“Stupri di guerra”: l’altra faccia del genocidio
di Claudia Rocco


Stupri di guerra. Da sempre, qualcuno direbbe, corollario dei conflitti. A cominciare da Romolo e Remo con il ratto della Sabine. Una fatalità, insomma, davanti a cui si alzano le spalle come di fronte all'inevitabile. Un non evento, e quindi, una non notizia, molti giornalisti hanno obiettato all'autrice di “Stupri di guerra”, Karima Guenivet, giornalista franco algerina e attivista in diverse Ong. Ma la dettagliata ricostruzione dei conflitti degli ultimi dieci anni, in Algeria, Ruanda ed ex Jugoslavia, ha fatto emergere che le violenze sessuali non sono una conseguenza, ma parte integrante di un disegno politico di sterminio. In queste guerre civili, etniche e religiose, sono un'arma. Ed è proprio la dimensione "locale", “il processo di privatizzazione dei conflitti”, a dar loro nuovo potere.

Nella ex Jugoslavia, grazie a una forte propaganda, dalla fine degli anni '80 è stato costruito il mito della "Grande Serbia", di un popolo superiore minacciato dai musulmani sin dal 1939, data della sconfitta di "Kosovo Polje", e da altre minoranze. Una preparazione all'epurazione etnica, pianificata dall'alto. La donna, simbolo della comunità, diventa un territorio da conquistare. Ma anche, da fecondare. “L'identità serba è una elezione divina che circola per via sessuale con il gene serbo” spiega la Guenivet. Lo stupro diventa l'arma più potente per distruggere l'identità del nemico e mezzo per un "miglioramento genetico". In Ruanda, invece, il fine è lo sterminio totale dei Tutsi da parte degli Hutu. Di base una lotta di classe, sociale, alimentata da una propaganda basata sull'odio etnico. Bersaglio principale: la donna tusti, "l'europea dalla pelle nera", colta, emancipata, bella. Violata per vendetta, attraverso mutilazioni multiple - specie nei suoi tratti distintivi come il naso piccolo e le dita affusolate -, torture, violenze, quasi sempre mortali, la trasmissione consapevole del virus dell'Hiv. Il genocidio rappresenta una rivalsa sociale a cui partecipano attivamente anche le donne hutu.

Nel caos della guerra algerina, le donne sono violentate sia dai terroristi islamici che dai miliziani e dall'esercito. Nonostante lo stupro sia vietato dall'Islam, i "guerrieri di Dio" lo commettono in modo sistematico attraverso i matrimoni temporanei, il mutaah, una pratica importata dall'Afghanistan. In nessun altro caso la violenza è così specificatamente sessuale, di genere. “La donna per gli islamisti è l'oggetto su cui proiettano le loro paure, una fissazione ossessiva”. In guerra, diventa bottino, un modo “per mostrare la propria virilità”, e in pochi casi, attraverso le violenze, incubatrice di un "buon musulmano". Un altro problema, conclude Karima Guenivet, è l'impunità. Se un vero miglioramento dipende dalle giurisdizioni nazionali - in alcuni paesi le donne non godono di nessuna personalità giuridica -, i tribunali penali internazionali per il Ruanda e per la Jugoslavia hanno finalmente definito lo stupro di guerra, un crimine contro l'umanità. E se la Corte penale internazionale sarà un altro passo avanti, rimane prioritario riconoscere che esistono alcuni luoghi nel mondo in cui basta essere donna per essere perseguitati. E, quindi, l'appartenenza a un genere per essere riconosciuti rifugiati.

25 aprile 2002

Karima Guenivet, Stupri di guerra, Luca Sossella Editore, 202 pagine, € 15,00
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