Heinlein, il libertario delle galassie
di Alberto Mingardi
Quando una filosofia politica spicca il volo, cerca l'uscita
d'emergenza uscendo dalla torre d'avorio. S'intrufola nei cinema
di periferia e sulle pagine dei fumetti. Approda alla letteratura,
scassina il forziere della fantasia, smette di essere un programma
e s'improvvisa racconto, parabola, storia. E' quello che è
avvenuto per il socialismo, scolpito nei ritratti di Dickens ancor
più che nei sofismi di Marx. Ma è anche quanto è successo, a
cavallo del secolo scorso, per la filosofia della libertà. In
America, almeno. Gli anni successivi alla fine della Seconda
guerra mondiale sono stati, da più di un punto di vista, cruciali.
E' ben vero che la Old Right, la tradizione delle libertà, uscì
con le ossa rotte dal doppio terremoto del New Deal e della
guerra: le sue penne celebri, i suoi alfieri arrabbiati, si
scoprirono superfluous men. Eppure, proprio nei primi anni
Cinquanta, muoveva i primi passi un movimento nuovo, anzi due. Da
una parte, i traditori del sogno: quei neo-conservatives che così
profondamente avrebbero influenzato la politica statunitense,
talvolta in modo deleterio, eppure segnavano il distacco di una
parte importante dell'intellighenzia dalle pretenziose illusioni
del socialismo realizzabile. Dall'altra, i continuatori del sogno:
i libertarians che si sarebbero incamminati sulle orme del vecchio
individualismo yankee, del libertarismo western, radicalizzandone
il messaggio e tenendo accesa la fiaccola. Apparentemente agli
antipodi, le due scuole di pensiero sono state assai efficaci
nell'impacchettare proposte, nel disegnare scenari. In fatto di
penetrazione politica strictu sensu, forse la bilancia pende dalla
parte dei neo-cons, seppure di un soffio. Ma dove i libertari
hanno vinto, è stato nel dotare non solo di cervello, ma anche di
cuore e di immaginario, la propria Weltanschauung.
I personaggi-chiave, da questo punto di vista, sono due: Ayn Rand,
la scrittrice di origine russa che finì per inventarsi filosofa1,
e Robert Anson Heinlein. Se l'influenza della prima è già oggetto
di analisi ed approfondimento, persino a livello accademico, il
secondo resta, per molti, un personaggio oscuro. Non, però, per
gli appassionati di fantascienza: secondo la rivista Locus,
Heinlein è stato il più significativo ed il migliore fra gli
autori del genere. Secondo il critico Sam Moskowitz, si tratta di
" una delle personalità che hanno maggiormente influito sulla
fantascienza e che le hanno fatto prendere l'indirizzo da essa
seguito dal 1940 ad oggi". Giuseppe Lippi ricorda che " in un
Paese alla perenne ricerca di padri fondatori, Heinlein è visto
come il padre fondatore della fantascienza moderna (quella
post-wellsiana)". Tantissimi, non a caso, i colleghi che gli
devono, anche sul piano più strettamente umano, qualcosa: da
Theodore Sturgeon a Philip K. Dick. Secondo uno scrittore
importante quale Robert Silverberg, " senza di lui, molti dei
classici della fantascienza moderna non sarebbero stati scritti".
Perché? Scrive bene Lippi, sottolineando che, nei romanzi di
Heinlein, c'è il tentativo " di mostrare "come saremo" nei minimi
particolari di costume, partendo da presupposti attuali. Heinlein
definisce questo processo con il termine di speculation:
speculazione, certo, ma anche capacità di vedere in uno specchio.
Lo specchio del futuro che riflette il presente, il passato che
affiora dal domani". Questo spiega già, in parte, il ruolo svolto
da Heinlein nello sviluppo delle idee libertarie. Ruolo non
paragonabile a quello giocato da Ayn Rand, ma senz'altro di primo
piano: David Friedman dedicherà il suo L'ingranaggio della libertà
a " Milton Friedman, Friedrich Hayek, Robert A. Heinlein dai quali
ho appreso". Secondo L. Neil Smith, " Heinlein ci ha insegnato a
diventare, e a restare, degli individui". Per Jim Powell, " una
storia dopo l'altra affermava la fede di Heinlein nella libertà".
Ancora oggi, Internet pullula di siti e communities impegnati a
divulgare il verbo libertario di questo cantastorie dello spazio.
