Consumismo, la rivoluzione dell'Italia
del miracolo
di Pino Bongiorno
La società dei consumi nasce in Italia negli anni Cinquanta del
secolo scorso. La rapida crescita industriale, l'inurbamento di
massa, le imponenti migrazioni interne, l'espansione del prodotto
nazionale lordo e del reddito pro capite creano le condizioni per
l'affermazione di un nuovo modello economico e sociale, che si
basa su uno standard elevato di consumi individuali, reso
possibile dai redditi in crescita, e su un'occupazione stabile sia
nel settore industriale sia nel terziario. Negli anni della
ricostruzione, il consumismo consente la promozione sociale,
conferisce uno status visibile, permette di sognare una vita ricca
di opportunità. Rappresenta l'ingresso del nostro paese nella
modernità e costituisce, allora come forse ancora oggi,
"l'elemento maggiormente unificante di una popolazione che a
stento si riconosceva nella sua tradizione storica e politica". Il
lavoro di Emanuela Scarpellini affronta il ruolo dei consumi,
colpevolmente trascurato dalla letteratura storico-economica,
negli anni del miracolo economico, quando, ed è questo in
particolare su cui incentra la sua analisi, vengono aperti in
Italia i primi supermercati e allo stesso tempo si sviluppano
rapidamente i grandi magazzini. Una "rivoluzione commerciale" che
suscita uno shock così drammatico da poter essere assimilato a
quello che quasi due secoli prima aveva accompagnato i primi passi
della rivoluzione industriale. Lo scontro è, anche questa volta,
"tra due mondi completamente diversi, per mentalità, per
caratteristiche di funzionamento, per potenzialità di espansione".
Di grande interesse politico sono le pagine in cui è preso in
esame l'atteggiamento dei principali partiti del tempo. Il Pci,
nel tentativo di attrarre nella propria orbita i piccoli
commercianti, preoccupati e frustrati, e di proteggere i gruppi
cooperativi legati al partito, si erge a paladino dei
dettaglianti, elaborando, dall'inizio degli anni Sessanta, una
politica organica nei confronti del settore. "Occorre convincere
gli esercenti - si legge in una circolare del Pci di quegli anni -
che le nuove tecniche di vendita, di cui i supermercati sono una
forma importante, fanno parte di un processo irreversibile dettato
non solo dalla necessità di diminuire i costi di distribuzione a
vantaggio dei consumatori e della stessa produttività delle loro
aziende, ma anche e soprattutto di una organizzazione moderna
della società e dell'emancipazione della donna". Bisogna, allora,
combattere i monopoli e competere con i colossi della grande
distribuzione, ma ciò è possibile soltanto imboccando la strada
cooperativa, cioè associandosi per poter ottenere
approvvigionamenti a condizioni favorevoli, nonché credito e
competenze tecniche indispensabili per attrezzare adeguatamente
gli esercizi e ridurre i prezzi. Per realizzare la sua politica,
il Pci adotta una serie di iniziative. Innanzitutto, mette a
disposizione dei commercianti delusi dalla Confcommercio nuove
associazioni (ad esempio, la Federazione nazionale del piccolo
commercio e la Lega nazionale delle cooperative).
Poi, inizia un battage pubblicitario, attraverso convegni,
dibattiti, articoli sull'Unità e su altri giornali. Infine,
utilizza l'azione parlamentare. Nel 1961 un gruppo di deputati (Armaroli,
Mazzoni, Pigni, Raffaelli e altri) presenta alla Camera una
proposta di legge per chiedere l'abrogazione della legge del 1938
sulle licenze prefettizie per i grandi magazzini, estesa
illegalmente, secondo i parlamentari comunisti, anche ai
supermercati con la circolare del 17 dicembre 1958. Le
autorizzazioni commerciali avrebbero dovuto essere assegnate dai
comuni, perché già responsabili in materia di prezzi, mercati,
igiene, annona, e pertanto più informati delle esigenze della
comunità. "Se la posizione del Pci appare improntata alla
necessità di realizzare un'alleanza contro il capitalismo
monopolista fra operai e ceti medi, al cui interno si situavano i
piccoli commercianti, e a cercare consensi nella categoria degli
esercenti, più complessa appare la linea della Dc". Emilio
Colombo, responsabile del dicastero dell'Industria e del commercio
dal 1959 al 1963, sceglie una politica che oggi diremmo "cerchiobottista".
Da una parte, infatti, appoggia la grande distribuzione con un
indirizzo sostanzialmente liberista e bocciando la quasi totalità
dei ricorsi che i commercianti presentano contro i supermercati.
Dall'altra, avvia quello che l'organo di stampa della
Confcommercio definisce un "nuovo corso nella politica
commerciale", approvando le principali richieste avanzate da tempo
dall'associazione (credito agevolato al commercio, assistenza
sanitaria obbligatoria, avviamento commerciale, ecc.). Questo
comportamento compromissorio ha una sua precisa spiegazione e
dipende dall'ottica con cui il mondo democristiano guarda al
comparto commerciale. La grande distribuzione è ritenuta la sola
in grado di dare sviluppo ed efficienza a un settore che non viene
giudicato produttivo e per cui la logica politico-sociale sembra
più congeniale di quella economica.
27 settembre 2002
Emanuela Scarpellini, Comprare all'americana. Le origini della
rivoluzione commerciale in Italia 1945-1971, il Mulino, Bologna,
2001, pp. 352, € 23,24.
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