Lettere all’amico perugino
di Giuseppe Prezzolini
Columbia University
Casa Italiana
117th Street and Amsterdam Avenue
New York 27. N. Y.
24 maggio 1950
Caro Nicoletti,
grazie tante della tua lettera, sebbene sia molto cinico e dica
sempre che buone parole e cattive parole son la stessa cosa, ma
insomma è preferibile un complimento a un calcio nel sedere. Ti
mando tre volumetti d’una collezione che ho pubblicato, che
avrebbe interessato l’Arrotino. Non dispongo del mio Legacy of
Italy né del sontuoso Rome, illustrato per l’anno santo ed escito
coll’imprimatur della Chiesa, roba che m’ha fatto ridere, e che io
non ho chiesta, ma faceva comodo all’editore. Ora mi dicon che è
escito in Italia un libro di mie corrispondenze intitolato America
in pantofole. Lo pubblica Vallecchi. Se tu gli scrivi e gli
prometti quattro righe di recensione, son certo te lo manda.
Ti debbo ringraziare per la conoscenza della signora Buitoni,
simpatica, colta e bella. Ci vorrebbe davvero parecchia gente come
lei nella classe dirigente italiana, che mi pare, dai giornali
illustrati che vedo, non aver imparato nulla.
In questi anni di romitaggio ho lavorato molto e quindi non ti
meravigliare se vedi tanti articoli, avevo materiale e riflessioni
raccolte. Imparai anche a leggere un po’ di russo, poi ho smesso e
me lo son dimenticato, mi ripassai bene il tedesco e lessi libri
d’ogni sorta.
Sarebbe difficile per me lavorar con gli Italiani. Ammiro
l’ingegno che c’è in Italia, ma non mi piacciono certi costumi. Le
mie corrispondenze con editori e con amministrazioni di giornali
son sempre difficili. Non rispondono, non mantengon la parola, non
danno istruzioni precise, aspettano che io abbia il genio
d’indovinar quello che vogliono e invece io mi professo sempre un
povero stupido, bisogna fare l’ispettore per esser sicuri di venir
pagati. Quanto all’America è molto difficile pubblicare, c’è una
competizione formidabile e io son sempre uno straniero, non
legale, ma mentale. Buone cose, caro Nicoletti, seppi che hai
figlioli che ti dan soddisfazione. Non è poco. Aff.mo
Columbia University
Casa Italiana
117th Street and Amsterdam Avenue
New York 27. N. Y.
23 giugno 1950
Caro Nicoletti,
son contento che gli editori ti abbian mandato i libri, e fanne
quel che vuoi.
Ti volevo fare una domanda: tu che hai visto Mussolini negli
ultimi giorni, come spieghi che quell’uomo, che aveva intelligenza
non comune e grande sensibilità politica, non abbia capito che
bisognava morire decentemente (come Hitler) e non farsi chiappar a
quel modo? È la cosa che mi ha turbato di più, persino più dei
suoi errori.
Spero che tu scriverai le tue memorie, almeno di quel periodo.
Vedo che in Italia se si vuol far leggere qualcosa bisogna
parlare, bene o male, di Mussolini: memorie, storie, ricordi,
attacchi, nostalgie. Come son curiosi i popoli! Tu hai
indipendenza, potresti raccontar molte cose che hai visto con
animo imparziale.
Non so nulla dell’attacco di cui parli. Io leggo il B. un mese e
mezzo dopo. Sono ora al n. 6, e mi è piaciuto l’articolo di
programma, sebbene non abbia fiducia nella classe borghese
italiana.
Tuo aff.mo
Columbia University
Casa Italiana
117th Street and Amsterdam Avenue
New York 27. N. Y.
8 novembre 1950
Caro Nicoletti,
mi spiace di non averti scritto da tanto tempo per ringraziarti di
quei due tuoi interessanti articoli, che sono andati a raggiungere
un centinaio di ritagli che son venuto raggranellando sulla fine
di Lui. Son eccellenti, ma non mi persuadono, perché ci son tante
altre voci opposte, e poi un uomo politico, come ha diritto di
prendersi per merito quel che gli dà la Fortuna, ha anche il peso
di sopportare quello che la Fortuna gli toglie. La Fortuna gli
tolse di fare una bella fine, ed è un peccato. Ci collaborò lui,
non pensandoci a tempo, e ci pensarono gli Italiani, che vollero
eternarsi con uno di quegli atti che li segnano al dispregio del
mondo, e che anche dimostra come, per secoli, sian rimasti sempre
quelli, da Cola di Rienzo a Mussolini.
Ma basta di pensare a queste cose. Sento dir un gran bene
dell’Italia dagli Americani che tornano, dagli studenti cui il
senatore Fulbright ha dato uno sbafo inaspettato (uno su dieci ci
viene per studiare, gli altri per divertirsi, vivere a spese dello
Stato, far la Luna di miele etc.).
Qui si vive con incertezza, per chi pensa, e con abbondanza, per
chi lavora e per chi non pensa. Io ci sto meno male che in altri
posti e son contento che mi lascian vivere a modo mio. Ma chi sa
quanto mi potrà durare. San Tommaso disse una gran bella cosa:
Lavorare come se non si dovesse morire mai, e pregare come se si
dovesse morir domani. Ma chi può pregare? Io, no di certo. Mi pare
che se dovessi cercarmi un Dio, sarebbe il Diavolo. Non posso
immaginare in altro modo chi avrebbe creato questo mondo.
Vedo ogni tanto qualche “eco” – è proprio il caso di usar la
parola – delle musiche della signora Buitoni a Perugia. Musica ne
sentiamo molta alla radio. Se hai modo di comprare una 7 M, fallo,
vale la pena. Ne comprai uno dei primi apparecchi e mi parve di
esser in un altro modo connesso con le orchestre di qui.
Credimi tuo aff.mo
11 ottobre 2002
(da Ideazione 4-2002, maggio-giugno) |