Heinlein è stato per certi versi l'autore più americano del genere
letterario più americano che ci sia: la science fiction. Le sue
storie non sono che una trasposizione in chiave futuristica di
quella che è stata la storia degli Stati Uniti. C'è il mito della
frontiera, certo - la conquista del West che diventa la conquista
dello spazio. Ma anche il tema della schiavitù, cancro da
debellare. E l'idea che la storia della libertà sia un succedersi
di alti e bassi, che, jeffersonianamente, " l'albero della libertà
dev'essere innaffiato di tanto in tanto con il sangue di patrioti
e tiranni. È questo il suo naturale concime". Al tema Heinlein ha
dedicato almeno sette romanzi, a cominciare dal suo primo racconto
lungo, If This Goes On... (1940). Robert Anson Heinlein nacque a
Butler, in Missouri, il sette luglio 1907, terzo di sette figli.
Nel 1925, seguendo le orme del fratello Rex, si iscrive
all'accademia navale di Annapolis, e lì si diploma ingegnere
navale. Dal 1929 al 1934, presta servizio su diverse unità della
marina degli Stati Uniti, e comincia a mostrare importanti
problemi di salute, che lo costringono a andare in congedo nel
1934. Gli anni che vanno dal 1934 al 1939 lo vedono dividersi in
una miriade di lavori, tra cui un (vano) tentativo di entrare in
politica. Le sue posizioni di allora erano molto diverse da quelle
cui sarebbe approdato poi: come ha dimostrato Thomas Perry,
Heinlein non era affatto immune dal virus del New Deal (non lo era
nemmeno un altro "convertito" eccellente, Ronald Reagan). La sua
carriera letteraria comincia poco dopo, quando il leggendario John
W. Campbell, direttore del pulp Astounding Science Fiction, compra
il suo primo racconto (originariamente indirizzato ad un concorso
letterario bandito da Thrilling Wonder Stories). L'affermazione di
Heinlein come scrittore non fu immediata. Fu il racconto breve
Requiem a consacrarne la fama - e a trasformare la coerenza
interna della sua "storia futura" in un modello per altri
narratori.
Dal '42 al '45, Heinlein lavorerà come ingegnere civile al Naval
Air Experimental Center di Philadelphia, ed è qui che incontra
Virginia Doris Gerstenfeld, "Ginny". Una volta divorziato dalla
prima moglie Leslyn, la sposerà nel 1948. L'influenza di Virginia
Heinlein sul marito si fece sentire anche per quanto riguarda le
sue opinioni politiche. "Ginny" era infatti una fervente
goldwaterite, ai tempi della candidatura del più sfortunato
apprendista presidente mai uscito dal Partito repubblicano. Creò
anche un comitato "Gold for Goldwater" per raccogliere fondi per
il suo beniamino, e scoprì con stupore un autentico entusiasmo, da
parte del suo compagno, per tali iniziative. Insomma, nel '64
Heinlein si sentiva pronto non solo a esprimere il proprio voto,
ma anche a sacrificare il proprio tempo, per un candidato disposto
a sostenere che " la proprietà e la libertà sono inseparabili:
quando il governo, sotto forma di imposte, porta via la prima,
invade anche l'altra". Lo speechwriter di Barry Goldwater era un
altro personaggio che avrebbe finito per influire, e parecchio,
sulle vicende del movimento libertario: Karl Hess, autore di lì a
poco (nel marzo 1969) di un saggio sulla "morte della politica"
che Playboy avrebbe celebrato come l'articolo più significativo e
rivoluzionario apparso negli anni Sessanta. La carriera dell'Heinlein
scrittore, intanto, proseguiva spedita sui propri binari, sfornava
un libro dopo l'altro, molti dei quali storie per ragazzi,
juvenile, "educando" così una generazione di nuovi lettori all'era
spaziale. Firmò la sceneggiatura di un film sfortunato (Destination
Moon), e nel 1969 commentò assieme a Walter Cronkite i quattro
passi sulla Luna di Neil Armstrong. Sarebbe morto, svariati
romanzi dopo, il 9 maggio del 1988.
