Prezzolini, l’anarchico conservatore
di Gennaro Sangiuliano
Il 14 gennaio del 1982 Giuseppe Prezzolini veniva ricevuto al
Quirinale per essere premiato dall’allora presidente della
Repubblica Sandro Pertini con la Penna d’Oro. Era presente alla
cerimonia il presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, che di
Prezzolini, da sempre, si era dichiarato amico e ammiratore. Una
cerimonia breve e non senza tribolazioni per gli organizzatori
preoccupati dall’incontro di due vecchi, Prezzolini e Pertini,
sicuramente di non facile carattere, per certi versi simili. E,
infatti, la temuta battuta mordace non mancò. Quando Pertini, sul
finire della cerimonia chiese allo scrittore perché non tornasse a
vivere in Italia, Prezzolini replicò caustico: “Stia tranquillo
presidente! In Italia ci vengo tutti i giovedì a comprare la
verdura”. Alludendo alle brevi puntate che da Lugano faceva per
far spese oltreconfine. E aggiunse: “Piuttosto venga lei a farmi
visita in Svizzera, visto che è anche più giovane di me di
quindici anni”. Dopo cent’anni l’Italia ufficiale si accorgeva di
questo protagonista della sua cultura. Lo faceva a pochi mesi
dalla sua morte perché la lunga vita di Prezzolini si concluderà
il 14 luglio del 1982. Il racconto di questo aneddoto, uno dei
tanti, magari banale, serve a sottolineare quanto una biografia
intellettuale non possa, in questo caso, essere disgiunta dal
carattere dell’uomo. Vivere cent’anni è già di per sé un atto
notevole. Non solo perché, come è ovvio, questa longevità è ancora
rara nella maggioranza degli uomini. Ma, perché, significa essere
testimoni di un lungo tempo, significa attraversare epoche,
stagioni, mode, costumi. E significa anche sottoporsi a
sofferenze: guerre, malattie, veder morire e andar via affetti
familiari, amori, amici, subire delusioni. La longevità è un dono
di Dio, che come tale, nel bene e nel male, è anche una prova.
Se questa longevità, poi, coincide con cento anni di intensa,
riconosciuta, proficua attività culturale, allora chi la porta
finisce per essere “testimone” di un tempo. Dove alla qualifica di
“testimone” va conferito un significato molto profondo. Giuseppe
Prezzolini è stato il testimone di un lungo tempo della cultura
italiana. Ed è stato, a suo modo, soprattutto un protagonista di
questo lungo tempo. La sua vita, senza che lui lo abbia ricercato,
è un crocevia ineguagliabile di personaggi, esperienze, tendenze
di arte, di letteratura, di filosofia. Ha attraversato le tragedie
del Novecento, le sue due guerre mondiali, le due ricostruzioni,
le speranze di pace. Dopo, la Guerra Fredda, la separazione del
mondo in due. Ha vissuto trentatré anni negli Stati Uniti, molti
altri in Francia e in Svizzera. E’ nato a Perugia (“per caso”,
come lui stesso spesso ripeterà), è stato toscano di adozione e
soprattutto di convinzione (la sua famiglia era originaria di
Siena), ha conosciuto bene Roma e il Sud d’Italia, dove ha vissuto
sei anni. A ottant’anni superati ha continuato a viaggiare, a
ispezionare luoghi, a conoscere Paesi e gente. Alla fine di questo
peregrinare si ritrova in lui una multi-culturalità rara negli
intellettuali italiani, data anche dalla capacità di scrivere
correttamente in due lingue (italiano e inglese), dalla conoscenza
precisa di diversi mondi letterari (anglosassone, francese,
tedesco), e soprattutto dalla capacità di cogliere sfumature e
peculiarità del costume di popoli con cui aveva convissuto per
lunghi periodi.
