Azionismo, mito edificante o leggenda nera?
di Cristiana
Vivenzio
Maledetti azionisti non è un libro sull'azionismo, sulle vicende
del Partito d'Azione, sulla storia dei suoi ispiratori e dei suoi
protagonisti. Questo è piuttosto un libro - come scrive Antonio
Carioti, nell'introduzione - sull'uso pubblico che della vicenda
azionista, dallo scioglimento del partito nel '47 ad oggi, è stato
fatto da parte degli apologeti, ma anche degli acuti critici di
quell'esperienza politico-ideologico-culturale. L'autore ha,
infatti, voluto raccogliere nel suo libro la posizione di "quelli
contro", ripercorrere le tappe del percorso critico di coloro che
hanno "gridato" al "maledetto azionismo", rileggere quelle analisi
dissonanti, fuori dal coro, trattandole anch'esse come un caso di
uso pubblico della storia, come tanti altri del passato. Del
resto, è vero che "la rilettura degli eventi passati è un terreno
di battaglia cruciale per ogni strategia di legittimazione
politica"; che è ricorrente nel discorso pubblico italiano un uso
politico della narrazione storica; così come è vero che la
costruzione di miti fondatori e legittimatori intorno a fatti del
passato troppo spesso hanno reso la natura complessa di un evento
storico sotto forma stereotipata, c'è da chiedersi, tuttavia, in
quale momento e fino a che punto l'analisi critica di un fenomeno
storico diviene un caso di uso pubblico della vicenda storica? Ad
opera di quali attori e, soprattutto, per quale fine?
I motivi dell'interesse nato intorno alla vicenda azionista, sono
molteplici non ultimo, certo, il fatto che molti dei protagonisti
di quell'esperienza, dopo il '47 hanno preferito l'allontanamento
dalla vita politica, intesa in termini di militanza, per
rifugiarsi nell'oasi dell'intellettualità e della cultura di
sinistra, e incidere da quelle posizioni sul discorso pubblico
italiano. Ma che cosa sono stati e cosa sono, cosa hanno
rappresentato e rappresentano gli azionisti secondo questo punto
di vista critico controcorrente? Sono "nemici del cristianesimo,
agenti del capitale" o "falsi liberali, subalterni al comunismo" o
ancora "moralisti ipocriti, compromessi col fascismo"?
Carioti analizza la posizione cattolico-nazionale di Augusto Del
Noce, che critica l'azionismo da posizioni antimoderniste,
rintracciando nell'ideologia del Pd'A il prevalere dello spirito
borghese e tecnocratico che ha allontanato dal binario dei valori
della tradizione religiosa la società italiana. Delinea, quindi,
quella laica di uno storico liberale come Galli della Loggia che
individua nella tradizione del gobettismo torinese l'anima
dell'azionismo rimasta viva fino a noi. Quella stessa anima che,
ponendosi in linea di continuità con la tradizione storica
della"ideologia italiana" d'inizio secolo, e facendo dello slogan
pas d'ennemis à gauche la pietra miliare del proprio agire ha reso
- a detta delle storico romano - impraticabile la strada che
avrebbe dovuto portare alla costituzione, anche in Italia, di una
sinistra realmente democratica e liberale, non prona ai voleri di
Mosca. Passa, poi, al riesame della dissertazione
provocatoriamente promossa dal Foglio di Giuliano Ferrara, in
occasione dell'uscita del libro di Angelo D'Orsi, "La cultura a
Torino tra le due guerre", (Einaudi, 2000), che ricalca l'ambiguo
rapporto tra azionismo e ideologia fascista.
Al termine della sua analisi, per molti aspetti critica nei
confronti di queste posizioni, Carioti giunge ad una propria
conclusione interpretativa. L'azionismo è stato un fenomeno
storico che si è concluso addirittura un anno prima del suo
scioglimento ufficiale, nel 1947. E in quanto tale va consegnato
alla storia. Nessun mito edificante, nessuna leggenda nera. Del
resto, conclude Carioti, "inseguire all'infinito il fantasma
dell'azionismo, concepito come nemico da abbattere o modello da
esaltare, non aiuta a comprendere il passato e tanto meno a
orientarsi nel presente".
21 giugno 2002
c.vivenzio@libero.it
Antonio Carioti, Maledetti azionisti, Editori Riuniti - Roma,
2001, pp. 134 - € 8,26.
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