Politica, fenomenologia di un comune
sentire
di Diego Gabutti
Sulle icone superstiti della politica, per un automatismo
culturale ormai incontrollabile, i civilizzati scaricano il peso
di tutte le loro disgrazie e frustrazioni, di quelle storiche come
di quelle personali. Alla politica, che ha promesso rinascite e ha
prodotto catastrofi, che non ha saputo esorcizzare né tanto meno
governare la barbarie, si presenta il conto di tutte le
mortificazioni che si sono accumulate lungo un secolo di massacri
e di guerre civili, di crisi economiche, di convivenze scomode e
pericolose. Nondimeno la politica, per quanto invecchiata e ancora
lontana dall'aver trovato un nuovo elisir di giovinezza dopo la
morte imprevista e fulminante delle ideologie, non ha alternative
apprezzabili, soprattutto in Italia, dove l'antipolitica ha in
breve mostrato la sua autentica natura di potere irresponsabile,
infondato e demagogico, al di là del bene e del male. E’ su questi
temi che ragiona Alessandro Campi, professore associato di storia
delle dottrine politiche a Perugia, segretario generale della
Fondazione Ideazione e studioso di Carl Schmitt, nel suo ultimo
libro, “Il ritorno (necessario) della politica”, dove la necessità
di tornare alla politica, specie là dove tutti ne diffidano, è
messa giocoforza tra parentesi, a segnalare una difficoltà una
difficoltà e quasi una pietra d'inciampo. Raccolta di saggi, di
ritratti e d'analisi, Il ritorno (necessario) della politica è
anche un libro di divulgazione, che rende conto d'un secolo di
pensiero politico disallineato, da Allan Bloom a Julien Freund, da
Raymond Aron a Giuseppe Maranini, le cui biografie intellettuali
attestano, nella generale rovina, una residua nobiltà della
politica.
Nella politica, tuttavia, almeno secondo il comune sentire, non
c'è più salvezza, se mai ce n'è stata. Oggi sono piuttosto le
chimere della globalizzazione, l'internazionalizzazione dei
linguaggi e dei costumi, l'espansione senza limiti del web, le
nuove frontiere che s'intuiscono sull'orizzonte delle
biotecnologie a disegnare, nel mondo che il tracollo delle
ideologie ha desacralizzato dalla sera al mattino, i contorni
d'una nuova utopia per così dire postpolitica, individualista,
affrancata dalle bandiere nazionali e dalle strutture di controllo
messe in campo dalle burocrazie statali. Persino il giudizio
corrente sulla politica quotidiana, per esempio sulle miserie e
sciatterie del nostro "teatrino politico", come gli stessi
politici hanno battezzato lo scenario infelice entro il quale si
muovono a passi insieme rumorosi e circospetti, partecipa del
giudizio cosmico e inappellabile che ha colpito gli olocausti, il
gulag, le guerre, le picchiate della borsa e tutte le altre
devastazioni sociali, come se il macrocosmo si riflettesse davvero
nel microcosmo, come se tragedia e farsa fossero davvero una cosa
sola. Non è così, naturalmente: il "teatrino politico" è una cosa,
la ferocia ideologica e il disumanesimo un'altra. Ma intanto la
politica è guardata a vista, come un vigilato speciale, che da un
momento all'altro potrebbe tornare a delinquere.
Alessandro Campi descrive con realismo, da politologo, questa
deriva delle tradizionali architetture sociali, di cui ci si
vorrebbe sbarazzare come d'un abito vecchio e ormai fuori misura,
a costo di trasformare il mondo in un falansterio nudista. Sono
gli stessi politici, per lo più, a invocare istituzioni naturiste,
più "umane" e più "dirette". Si tratta, naturalmente, della solita
astuzia meschina: la politica, quando non è in grado di
rinnovarsi, si riproduce occupando di prepotenza, come il cuculo,
i nidi altrui, di preferenza quelli dei suoi nemici naturali.
Dalla politica, però, si pretende ben altro, specie in tempi
d'emergenza: che sia la sintesi, né più né meno, delle
trasformazioni sociali. Se non c'è alternativa alla politica,
all'invenzione cioè di forme pratiche, realistiche e spregiudicate
di convivenza civile, non c'è alternativa neppure al suo
rinnovamento: le forme antiquate della politica ideologizzata del
XX secolo, che ci trasciniamo ancora appresso come il fantasma che
arranca sugli spalti del castello infestato strascicando
eternamente le sue catene, devono puramente e semplicemente
svanire per fare posto a forme nuove e inedite. Già si sono
schiuse le uova d'una nuova percezione del mondo, che oggi
chiamiamo globalizzazione in mancanza di termini migliori, ma non
sappiamo ancora niente del pulcino che ne uscirà da un momento
all'altro. E’ tempo di costruire ipotesi sul suo carattere e sulla
sua natura.
17 gennaio 2003
Alessandro Campi, "Il ritorno (necessario) della politica",
Antonio Pellicani Editore Roma 2002, pp. 208, € 15,50
(da, "Il Nuovo", del 16 dicembre 2002) |