Libri. Ritratto di dandy
di Paolo Priolo

La figura del dandy è una delle più fraintese della storia del costume. La sua identità viene convenzionalmente individuata, dalla vulgata massmediale, nelle forme di un'indefinita eccentricità, di una vaga stravaganza. In tal senso, il libro di Giuseppe Scaraffia è primariamente utile a chi vuole mettere a fuoco le generalità di uno stile di vita e di un modello di comportamento ben definiti e quasi irrimediabilmente scomparsi. Il dandy ha vissuto il suo momento di massimo fulgore e oscurità nel Novecento. E' stata una delle "figure del Novecento". L'identificazione del dandy novecentesco, distinto dal languido e prezioso esteta dell'Ottocento, e la certificazione del suo declino, iniziato negli anni Quaranta con il crollo delle élite aristocratiche e completato dal processo di omologazione operato dai media, sono le fondamentali premesse di una divertita e rigorosa indagine sull'esistenza di un mito disperso.

La squisita maschera del dandy viene svelata, con estro enciclopedico, attraverso la sapiente tessitura dei gusti, delle passioni, delle manie e delle inclinazioni di alcuni grandi protagonisti - perlopiù letterari, spesso francesi - del secolo scorso: Paul Morand, Drieu La Rochelle, Gabriele D'Annunzio, Jean Cocteau, Francis Scott Fitzgerald, Vladimir Majakovskij, Curzio Malaparte, Roger Nimier, Jacques Rigaut e molti altri. Perfezionista e solitario, assoluto individualista, asceta impeccabile e raffinato, il dandy persegue l'intento di "trasformare se stesso in opera d'arte" e "lo stile che si manifesta in ogni suo gesto è quello che resta della morale smarrita della modernità". La sua eleganza, austera e voluttuosa, "ricercata fino alla naturalezza, è l'insegna, continuamente rinnovata, di una maestà incognita, il vellutato memento di una grandezza segreta", e la sua immutabile disinvoltura è "il distillato di un disagio che nulla può mitigare".

Refrattario alle seduzioni del potere, sempre in cerca di nemici, fatalmente attratto dalle cause perse, "il dandy cerca invano nel volto dei vinti un'eco delle virtù che ama: il distacco da ogni interesse, l'ebbrezza di essere in minoranza, il gusto dell'azzardo e del gioco sempre più stretto con la morte". Il suo luttuoso e spavaldo edonismo è l'espressione di "chi sa che le gioie della vita valgono quanto il suo estinguersi". Scaraffia ridona alla figura del dandy la sua nobiltà e la sua profondità, e stende allo stesso tempo, indirettamente, un manifesto contro la volgarità, alla ricerca della bellezza perduta. Rintraccia una maschera, magnificamente inattuale, scolpita in un tempo e in uno spazio impossibili, e la fa affacciare, opportunamente nascosta, sul palcoscenico invisibile del nostro presente: inelegante, chiassoso e omologato. Offre, implicitamente, un antidoto contro gli assalti dell'imperante trivialità. E lo fa con spirito ludico, assistito da un'ironia vigile; ben consapevole, come Pierre Drieu La Rochelle, che ogni ritirata dalla modernità si rivela inattuabile, benché audace e affascinante.

8 novembre 2002

Giuseppe Scaraffia, Gli ultimi dandies, Sellerio Editore, Palermo, 2002, pp. 208 - € 9.
 
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