Durante tutta la seconda parte della sua vita, Heinlein riuscì
dove pochi altri scrittori di fantascienza hanno avuto successo:
nel diventare, cioè, oggetto di polemica politica, personaggio
pubblico e materia di discussione. Caso emblematico è quello di
Fanteria dello spazio, Starship Troopers16, (1959) che valse
all'autore il solito marchio d'infamia: fascista. Fanteria dello
spazio delinea un sistema in cui, anziché il suffragio universale,
vige una forma di diritto di voto parecchio ristretta: può votare
soltanto chi ha fatto il servizio militare. L'idea originaria era
quella di permettere di pronunziarsi sull'entrata in guerra di un
Paese soltanto coloro che avrebbero poi, effettivamente, rischiato
di perderci la propria vita - ma i critici ci misero poco a farne
il feticcio di una "società militarista". L'accusa seguiva un
discusso manifesto, fatto pubblicare da Heinlein a sue spese nel
195817, nel quale sosteneva la necessità per gli Stati Uniti di
continuare coi test nucleari, pena la possibilità concreta di una
vittoria sovietica. Peraltro, bisogna anche ricordare che Heinlein
era ferocemente contrario alla coscrizione obbligatoria - di cui
Fanteria dello spazio è una severa condanna. Senz'altro, è sul
terreno della politica estera che si vedono le differenze maggiori
tra Heinlein e i libertarians. Per quanto scettico potesse essere
sulla virtù di uomini di Stato e militari, non riuscì mai a
scrollarsi di dosso l'idea che un anticomunismo armato fosse
l'unica possibile risposta alle mire espansionistiche dell'Urss.
Tuttavia, per quel che attiene il grosso del suo pensiero, la
congruenza con le posizioni libertarie è sorprendente. Una ragione
si può rintracciare nella vicinanza (anche "fisica": erano vicini
di casa) con Robert LeFevre. Buon amico del "nostro" Bruno Leoni,
LeFevre fu un personaggio centrale per il libertarismo
statunitense, non foss'altro perché ebbe l'idea di fondare prima
una Freedom's School (alla cui rivista, The Standard,
collaboravano Chodorov, Mises, Rothbard) e poi il Rampart College
(rispettivamente nel 1956 e nel 1963), nella cittadina di Larkspur,
un tiro di schioppo da Colorado Springs. Era lì che viveva, a
pochi passi dagli Heinlein (i quali, per citare una stuzzicante
curiosità, trovandosi nell'invidiabile posizione di potersi
inventare il numero della via in cui risiedevano, scelsero, guarda
un po', il 1776 - 1776 Colorado Springs Street).
L'amicizia con LeFevre fu per Heinlein tanto importante che questi
decise di "romanzarlo", facendone uno tra i personaggi più
importanti del romanzo libertario per eccellenza, La luna è una
severa maestra (1966). Sulla figura di LeFevre è infatti disegnato
il professor Bernando de La Paz (" prof" ): se La luna è una
severa maestra racconta della secessione di una colonia, la Luna,
dalla madrepatria terrestre; de La Paz è senz'altro l'ideologo, il
guru del movimento secessionista (che dichiarerà l'indipendenza il
4 luglio 2076). In un'accesa discussione con gli altri due
protagonisti principali (Mannie e Wyoming, cui va aggiunto,
ovviamente, il computer Mike, vero deus-ex-machina della
situazione), Prof illustra così la propria filosofia: " sono un
razionalista anarchico. [...] Posso andare abbastanza d'accordo
con un randita (sic). Un razionalista anarchico crede che concetti
come "Stato" e "società" non abbiano una esistenza propria, salvo
che sia fisicamente rappresentata negli atti di individui
responsabili. Il razionalista anarchico ritiene che sia
impossibile trasferire una colpa, condividere una colpa,
distribuire colpe... poiché colpe, decisioni e responsabilità sono
cose che accadono nella sfera individuale degli esseri umani e da
nessuna altra parte. [...] Il mio punto di vista è che ogni
persona è responsabile. Se le bombe nucleari esistono, ed è un
fatto, qualche uomo deve pur controllarle. In termini di morale,
non esiste una realtà come quella dello Stato. Solo uomini.
Individui. Ciascuno responsabile dei propri atti".
Nonostante questa vigorosa professione di individualismo, non si
deve però pensare che La luna è una severa maestra sia una
perfetta parabola libertaria, che racconti il trionfo della
libertà individuale. Tutt'altro: a dispetto della predicazione
degli anarchici, il romanzo finisce non con l'estinzione dello
Stato - ma con la nascita di un nuovo Stato, forse meno invadente,
forse meno ingombrante di quello terrestre, ma che sempre Stato è.
Incalzato sul tema da J. Neil Schulman, Heinlein ha spiegato che
la "ri-formazione" del governo si deve al suo ineffabile
pessimismo antropologico. " Sono convinto che lo Stato sia una
malattia incurabile del genere umano". Del resto, è proprio per
questo che regge il parallelo con la rivoluzione americana: che
portò sì al rovesciamento di un potere, a un'albeggiare di
libertà, giusto per poi risolversi nel consolidamento di un altro
potere, per certi versi non migliore di quello che l'aveva
preceduto. A sentire H.L. Mencken, " le colonie americane
guadagnarono assai poco dalla loro rivolta nel 1776. Venticinque
anni dopo la rivoluzione, esse si ritrovarono, come Stati liberi,
in una situazione peggiore di quando erano colonie. Il loro
governo era più dispendioso, più inefficiente, più disonesto e più
tirannico".