Tuttavia, sarebbe riduttivo ragionare solo sulla sua longevità
perché la sua testimonianza è stata molto di più. Se scegliamo
come parametro di riferimento quella marcata tendenza del
carattere italiano all’uniformità conformista, alle zone grigie e
indistinte, al politically correct, alla comodità della vita
quotidiana in luogo della difesa dei propri ideali, alla ricerca
del compromesso voltafaccia, Prezzolini è stato l’antitaliano. O
meglio, è stato la risposta di un conservatore capace di trarre i
valori autentici della tradizione nazionale e contrapporli a quel
politicamente corretto che si risolve in conformismo spesso ancora
imperante in Italia. Il continuo ritorno a Machiavelli, al valore
della stagione dei comuni, all’Umanesimo culturale, muovono uno
dei suoi saggi più importanti, dove il titolo è un programma:
L’Italia finisce: ecco ciò che resta. Ha osservato Giovanni
Spadolini: “Sì: il caso Prezzolini è stato uno dei più
significativi della cultura contemporanea del nostro Paese.
Prezzolini ha incarnato una costante esigenza critica e scettica
in un mondo di cultura sempre più tendente al conformismo e
all’ortodossia, meglio ancora ai conformismi e alle ortodossie”.
La sua vita è una tappa fondamentale per chi voglia ricostruire
gli incontri, gli intrecci, le parentele della cultura italiana
del Novecento. E’ l’inizio e la fine del Novecento e anche la
possibilità di misurare la diffusione della nostra cultura
oltreoceano. E’ la conoscenza intensa, a volte l’amicizia o lo
scontro, con tanti protagonisti: Giovanni Amendola, Apollinaire,
Henry Bergson, Giovanni Boine, Vincenzo Cardarelli, Giosuè
Carducci, Carlo Carra, Emilio Cecchi, Enrico Corradini, Benedetto
Croce, Giovanni Gentile, Piero Gobetti, Gabriele D’Annunzio,
Enrico Einaudi, Curzio Malaparte, Tommaso Filippo Marinetti,
Vilfredo Pareto, Charles Péguy, Piero Jahier, Clemente Rebora,
Umberto Saba, Gaetano Salvemini, Ardengo Soffici, George Sorel,
Giuseppe Ungaretti, Romolo Murri. Il prolifico legame con Giovanni
Papini. L’amicizia tanto personale quanto particolare con Benito
Mussolini. E poi, tanti altri protagonisti, di tante altre
stagioni: Giovanni Ansaldo, il cardinale Benelli, Oriana Fallaci,
Renzo De Felice, André Gide, Mario Missiroli, Henry Furst, Indro
Montanelli, Papa Montini, Alberto Moravia, Giovanni Spadolini,
Sandro Pertini. È difficile enumerarli tutti, facile compiere
delle omissioni, scorrendo l’indice dei nomi di un qualsiasi
volume sulla cultura del Novecento italiano o su qualcuno dei suoi
protagonisti quasi sempre ci si imbatte in Prezzolini, a
testimonianza della sua diffusa e significativa presenza.
Questo “anarchico conservatore”, come lui stesso ebbe a definirsi,
ha attraversato le grandi ideologie e molteplici stagioni della
cultura, illusioni e disillusioni. Il suo nome è legato a quella
straordinaria esperienza che è stata La Voce, quella che Malaparte
definì la “serra calda del fascismo e dell’antifascismo”.
Prezzolini la inventò e la condusse da giovanissimo, ma è
insufficiente relegarlo solo a quella stagione, perché è stato il
fondatore, l’ideatore, il protagonista di altre mille avventure
intellettuali. “L’editore più intelligente d’Italia”, come lo
definì Gobetti, che cominciò poco più che adolescente con il
Leonardo e il Regno.
