Libri. I giri di valzer della politica
estera italiana
di Pino Bongiorno
Nel periodo compreso tra la fine della seconda guerra mondiale e
la dissoluzione del mondo comunista, la politica estera del nostro
paese ha risentito, più che altrove, dei condizionamenti della
politica interna e, soprattutto e forse di conseguenza, ha avuto
nella “doppiezza” la sua cifra più peculiare. E’ questa la tesi
centrale, convincente e ben argomentata, dell’ultima fatica
editoriale, dal titolo “Guida alla politica estera italiana”
(Rizzoli, Milano, 2002, € 16,50), dell’instancabile Sergio Romano.
“Stretta fra una duplice esigenza – gli imperativi della guerra
fredda e quelli della democrazia consociativa, i richiami
all’ordine dell’alleato maggiore e l’intonazione ‘progressista’
pretesa dalle forze di sinistra non appena mettevano piede
nell’area di governo – la diplomazia italiana ha adottato uno
stile ambiguo e oscillante che ricorda per certi aspetti i ‘giri
di valzer’ della democrazia liberale prima della Grande Guerra e
potrebbe definirsi ‘microgollismo’” (p. 10). La guerra fredda,
cioè la divisione del mondo in blocchi impossibilitati a
combattersi apertamente, ha consentito all’Italia, in virtù della
sua collocazione geopolitica, di ritagliarsi un ruolo unico nel
panorama mondiale, presentandosi al tempo stesso alleata e
“neutrale”, cobelligerante e nonbelligerante.
Negli anni del centrismo degasperiano, nonostante qualche
fisiologico ondeggiamento, la politica estera italiana tiene ben
ferma la barra del timone e abbraccia le due cause, atlantica ed
europea, da cui dipendevano rispettivamente sicurezza e
modernizzazione. Con la presidenza della Repubblica di Giovanni
Gronchi (1955-1962) si compie il tentativo di creare le condizioni
internazionali per un’Italia progressista e mediterranea.
“Un’Italia di sinistra, amica degli americani, ma libera dalle
briglie strette dell’Alleanza Atlantica, sarebbe stata il miglior
partner possibile per i paesi emergenti del Mediterraneo” (p.
106). Piuttosto che essere relegati all’ultimo posto fra le
potenze continentali si ambisce al primo fra le nazioni
mediterranee. Anche perché una scelta atlantica autentica avrebbe
costretto il paese a conformarsi ai modelli politico-culturali
dell’Occidente, con le conseguenze etico-sociali che ne sarebbero
derivate, e ad assistere, probabilmente, all’eclissi dei valori e
delle gerarchie tradizionali della società italiana. Una scelta
mediterranea, al contrario, almeno nelle forme possibili nello
scenario epocale, non avrebbe costituito una simile minaccia.
Emblematica di tale doppiezza, auspicata e rivendicata, è la prima
esperienza agli Esteri, fra il 1958 e il 1959, di Amintore
Fanfani, che ribadisce la fedeltà all’alleato americano accettando
l’installazione in territorio italiano di rampe per missili di
media gittata mentre utilizza la politica petrolifera di Enrico
Mattei per favorire un rapporto privilegiato col mondo arabo.
Negli anni Sessanta - con l’apparire sulla scena, fra gli altri,
di personaggi del calibro di Chruščev Giovanni XXIII e Kennedy -
prende corpo in Italia una nuova corrente di opinione,
antiatlantica e antiamericana, assai più composita e vasta di
quella del decennio precedente. Ne fanno parte, con motivazioni
genericamente pacifiste e antifasciste, il partito comunista,
alcuni gruppi della sinistra laica e frange considerevoli del
mondo cattolico. Negli anni Settanta, sebbene per ragioni interne
e internazionali il paese possa godere di una libertà d’azione
maggiore che in passato, la politica estera italiana risulta
tentennante e sbiadita, “continuamente sollecitata da due spinte
opposte: quella degli impegni atlantici o comunitari sottoscritti
negli anni precedenti, quella del velleitarismo terzaforzista o
terzomondista che esercitava ormai una sorta di ricatto permanente
sul governo” (pp. 162-163). Dopo le dimissioni del governo
Andreotti, nel 1979, la politica estera per rimanendo
“consociativa” si svincola dall’abbraccio comunista e inizia a
tenere finalmente il passo con l’insieme del blocco occidentale.
Per concludere, dalla presidenza Gronchi alla fine della guerra
fredda, durante circa un trentennio, l’Italia si è mossa a livello
internazionale dando un colpo al cerchio e un colpo alla botte,
inseguendo il massimo di sicurezza all’ombra della protezione
americana e il massimo di autonomia nei rapporti con l’Unione
Sovietica, l’Est europeo, i paesi arabi. Tra il 1989 e il 1991 è
andato tutto in aria, anche la possibilità di speculare sulla
propria collocazione geopolitica e sulle inevitabili
contraddizioni della logica dei blocchi contrapposti.
17 gennaio 2003
Sergio Romano, "Guida alla politica estera italiana. Da Badoglio a
Berlusconi", Rizzoli, Milano, 2002, pp. 326, € 16,50 |