Cattivi pensieri. A lezione di diplomazia
di Vittorio Mathieu
Nei rapporti internazionali (ma anche negli altri) capita spesso
di dover stringere mani che ispirano ripugnanza. Non discuto se a
torto o a ragione: ripugnano e basta. In Francia e in Belgio, ad
esempio, vi sono ministri di vario sesso a cui ripugna stringere
la mano di Berlusconi o di un qualsiasi membro del suo governo.
Liberi di provare quel sentimento. Non liberi, però, di dichiarare
di non voler stringere quelle mani. Se non vogliono stringere mani
ripugnanti, rinuncino a ogni funzione ufficiale. Un comportamento
diverso dimostra soltanto che sono inadatti alla loro funzione.
Non dico affatto che non debbano lasciar trapelare la loro
ripugnanza, o fingere addirittura di essere contenti. Ma ci sono
modi particolari di stringere le mani con finto compiacimento che
mostrano, in realtà, sotto di esso una più profonda ripugnanza. Si
tratta di conoscerli questi modi, e di assumerli al momento
giusto. Ciò si chiama “diplomazia”. Una dote che non è necessaria
solo ai diplomatici di carriera, con relativo passaporto e assegno
di sede. Del resto, non è neppur necessaria solo nei rapporti
internazionali, bensì in tutti i rapporti civili. Nei rapporti
internazionali – in particolare diplomatici – la diplomazia è solo
più accentuata. Quasi caricaturale.
C’è anche una particolare terminologia, nel linguaggio
diplomatico, che risponde alla medesima necessità. Se, ad esempio,
un comunicato dice che uno scambio di opinioni è stato “franco”,
si deve intendere che ci si è trovati sull’orlo della rottura.
Dobbiamo dedurne che gli scambi d’opinione non al limite della
rottura non siano franchi? Neppure questo sarebbe vero. Però, se
non si fosse al limite della rottura, non occorrerebbe
sottolineare che i rapporti siano stati franchi. Supponiamo,
dunque, che il ministro belga o la ministra francese giudichino
sconveniente per le loro coscienze non far notare che stringere la
mano di qualcuno in buoni rapporti con Berlusconi senza mostrare
al tempo stesso che ciò ripugna loro. Ci sono modi di comportarsi
che dicono: ho il dovere di mostrarmi corretto, ma ho anche il
dovere, più profondo, di mostrare che quell’atto mi ripugna.
Poi ci sono, naturalmente, posizioni intermedie. Tra il disgusto e
la gioia c’è spazio per tanti sentimenti diversi e, quindi, per
tanti modi di stringere le mani, adatti a ogni circostanza. Si
dirà che è ipocrisia. Più giusto il contrario: sono modi per
mostrare con sincerità come si pensa, senza assumere atteggiamenti
stupidamente offensivi. Si pensi al Fidel Castro del periodo
senile. Io spero che all’attuale pontefice ripugni profondamente
la mano di Fidel Castro, anche se senescente: eppure lo ha
ricevuto e gli ha stretto la mano. E Gianni Agnelli? Lo ha anche
invitato a cena, e Fidel Castro ha accettato. Spero che entrambi
trovassero profondamente disgustoso cenare insieme, ma ciascuno
dei due aveva buone (o cattive) ragioni per farlo. Una volta
decisi a farlo, sarebbe stato, non solo inutile, ma
controproducente togliersi a vicenda l’appetito.
Berlusconi per primo stringe molte mani che preferirebbe non
stringere. E spesso posa per i fotografi in quell’atteggiamento.
In quelle fotografie, in entrambi gli agonisti in cordialità
traspaiono sfumature di sentimento, che nessun comunicato
ufficiale riuscirebbe a rendere così fedelmente. Insomma, ci sono
più modi per essere franchi. E non si vede perché qualcuno che
(bene o male) parla francese debba comportarsi come se il solo
modo a sua conoscenza sia quello che Molière satireggia nel
Misanthrope.
12 aprile 2002 |