Leonardo Mondadori, ritratto di un uomo
di Carlo Stagnaro
Ieri è morto Giorgio Bocca. Era un personaggio molto simpatico e
gentile, ma nelle vicende editoriali mi ha molto deluso. Mi
riferisco ai suoi rapporti col gruppo de “L’Espresso” che non ho
mai capito. Forse perché era aiutato nella carriera.
Se io cominciassi così un articolo il giorno, speriamo lontano, in
cui il giornalista piemontese avrà lasciato questa valle di
lacrime, verrei censurato senz’esitazione. Giustamente. Invece,
Giorgio Bocca, che è Giorgio Bocca, può dire proprio queste
parole, riprese da “La Stampa” (di sabato 14 dicembre), a
proposito di Leonardo Mondadori, scomparso venerdì scorso all’età
di 56 anni con la grave “macchia” d’aver frequentato l’Opus Dei.
La malattia che l’ha stroncato, un tumore al pancreas, gli era
nota da tempo. Egli sapeva d’aver poche speranze, era conscio del
fatto che ogni giorno di vita erano ventiquattr’ore strappate alla
morte, un dono della Provvidenza. Forse proprio per questo, negli
ultimi anni, s’era riavvicinato (lui, di famiglia orgogliosamente
laica) al culto cristiano, grazie anche all’aiuto d’un direttore
spirituale, don Umberto de Martino, che appunto fa parte del
movimento fondato dal santo Josemarìa Escrivà de Balaguer. E’
vero: Mondadori entrò nell’opera per ragioni di carriera. Ma non,
come lascia intendere Bocca, per vendere più libri o avere qualche
buona offerta pubblicitaria. Piuttosto, perché egli guardava a
un’altra carriera, quel cursus honorum che dura tutt’una vita e
porta i cattivi all’Inferno, e le persone così così al Purgatorio.
Mondadori, tuttavia, di certo “è andato in Paradiso”, nota
Vittorio Messori, che col presidente del principale gruppo
editoriale italiano ha scritto il best seller “Conversione”. Un
libro importante per capire cosa muoveva quell’uomo profondo e
appassionato.
In quelle 170 pagine veloci e intriganti, egli si mette a nudo, si
racconta, si svela. Non per vanagloria: non ne avrebbe avuto
bisogno. Non era certo un individuo cui mancassero gli adulatori.
Piuttosto, lo fa animato da uno spirito di missione: spingere i
propri lettori (che sono tanti, tanti davvero) a ritornare tra le
braccia della Chiesa, qualora l’avessero abbandonata. O a
esaminare attentamente le proprie posizioni, ricondurle nell’alveo
di un rigore dottrinario che non è solo forma, ma anche e
soprattutto sostanza. “Mettersi sulle orme del Cristo – spiega
Mondadori – significa scoprire una dimensione che, basta guardarsi
attorno, è scomparsa ovunque altrove, almeno nel mondo che più
frequento, quello dell’economia, della cultura, dell’arte. E’ la
dimensione, meravigliosa e unica, della gioia”. Questa gioia,
sottolinea Messori, “non era soltanto frutto di un temperamento
felice e quella sorta di allegrezza che, già anni prima, avevo
notato in lui senza rifletterci più di tanto. Me lo ha confermato,
confidandomi quale sia ormai, per lui, la radice di ogni gioia:
‘Quella di una confessione fatta bene. Quando ti rialzi, dalla
sedia o dall’inginocchiatoio, ti viene voglia di andartene via
fischiettando’. Naturalmente, una confessione sacramentale non
come episodio isolato, bensì come scansione periodica di una vita
che abbia ritrovato un senso, un ordine, un significato in una
prospettiva unificante, che congiunga tempo ed eterno”.
Una gioia, bisogna aggiungere, che nell’erede di Arnoldo Mondadori
era palpabile, visibile, contagiosa. Ebbi solo un’occasione di
vederlo in carne e ossa: fu durante la presentazione del suo libro
a Milano, il 25 maggio 2002. Ciò che mi colpì fu proprio il suo
sorriso, la sua espressione, vera e sensibile testimonianza di
quella “plastica all’anima” ch’egli racconta d’aver fatto grazie
all’incontro con Gesù. E “Conversione” s’apre proprio con una
confessione shock, almeno per chi voglia tirare un bilancio avendo
le miserie terrene come unica misura: “La vita, per alcuni è cupa,
per altri grigia. Per me è radiosa… Godo di una vita cristiana
vibrante. Ed è questa visione di fede che, malgrado tutto, rende
la mia esistenza radiosa”. In questi ultimi giorni, i coccodrilli
per Leonardo Mondadori si sono sprecati. Dalla maggior parte
traspariva il tono solito, a metà tra il freddo cinismo della
“notizia” e un ricordo mieloso, ché dei morti non si può parlar
male – oppure, la critica “materialistica” à la Bocca. Io credo
ch’egli avrebbe desiderato essere ricordato non tanto per i suoi
atti, le sue intuizioni, le sue conquiste: tutte cose grandi e
importanti che il tempo, crudele distruttore di ricordi, spazzerà
come scritte sulla sabbia. Penso piuttosto che avrebbe desiderato
rimaner vivo nel cuore di tanti con quella sua espressione gaia,
lieta, quasi santa verrebbe da dire.
Non voglio dunque commiserare la scomparsa d’un grand’uomo. E’
scritto nella natura delle cose: si nasce, si muore, e nella sua
infinita bontà il Creatore ha stabilito che sia sufficiente un
pentimento – sincero – in zona Cesarini per guadagnare un posto
sul direttissimo per il Cielo. Voglio immaginare così Leonardo
Mondadori: comodamente seduto in uno scomparto di quel treno,
mentre sorridendo fa un cenno d’addio al finestrino. E voglio
pensare altresì che noialtri ricambiamo il saluto. E’ vero, una
lacrima riga le guance: non è la tristezza disperata di chi ha
perso qualcosa. E’ la commozione di chi qualcosa ha trovato, la
solida certezza e l’accesa speranza che un giorno potremo
rivederlo. E’ uno di quei sentimenti di cui non ci si deve
vergognare. E’ quell’emozione che fa tremare il cuore, che scuote
quei luoghi dell’animo ove gioia e dolore sono tutt’uno. E’ la
consapevolezza del grande dono che Mondadori, con la propria vita,
con la propria stessa esistenza, ha fatto a tutti noi.
cstagnaro@libero.it
16 dicembre 2002 |