Narrativa. Philip Roth, esordio di scrittore
di Carlo Roma

Due uomini, Nathan Zuckermann e Emanuel Isidore Lonoff in una lunga notte di dicembre del 1956 sulle colline del New England, negli Stati Uniti. Il primo, il volenteroso discepolo, ed il secondo il maestro saggio e schivo, lontano dal clamore, dalle luci della ribalta e dalla folla brulicante delle metropoli. Un dialogo serrato, un confronto schietto ed aperto. Alcune figure femminili, come contorno. La moglie di Lanoff, Hope - una donna forte, sostegno quando l'atto creativo langue e si affievolisce ed unica musa ispiratrice - e la giovane Amy Bellette dal passato misterioso e dal fascino sensuale e fresco. Due scrittori con velleità diverse eppure in grado di interagire su un piano comune, capaci di individuare la giusta sintonia sulla quale far viaggiare il flusso delle loro idee. "Erano le ultime ore di luce di un pomeriggio di dicembre di più di vent'anni fa - scrive emozionato Nathan nel primo capitolo del suo racconto - quando raggiunsi il nascondiglio dove dovevo incontrare il grande uomo". Nathan non ha ancora maturato, come il suo modello di sempre, l'esperienza profonda dell'animo umano, ma ha all'attivo alcune prove letterarie di una certa qualità. Ha appena ventitré anni e si appresta a pubblicare i suoi primi racconti. L'incontro con Lonoff è scandito dall'apprensione e dall'inquietudine ed è avvolto da un'atmosfera solenne e al limite della irrealtà. Lonoff si presenta, alla porta della sua casa appartata e silenziosa, rifugio protetto di un'anima solitaria, simile più al "direttore di una scuola di provincia che al più originale narratore della regione dopo Melville e Hawthorne".

Il soggiorno nel quale è introdotto Nathan è semplice, accogliente. Una parete è interamente ricoperta di libri, le altre sono occupate da oggetti di pregio, i tavoli sono sommersi da giornali e riviste. Il laboratorio di uno scrittore, insomma. La serenità e la calma sembrano aleggiare su ogni angolo, infondono all'ambiente la quiete necessaria alla stesura di un'opera letteraria. In che cosa consiste, però, la redazione di un romanzo? Cosa vuol dire rappresentare ed incarnare dei personaggi che vivono in un mondo perfetto, chiuso da regole precise e prestabilite, un'umanità nella sua complessità e nella molteplicità? A queste domande, fra le altre, risponde con sapienza il vecchio Lonoff. Si parte da una considerazione preliminare. "L'eroe di Lonoff è, il più delle volte, un nessuno venuto da niente, lontano da una patria che non sente la sua mancanza". E' il tema serpeggiante dell'ebraismo, della diaspora e della separazione che incide nelle inclinazioni e nelle scelte di Lonoff. Ma non solo. Tutta la materia narrativa è dominata dalla presenza interessante della giovane Amy Bellette. Sopravvissuta all'Olocausto, ospitata in America dall'anziano scrittore, la ragazza agli occhi curiosi di Nathan, nasconde un passato ricco di avventure: egli arriva ad immaginare che, scampata alla morte nei campi di concentramento nazisti, sia proprio lei l'autrice del famoso Diario di Anna Frank.

Pubblicato per la prima volta nel 1979, "Lo scrittore fantasma" di Philip Roth racconta con leggerezza il rapporto fra un neofita della penna con tante speranze e gli orizzonti dell'arte della scrittura. Roth ci consegna, dunque, il suo primo suggestivo romanzo al quale ne seguiranno molti altri in una catena ininterrotta di introspezione, di studio e recupero della sua identità ebraica offuscata nel corso della sua vita ma mai dimenticata. I due protagonisti, in verità, stringono un patto: il vecchio Lonoff cede il testimone al giovane Zuckermann. Il passato, allora, si intreccia al presente e, soprattutto, si proietta nel futuro.

7 giugno 2002

crlrm72@hotmail.com

Philip Roth, Lo scrittore fantasma, Einaudi, € 13, pagg. 146.
 

 

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