È stato un fiume dai mille e più diversi affluenti. La sua
irregolarità è anche nella natura dei suoi scritti che non sono
catalogabili entro parametri tradizionali: non si tratta di
romanzi, non si tratta di pièces teatrali, di poesia, di ricerche
storiografiche, di opere politologiche e filosofiche in senso
stretto. Ma nemmeno di critica letteraria alla maniera
tradizionale (se si prescinde da alcuni studi sui mistici tedeschi
risalenti agli anni Dieci e al monumentale repertorio
bibliografico della storia e della critica della letteratura
italiana). Ha sottolineato la sua allieva preferita, suor
Margherita Marchione: “La sua penna va dal misticismo tedesco a
una storia erudita degli spaghetti”. Prezzolini è stato un
intellettuale, nel senso più vasto del termine, che nella sua vita
ha affrontato, con grandi intuizioni, i temi e i campi più
disparati, passando dalla politica alla filosofia, dalla
sociologia al costume, dalla memorialistica alla storiografia,
dalla gastronomia alla critica d’arte. Più tardi questa
versatilità intellettuale, che in gioventù gli era stata
spontanea, verrà codificata in un preciso rifiuto della cultura
ufficiale. La sua opera è sempre pervasa da uno spirito indagatore
che rifiuta posizioni aprioristiche e dona “quella capacità
concreta di aprirsi completamente dinanzi al lettore, senza
finzioni di sorta o sterili schematismi mentali da difendere a
tutti i costi”. Nel fluire della sua lunga vita non ha curato la
carriera, non ha accumulato patrimoni, né tantomeno titoli.
Avrebbe potuto farlo. Osserva Marina Campanile: “L’uomo di cultura
incarnato da Prezzolini ha un’identità che rifugge dalle
definizioni sociali; non ha stipendi, non ha mandanti, ma è parte
di un’intellighentia che si organizza e pensa come un ceto
dirigenziale alternativo a quello politico…”.
La contraddizione è stata in lui un sistema di vita, punteggiata
da un sottile gioco degli opposti. Non si è laureato ma è stato lo
stimato docente di una delle più prestigiose università americane,
ha avuto la tessera di giornalista solo a ottantasei anni ma
illustri direttori di giornali (Longanesi, Ansaldo, Spadolini,
Montanelli, Missiroli) lo hanno eretto a loro maestro, non ha
fatto politica ma qualcuno lo ha definito “impresario di movimenti
politici”, non ha mai brigato per ottenere onorificenze ma è stato
fatto cavaliere di Gran Croce. Lontano e critico verso le
esibizioni belliche dannunziane, brigò per farsi riformare alla
leva militare ma poi ha combattuto da volontario la Prima guerra
mondiale, facendo con onore la sua parte. Autore di dotti saggi
sulla letteratura italiana deve il suo successo negli Usa ad un
libro curioso che parla di arte culinaria: Spaghetti-dinner. E’
stato a suo modo l’alfiere di una certa italianità, oltre che un
efficace e attivo missionario della cultura italiana oltreoceano;
diffuse la lingua d’origine e scrisse sempre in italiano ma poi
prese la cittadinanza statunitense. La longevità gli è capitata
come un accidente, non l’ha cercata, non ha mai programmato e si è
sempre comportato come se dovesse morire il giorno dopo. “Mi sono
scelto gli antenati giusti”, ironizzò in un’intervista. Non si è
risparmiato. Lui stesso in occasione delle celebrazioni del suo
centenario scrisse: “Cent’anni. Una Cifra. Un simbolo ed
un’attesa. Mi chiedon cosa pensi di questo spazio di tempo. Di
quegli anni in me giacciono sepolti molte delusioni, molti
sconforti e disperazioni. Ed anche molti amori, amicizie, benefizi
e forse elemosine: fatene un variopinto telone sul quale sarà
scritto il mio parere. Quando guardo indietro tanto spazio di
tempo, mi pare d’essere un giudice non ignaro di essere anche lui
colpevole: ma con la condizionale”.
Una sola cosa, come riconosciuto ormai da tutti, Prezzolini ha
curato e preservato, talora a caro prezzo: la sua libertà. Lui che
non amava i beni materiali fece della sua indipendenza e libertà
di espressione un totem inviolabile. “Un uomo unico per coerenza
intellettuale”, secondo la definizione data dallo storico Renzo De
Felice. All’amico Mussolini, di cui fu editore e in un certo senso
scopritore, avrebbe potuto chiedere tutto, la nomina ad
accademico, quella ad ambasciatore o a senatore. Lui che con
l’antifascismo non volle mai avere nulla a che fare gli chiese la
liberazione di un oppositore al regime e alcuni mobili per Casa
Italiana (l’istituzione culturale di cui fu direttore negli Usa).