Heinlein non intende giustificare lo Stato, non intende,
soprattutto, fornire giustificazioni alla "ragion di Stato",
neppure al più onesto, neppure al più anoressico. Se finisce per
ammetterlo nel proprio universo narrativo, è semplicemente perché
" vi è solo un animale pericoloso per l'uomo nella galassia...
l'uomo stesso". Ci sarà sempre una banda di predoni che si
organizza per imporre la propria legge, per razziare e derubare il
resto della popolazione. Che poi ogni tanto questa forma di
crimine organizzato assuma le sembianze di una "democrazia", o
altro sistema di governo, e accampi pretese di legittimità è, per
Heinlein, un gioco di specchi. Alla fine, " in una società matura,
'dipendente governativo' è semanticamente uguale a "padrone
governativo". "Nel petto di ogni dipendente pubblico batte il
cuore di un ladro, altrimenti non mangerebbero al piatto
pubblico": " Le tasse non vengono certo intascate per il beneficio
dei tassati". Tutto questo disincanto, che impedisce allo
scrittore del Missouri di disegnarci un futuro su cui non aleggi
l'ombra della statualità, tuttavia non gli rende impossibile
sostenere a spada tratta l'ordine di mercato e la libertà di
scambio. Sempre a La luna è una severa maestra risale quella che è
forse l'espressione più famosa di Heinlein: There Ain't No Such
Thing Like A Free Lunch, Tanstlafl, nessun pasto è gratis, " tutto
quello che si ottiene gratis, prima o poi ci viene a costare il
doppio". Metafora azzeccata sulle illusioni dello Stato
assistenziale, che Milton Friedman trasformerà in una sorta di
slogan nella sua nota intervista con Playboy.
Alexei Panshin, autore di un polemico Heinlein in Dimension,
sostiene che alla fine la "libertà" di cui Heinlein puntella le
sue storie non sia altro che una parola vuota, una professione di
fede squisitamente di maniera. In realtà, la libertà di Heinlein è
quella "americana" per definizione, la libertà della frontiera, "
cresciuta a partire dagli scritti di Adam Smith ed Edmund Burke" ,
come ha ricordato Tom Clancy (famigerato sforna-bestseller) in un
suo tributo a Heinlein. L'adesione di Heinlein ai princìpi del
mercato è totale, e non gira attorno ad abracadabra
utilitaristici. " La giustificazione della libera impresa sta
semplicemente nel fatto che essa è libera". In Stella doppia
(1956), l'incredibile storia di un attore che diventa premier
dell'impero galattico, Heinlein arriva a fare una "scelta di
campo" decisa: fra protezionisti e contrabbandieri, sta con i
contrabbandieri. " E chi lo ha mai considerato un crimine (il
contrabbando, ndr) salvo coloro che ci portano via i soldi
mettendo esclusive su certi prodotti"? L'essenza del messaggio
politico di John Joseph Bonforte, l'eroe del romanzo (anche se
eroe non è la parola giusta), è il "concetto che il libero
scambio, i liberi traffici, le libere comunicazione [...] e il
minimo possibile di leggi e di restrizioni [...] saranno utili non
solo ai cittadini ma all'Impero stesso". Il suo primo obiettivo è,
una volta vinte le elezioni, " liberare il commercio". E' curioso
che il movimento di Bonforte, senatore imperiale, sia il Partito
espansionista: nome che lascerebbe intravvedere un orizzonte di
guerre e battaglie, se non che l'espansione, la ricerca di "spazio
vitale", cui Heinlein pensa, è completamente al di fuori da quelli
che sono i canoni e l'esperienza europea degli ultimi cent'anni.
E' una cavalcata nello spazio, è il richiamo della frontiera.
Il tema ricorre in tutta la narrativa heinleiniana: in Straniero
in terra straniera (1961, la bella favola anticlericale di Michael
Smith, l'uomo di Marte, tramutata a posteriori in un manifesto
hippy), il problema cruciale, nella prima metà del romanzo, è un
problema di homesteading, di diritto del primo occupante. Smith,
figlio dei primi terrestri sbarcati su Marte, unico superstite di
quella spedizione, e per giunta tirato sù a modo loro dai
marziani, si trova ad essere erede, secondo la "decisione Larkin",
di improbabili "diritti" su quel pianeta (su tutto quel pianeta),
e proprio per questo finisce nel mirino del governo. In Starman
Jones (1953), per fuggire al dispostismo regolatorio di gilde e
corporazioni, Max Jones e il suo amico Sam puntano a raggiungere
Beta Aquarii X, un pianeta-paradiso descritto alla maniera del
vecchio West: " niente tasse sulla proprietà fuori dalla città.
