hanno ottenuto un discreto successo ed egli ha goduto, almeno per un breve periodo, di una certa fama. Trascinato nel vortice della stagione dei sogni, un po’ utopici della fine degli anni Sessanta immagina un mondo nuovo con più diritti e garanzie per tutti. Poi, d’un tratto, tutto sembra franargli addosso. Il successo, mese dopo mese, si affievolisce fino a spegnersi completamente. La sua vena creativa si inceppa e, alla fine, ristagna. La sua penna non è più in grado di scorrere veloce sulla pagina bianca. Le sue finanze, oramai ridotte all’osso, lo costringono a lasciare il lussuoso appartamento da cui ha visto crescere la sua notorietà e realizzare le sue aspettative. La moglie, l’amata Edith, lo segue insieme al figlio. Una sera come tante, allora, la crisi sfocia in tragedia. Torben, dopo cena, beve e discute animatamente con la moglie. Perde lucidità e non riesce più a sorvegliare i suoi movimenti, i suoi gesti e le tante emozioni. “Cosa hai Torben - gli chiede Edith prima di soccombere - Dimmi perché mi guardi così con odio! Torben in questo momento tu mi odi! Confessa che mi odi!” Probabilmente non la riconosce più. Avvicinandosi alla moglie per accarezzarla, la vede indietreggiare, terrorizzata. Diventa furioso ed incontenibile. “Incominciò a colpirla debolmente, ma poi la rabbia ebbe il sopravvento e continuò a picchiare sul ventre, sulla faccia, sui fianchi. Non riusciva a fermarsi, e quando la sentì gridare aiuto, si mise a sbatterle la testa contro il muro, e poi ancora contro il pavimento, quando si era accasciata a terra senza vita”. Quando Torben si ferma tutto è perso per sempre. Inizia la sua incessante ricerca della verità spinta dalla necessità virtuosa di espiare facendosi riconoscere colpevole.

Non è un caso che l’autore di L’uomo che voleva essere colpevole, Henrik Stangerup, cineasta e scrittore danese prematuramente scomparso nel 1998, abbia fatto precedere il suo romanzo da un’epigrafe tratta dagli scritti di Kirkegaard nella quale si legge: “Come è accaduto che io sia divenuto colpevole? O forse io non sono colpevole? Che miserabile invenzione è il linguaggio degli uomini se una cosa dice e altra ne intende?” Il senso profondo della responsabilità è legato, pertanto, all’incertezza. Incertezza che, nel modello sociale danese, viene ancor più corroborata fino a far scomparire il principio della responsabilità del singolo su ogni azione che compie in autonomia e libertà. Nessuno operatore sociale riconosce che Torben, preda di una furia cieca ed assassina, ha brutalmente ucciso sua moglie. La piccola società danese, volendo preservare la sua integrità morale non lo aiuta ma, al contrario, lo getta nel dolore. Gli impedisce di esprimere la sua inquietudine, la sua angoscia ed il suo desiderio di essere giudicato secondo giustizia. Lo condanna, in altre parole, alla spoliazione della sua identità umana.

17 gennaio 2003

crlrm72@hotmail.com

Henrik Stangerup, L’uomo che voleva essere colpevole, Guanda editore, pag. 173, € 7,23

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