Addio a Mario Castellacci, il padre del "Bagaglino"
di Luciano Lanna


Il miglior saluto è stato quello di Pippo Franco: "Sono nato con lui al Bagaglino e lui mi ha insegnato a vivere". Una confessione commossa e a caldo, che la dice tutta sulle qualità umane e artistiche di Mario Castellacci, il grande autore teatrale, cinematografico e televisivo scomparso mercoledì 4 dicembre a Todi dopo un periodo di malattia. Aveva 78 anni ma, nel cuore e nello spirito, era sempre rimasto il "ragazzo di Salò" che, volontario a diciannove anni nella Guardia nazionale repubblicana, era subito diventato famoso per aver scritto la canzone forse più autoironica per tutti quelli che avevano scelto di schierarsi "dalla parte sbagliata". Eppure, ancora alla fine degli anni Settanta c'era chi era pronto a rinfacciarglielo: "Il successo del Bagaglino - annotava Roberto Mazzucco nel suo "L'avventura del cabaret" - è abbastanza preoccupante. Suo autore di punta è Mario Castellacci, il paroliere della famigerata canzone repubblichina Le donne non ci vogliono più bene perché portiamo la camicia nera". Una canzone "famigerata" ma che conteneva già in nuce tutti gli ingredienti della vena creativa di Castellacci: il riferimento alle donne, la capacità di non prendersi mai troppo sul serio e di saper ridere anche di se stessi, una visione "scanzonata" della vita.

Nato nel 1924 a Reggio Calabria, dopo l'esperienza bellica - da lui rievocata ne "La memoria bruciata" (Mondadori, 1998) - Castellacci si era gettato anima e corpo nel giornalismo. Aveva collaborato al "Candido" di Giovannino Guareschi, poi a "Cronache italiane" e infine a "Lo Specchio". Poi nel 1963 era entrato alla Rai, diventando anche vice caporedattore del Giornale Radio e responsabile dello Speciale Gr. Ma la svolta o, meglio, l'occasione per dare corpo alla sua vera vocazione arrivò nel 1965. A Milano era nato da qualche anno il Derby, il cabaret che aveva visto il debutto di Enzo Jannacci, Bruno Lauzi, Cochi e Renato e altri, con testi di Beppe Viola, Giancarlo Fusco, Luciano Bianciardi. Si stava affermando una "via italiana al cabaret". E anche Roma pensò di aprirsi al fascino della ribalta in cantina e al piacere della sedia scomoda. Mario Castellacci sarà infatti uno dei cinque giornalisti che insieme a un musicista, duecentomila lire in cassa e un contratto di affitto con una cantinaccia umida e fangosa di Vicolo della Campanella, a due passi da piazza Navona, diedero vita al Bagaglino. Con lui c'erano Raffaello Della Bona, giornalista del Secolo d'Italia; Pier Francesco Pingitore, redattore capo del settimanale di destra Lo Specchio; Piero Palumbo - giornalista, anche lui a Lo Specchio; Luciano Cirri, capo della redazione romana de il Borghese e il musicista Dimitri Gribanovski. Quel cabaret avrebbe dovuto chiamarsi Bragaglino come omaggio Anton Giulio Bragaglia - il futurista fondatore del teatro degli Indipendenti - ma intervennero gli eredi rifiutando di concedere l'autorizzazione. Cadde così la "r" e si arrivò al Bagaglino. "Non significava nulla - si legge sul primo numero della omonima rivista il Bagaglino - un'insegna incomprensibile, bizzarra e vuota, che attendeva un contenuto per significare qualche cosa in se stessa, per vivere (come è avvenuto) di luce propria". Eppure quell'insegna incomprensibile sarebbe diventata un logo e un'icona destinati a trionfare negli anni nel teatro, nel cinema, nella televisione.

Già prima del debutto, era il 23 novembre 1965, Mario Castellacci aveva presentato al gruppo il giovane Oreste Lionello, subito arruolato come regista e primo attore. E poi gli altri della prima compagnia: il palermitano Pino Caruso, Claudia Caminito, Gabriella Gazzolo e, al piano, Pino Roccon. E i cantanti che si sarebbero esibiti dopo lo spettacolo: Tony Cucchiara, Nelly Fioramonti, Gabriella Ferri, Leo Valeriano e Pat Starke... Si rideva sulla Democrazia cristiana, sui preti del dialogo, sui comunisti alla moda, sui riti della società dei consumi. Il successo fu immediato e inaspettato. Subito le accuse per un cabaret nato a destra. Ma Castellacci, Pingitore e gli altri non si scomposero, rivendicando l'appellativo di "anarchici di destra": "La circostanza è rigorosamente esatta - rispondevano - e la ragione è, in sostanza, questa: la mitologica, convenzionale, pianificata, oppressiva cultura di regime "sta a sinistra"...". Molti gli attori e i cantanti che si lanceranno negli anni dal palco del Bagaglino. Tra gli altri, dal locale di via della Campanella si esibì per la prima volta in pubblico il cantante napoletano Roberto Murolo. E poi passarono su quel palcoscenico Pippo Franco, Bruno Lauzi, Lino Toffolo, Arnoldo Foà, Lando Fiorini, Enrico Montesano, Gianfranco D'Angelo, Carlo Delle Piane... memorabili gli anni in cui Pino Caruso cantava Il mercenario di Lucera: "Sono morto nel Katanga / venivo da Lucera / avevo quarant'anni / e la fedina nera...".