E, viceversa, quando il fascismo cadde travolto dalla sconfitta e
intellettuali sfacciatamente compromessi con il regime prendevano
dalla sera al mattino le distanze, Prezzolini sfidando
l’impopolarità continuava a dare del movimento mussoliniano un
giudizio articolato e obiettivo. La libertà è per Prezzolini il
bene supremo dell’uomo. “La prima, grande lezione di Prezzolini –
scrive Mario Tedeschi – riguarda dunque la vita. Essere uomini è
difficile, essere liberi è difficile; sono lussi che si pagano con
la rinuncia a tutto ciò che, per la maggioranza, rende l’esistenza
piacevole, o facile”. Del resto, l’uomo libero deve saper
affermare la qualità sulla quantità, discernendo sempre la realtà
dalle facili e ingannevoli suggestioni che prendono la
maggioranza. Assieme alla libertà, nella sua lunga vita, Giuseppe
Prezzolini non fece mai venir meno una pungente ironia, prima
verso sè stesso e poi verso gli altri. La sua prosa è spesso
costellata di giudizi feroci, una tendenza all’ironia che è
naturaliter nel grande conservatore, un connotato inscindibile.
Vale per lui quello che osserva Thomas Mann nelle Considerazioni
di un impolitico: “Ironia e conservatorismo sono due stati d’animo
strettamente affini”.
Una vena satirica persistente che ne fece un uomo di grande
simpatia (per chi aveva l’argutezza di comprenderne l’essenza) ma
che talora sconfinava nell’amarezza e nello scetticismo. Nella sua
autobiografia sceglie per sintetizzarsi una piccante definizione
L’italiano inutile. Quando nel 1974 l’editore Rusconi gli rese
omaggio pubblicando un’antologia de La Voce, non esitò a definirla
il “mio monumento funebre”. Alla pomposa delegazione ufficiale del
governo italiano giunta a Lugano per le celebrazioni dei
cent’anni, dice chiaro: “Vi ringrazio ma fatemi domande,
indiscrete, quelle discrete le conoscono tutti!”. Indro Montanelli
ne sintetizzò mirabilmente il personaggio ed il carattere nel
racconto del loro primo incontro a New York, nel 1950. Risponde al
comune amico Cecchi: “L’“omo” l’ho trovato meno difficile di come
dicevi; ma lo “zuccone” infinitamente più duro...”.Tutto questo ne
fa un personaggio unico, un testimone esemplare e molto più, che
nella diversità di esperienze e provenienze, ha forse un pari solo
in Ernst Jünger. Ha scritto Marcello Veneziani: “Sono ormai
lontani i tempi in cui si liquidava Giuseppe Prezzolini
giudicandolo un dilettante della cultura e un impresario di idee,
avventure e iniziative editoriali. Troppi luoghi della storia e
del pensiero, della letteratura e della politica si sono
incrociati con Prezzolini per poterne ancora parlare in termini di
occasionale e superficiale convergenza. E non basta la sua
longevità per spiegare la sua presenza a latere o in prima fila
negli appuntamenti cruciali nel nostro secolo”. Nel 1972 il
settimanale Il Borghese, tribuna di Prezzolini per quasi
trent’anni, chiese ad una serie d’intellettuali di scrivere una
breve testimonianza per celebrare i novant’anni dello scrittore.
Scrisse allora Piero Buscaroli: “Prezzolini: ma il tuo lavoro vero
non è un libro. E’ la tua vita. E’ la tua contraddittoria e
variegata coerenza; la tua disciplinata anarchia; la tua
affettuosa cattiveria; la tua ribelle volontà di servire; la tua
italianità di straniero; la tua universalità di italiano; la tua
religiosità di incredulo; la tua solitudine affollata e cordiale”.
