Una storia d'amore per la libertà
di Riccardo Paradisi
Le storie d’amore e di anarchia rimandano, in Italia, a narrazioni
grevi di scatenamenti sessuali. Alla satiriasi di Mimì
Metallurgico per esempio, eroe priapico e proletario di Lina
Wertmüller, o ai “porci con le ali” di Lidia Ravera, prolegomeno
ad ogni futura pornografia engagé. Cerebralità da salotto che son
diventate l’epica della nostra borghesia gauchista. Per cui non
diremo che l’ultimo romanzo di Giuseppe Conte è una storia d’amore
e di anarchia. Diremo, piuttosto, che è un romanzo la cui cifra è
l’amore per la libertà, per il mare – che è l’orizzonte degli
uomini liberi – per la giustizia e per la bellezza, per i capitani
coraggiosi e per i ribelli di ogni tempo, per gli oppressi e per
quelli che si battono per liberarli. Il protagonista del romanzo –
dalla trama e dalla struttura ottocentesca (ricorda le atmosfere
di Dumas e di Victor Hugo) – Floriano di Santarosa, ufficiale
imbevuto di letture filosofiche e ideali di libertà, è una figura
stendhaliana, ribelle alla sua condizione e al suo ceto sociale,
alla conservazione dello status quo e all’ordine conformista della
“gente per bene”. Un anarchico insomma, ma un anarchico di destra,
che dà a se stesso la propria legge, che non vuole nessuno ai suoi
piedi ma che non è disposto, da parte sua, a mettersi in ginocchio
davanti ad alcuno.
Un nemico del potere, insomma. E un libertario: “Che ognuno adori
il suo dio, che ognuno segua la sua legge” dice il personaggio di
Conte dopo aver fondato una libera comunità in Africa assieme
all’equipaggio ammutinato e agli schiavi liberati dal mercantile
Sant’Anna di cui ha guidato la ribellione. Una comunità spontanea,
dove la sua autorità è naturalmente riconosciuta, dove ognuno può
secedere a piacimento, dove nel rispetto reciproco possono
convivere Gesù Cristo e l’animismo, la licenza e la preghiere. Una
comunità senza Stato, perché Floriano di Santarosa, detestava
quelle teorie dove lo Stato finiva con l’intervenire “così tanto
nell’esistenza degli uomini, fino a determinare tutto… come devono
essere alte le case, come devono essere educati figli e avesse in
più il potere di rinchiudere come pazzo chi non condividesse le
sue critiche. Valeva la pena allora – si chiede l’ufficiale –
scrollarsi di dosso gli antichi tiranni in carne ed ossa, i Re, i
Papi e poi risottomettersi a un nuovo tiranno senza volto,
oppressivo lo stesso, forse ancora di più”? Se si considera che il
romanzo ha come sfondo storico la Rivoluzione francese si capisce
quanto la domanda non sia posta a caso. Il cammino della libertà è
lungo, è una faccenda seria. E ha a che fare con l’epico e il
tragico piuttosto che con l’esistenzialismo mondano, con il
capitano Floriano di Santarosa, per intenderci, piuttosto che con
il Rocco di Porci con le ali.
7 giugno 2002
Giuseppe Conte, Il terzo ufficiale, Longanesi, Milano, 2002, pp.
316, € 15,00. |