Nessuno le pagherebbe e si limiterebbero a spostarsi verso
l'interno, ammesso che prima non avessero ammazzato l'esattore".
Anche se forse il racconto da questo punto di vista più eclatante
è L'uomo che vendette la luna, la cui sintesi più azzeccata è
proprio il titolo. Scritto, nel 1949, come antefatto al Requiem
pubblicato nove anni prima (la storia commovente e poetica di come
Delos D. Harriman riuscì ad arrivare a un passo dalla sua agognata
Luna), racconta di come un brillante uomo d'affari riesca a
battere il governo nella corsa allo spazio.
Un altro elemento squisitamente libertario nella narrativa
heinleiniana è l'enfasi posta di continuo sul diritto a portare
armi. Esempio lampante è questa scena di Pianeta Rosso (1949), in
cui McRae commenta: " Che un libero cittadino debba recarsi
davanti a un comitato con il cappello in mano ed implorare il
permesso di portare un'arma... incredibile! Dia una pistola a sua
figlia, signore, e non si preoccupi di quegli stupidi burocrati".
" Uno dei miei personaggi dice che il diritto di portare armi sta
alla base di tutte le libertà umane. Io ci credo fermamente". Tale
presa di posizione potrà suonare stonata al lettore europeo, ma
non è che un riflesso di quella "cultura delle armi" scolpita nel
Bill of Rights. Se la parola "proprietà" ha un senso, dobbiamo
essere messi in condizione di poterla difendere, la nostra
proprietà, da aggressori pubblici e privati. Il ragionamento fila,
e fila senz'altro di più di qualsiasi complicato teorema che
preveda come, per essere "sicuri" dei nostri possedimenti,
dobbiamo accettare di farci derubare. Molte, se non tutte, le
storie di Heinlein hanno in controluce questo messaggio - che è
stato raccolto da ormai tre generazioni di lettori, per cui la
fantascienza è stata il trampolino di lancio per approdare alla
teoria libertaria. Il passo da Heinlein ad Ayn Rand è breve: " le
mie posizioni non sono affatto lontane da quelle di Ayn Rand".
Forse dove lo spirito di Heinlein esce al meglio è in quella
gustosa raccolta di aforismi che sono i "taccuini di Lazarus Long"
(in Time Enough for Love, 1973, pubblicato in Italia con l'orrendo
titolo Lazarus Long l'Immortale). Proprio sulla scorta della
lezione di sintesi, e di ironia, di quelle pagine, si può
azzardare un paragone fra Heinlein e Mark Twain - come fa Damon
Knight - o addirittura con la penna al vetriolo di Henry Louis
Mencken.
" La razza umana si divide politicamente in coloro che vogliono
controllare la gente e coloro che non hanno tale desiderio. I
primi sono idealisti spinti dai migliori motivi, per il massimo
bene del maggior numero di persone. I secondi sono tipi acidi,
sospettosi, e privi di altruismo. Ma sono vicini meno scomodi di
quelli della prima categoria". " Andateci piano con le bevande
superalcoliche. Possono spingervi a sparare all'esattore delle
tasse... e a mancarlo". Robert Heinlein ha saputo mescolare questo
realismo spietato con un'immaginazione generosa, suggestiva,
unica. Ha raccontato le meraviglie del volo spaziale e insieme ci
ha ricordato che è sempre l'uomo ad essere in cabina di
pilotaggio. Ha inalberato la bandiera della libertà, non certo
come migliore-dei-mondi-possibili, ma come ragionevole salvagente
per la stupidità umana. L'hanno tempestato con gli insulti più
bizzarri: "fascista", certo, ma anche "darwinista sociale".
Guardava allo spazio come un secolo prima avrebbe guardato
all'Ovest. La sua speranza per il futuro dell'uomo sta tutta in
questo aforisma, ed in fondo è anche la nostra. " Quando un posto
è abbastanza affollato per aver bisogno di documenti d'identità,
lo sfacelo sociale non è mai lontano. E' tempo di trasferirsi
altrove. La cosa più bella del volo spaziale è che ha permesso di
andare altrove".
8 novembre 2002
(da Ideazione 5-2002, settembre-ottobre)
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