Per far capire quanto sia stato lungo il suo tempo, lui stesso ha
scelto un’espressione carica di significato, bella e letteraria:
il “trapelo”. Si tratta dell’antico uso consistente nell’attaccare
in aggiunta cavalli o buoi freschi ad una diligenza per sostenere
una salita ripida, all’arrivo in paese, e aiutare le bestie giunte
fin lì. E’ un termine antico, comunissimo per secoli, oggi
sconosciuto. Prezzolini vi indica un’epoca lontana, ma a lui
consueta, quando i fanciulli vestivano alla marinara, non
esistevano automobili, gli ufficiali adoperavano la sciabola.
Dall’era del “trapelo” la sua vita giunge all’inizio degli anni
Ottanta, quando in Occidente inizia la rivoluzione
post-industriale, arriva l’informatica e l’economia finanziaria
sopravanza quella basata sulla produzione dei beni. Alla lunga
temporalità del personaggio si aggiunge una vita ricca di luoghi e
di esperienze. C’è il Prezzolini del Leonardo e de La Voce, degli
ardori del primo Novecento, delle avanguardie per il rinnovamento
culturale dell’Italia. Il Prezzolini antidemocratico. Il
Prezzolini del rapporto con Croce. L’amico di Mussolini.
L’entusiasta del fascismo. L’esule volontario. Il biografo di
Machiavelli. Il Prezzolini a Parigi. Il Prezzolini americano,
docente di letteratura italiana alla Columbia University. Il
direttore di Casa Italia che fa scoprire la cultura italiana agli
americani e a quegli italoamericani che l’avevano sepolta nel loro
passato. Il giornalista instancabile delle corrispondenze a Il
Borghese e al Tempo e Resto del Carlino capace di cogliere con il
suo occhio arguto fatti e circostanze del costume degli States
sfuggite ai tanti corrispondenti. E c’è il ritorno, in un luogo a
prima vista singolare: Vietri sul Mare, in provincia di Salerno.
Dal momento della sua scomparsa, come spesso accade nel costume
italiano, secondo cui dei morti bisogna per forza parlar bene,
Prezzolini ha finito per raccogliere solo giudizi positivi. Questo
non gli rende un servigio utile, al pari del tentativo di
dimenticarlo quando era ancora in vita. Per un giudizio articolato
vale la pena affidarsi a Carlo Bo, che lo incontrò due volte:
“Prezzolini ha grandi meriti che nessuno saprebbe o potrebbe mai
togliergli, basterebbe La Voce, questa rivista, forse l’ultima
rivista di gruppo che aveva formato una generazione. Di fronte
alla Critica e all’impresa di Croce, il foglio di Prezzolini e dei
suoi amici ha avuto una funzione di allargamento e di
sollecitazione: cosa che del resto lo stesso Croce aveva ammesso
senza equivoco. Ma oltre La Voce, c’è tutta l’opera del saggista,
del prosatore di idee e anche del polemista e dell’inquietatore.
Non ci sembra che ci siano stati molti altri esempi da mettergli
accanto; c’è stato, sì, Gobetti ma è un caso particolare e in un
contesto storico tutto diverso”. Nelle sue pagine Prezzolini
profetizza i grandi temi della cultura occidentale che ancora oggi
affrontano la condizione dell’intellettuale, in particolare
l’indagine sul rapporto non facile tra cultura e politica. Anzi, è
lui l’inventore di un nuovo ceto intellettuale, capace di creare e
orientare il consenso, molto tempo prima che Gramsci elaborasse le
sue teorie sull’egemonia. Per questo Augusto Del Noce scrive:
“L’opera di Prezzolini, vista nella continuità dei suoi momenti,
che pur sembrano contraddittori, è il documento primo di cui lo
storico dovrà servirsi per interpretare la storia culturale
italiana del nostro secolo sotto l’aspetto etico-politico”.
11 ottobre 2002
(da Ideazione 4-2002, maggio-giugno) |