Nei primi sette anni del Bagaglino andarono in scena ventidue spettacoli originali, una memorabile crociera tournée in veliero, spostandosi anche in tutte le maggiori città italiane. E nell'ottobre 1972 si arrivava al trasloco dalla vecchia cantina di vicolo della Campanella allo storico Salone Margherita in via Due Macelli, a due passi da piazza di Spagna. Dopo sette anni di ininterrotta attività di successo, il cabaret - da allora firmato dalla coppia Castellacci e Pingitore - si trasferiva tra gli stucchi, le specchiere e il fastoso decoro liberty di quello che era stato l'antico e glorioso cafè-chantant romano. Il Bagaglino approdava nel teatro da dove agli inizi del secolo Ettore Petrolini aveva lanciato il suo Nerone e cantato I salamini e da dove Filippo Tommaso Marinetti aveva indetto le prime serate futuriste e declamato le sue "parole in libertà". Forse la scelta non era neanche casuale: da Bragaglia a Marinetti, il cabaret romano voleva comunque sottolineare le sue fonti d'ispirazione. Jena ridens e Ndo' vadis furono gli ultimi spettacoli messi in scena sull'antica pedana della "Campanella". Homunculus, Auricolaria e Hobby i primi tre col nuovo logo: Il Bagaglino al Salone Margherita. Un logo che sarà anche un'etichetta discografica - I dischi del Bagaglino - col repertorio romanesco di Gabriella Ferri, le canzoni e i monologhi di Pippo Franco e le antologie di Pino Caruso. E tutte le canzoni di Gabriella Ferri erano scritte proprio da Mario Castellacci. Indimenticabile "Sempre", che registrò un successo strepitoso.

Il Bagaglino, da allora, diventerà la firma di una banda che per oltre trenta anni spopolerà in teatro, cinema e televisione. Da quel primo film del duo Castellacci-Pingitore - Nerone con Pippo Franco, Oreste Lionello, Enrico Montesano, Gianfranco D'Angelo e Maria Grazia Buccella - tante saranno le pellicole made in Bagaglino: Remo e Romolo, L'imbranato, Sfrattato cerca casa a equo canone... Mario Castellacci, poi, sarà autore di un musical come "Forza venite gente" che ad oggi resta il primatista assoluto in Italia con le sue tremila repliche nei teatri di tutta la penisola. Popolarissime, del resto, tutte le trasmissioni televisive firmate Castellacci, dai lontani Dove sta Zazà e Mazzabubù sino, negli anni Ottanta - agli spettacoli televisivi dal salone Margherita: Biberon, Crème Caramel, Viva l'Italia, Saluti e baci... - firmati Catellacci. Di non minore impatto la collaborazione di Castellacci con Gigi Proietti per una serie di fortunate trasmissioni: "Fantastico 4", "Di che vizio sei?", "Club 92".

Quando nel 1979 Castellacci e Pingitore dichiaravano che dopo quattordici anni di attività il Bagaglino lasciava la strada del vecchio cabaret, spiegavano come questo significasse l'avvio di una nuova stagione all'insegna della commedia musicale che rinnovava, adeguandola ai tempi, "l'intonazione fortemente satirica e il richiamo costante ai fatti e ai personaggi di attualità" del repertorio "bagaglino" di sempre. Il Bagaglino anni Ottanta faceva sua la lezione dell'epoca televisiva, agguantando l'attenzione dei telespettatori non solo con uno stuolo di procaci bellezze - Pamela Prati, Valeria Marini e le altre... - ma anche con un universo di politici-replicanti che si fa beffa del Palazzo reale con l'animazione di un conduttore-mattatore come Pippo Franco. E comunque, nonostante il grandissimo successo di pubblico, Castellacci arrivò a dire: "La critica non ci ha mai voluto bene". La critica, ma anche il mondo cosiddetto "impegnato". Gli attributi femminili messi in primo piano in tv fecero strepitare negli anni Ottanta i notabili democristiani che a proposito di quella trasmissione che registrava oltre dieci milioni di telespettatori arrivarono a bacchettare precisando: "Rai Uno è il canale delle famiglie". E anche l'Osservatore Romano, al tempo della Guerra del Golfo, arrivò ad accusare Castellacci e Pingitore per averne fatto oggetto di satira - "Cosa accadrà non si sa / missili di qua, missili di là / trullallero trullallà" - proprio mentre il Papa era impegnato in preghiera per fermare il conflitto. Niente di cui scandalizzarsi, comunque. D'altra paarte in Italia di fronte ai fenomeni popolari e di grande successo si tenta, da sempre, di esorcizzarli con le accuse di "commerciale" e di "qualunquista". Ma si è sempre trattato di accuse che su Castellacci, Pingitore e la banda del Bagaglino sono sempre scivolate via senza nessuno effetto. La loro satira è sempre stata irriverente anche nei confronti di questi luoghi comuni intellettuali e dei loro presunti pedaggi. Con il Bagaglino a parlare e ad avere l'ultima parola è sempre stato il consenso del pubblico. Del resto, quel mix composto da una ironia politica popolaresca, da una trascinante farsa plautina e dall'immancabile coreografia di belle donne resta la miglior firma di Mario Castellacci nell'immaginario italiano del Novecento. "La sua morte - ha commentato Oreste Lionello - è un grande acquisto per l'aldilà: era un uomo che non amava apparire nonostante la sua grandezza". O forse, aggiungiamo noi, proprio per la sua grandezza: la grandezza di chi non si prende mai troppo sul serio, di chi crede fino in fondo alla forza dell'ironia.

6 dicembre 2002

lucianolanna@hotmail.com

 
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