La sfida di "Vita" per un nuovo terzo settore
intervista a Riccardo Bonacina di Renato Tubére

Con una tiratura di 37mila copie e quasi 12mila abbonati in tutta la penisola, il settimanale "Vita" si candida ormai a leader incontrastato nel segmento editoriale dedicato al non profit e agl'interessi molteplici che ne derivano per il nostro paese. Riccardo Bonacina, che ne è l'ideatore e il direttore editoriale, prova a fare per i lettori di Ideazione.com un bilancio di questa felice esperienza e descrive con efficacia le aspettative di un terzo settore italiano in forte espansione, ma tuttora alla ricerca di un'identità economica e sociale più precisa.

Puoi spiegarci quali sono i motivi del grande successo di Vita?

Il settimanale Vita nasce nell'ottobre 1994 da un'idea tanto semplice quanto temeraria. La voglia di un gruppo di giornalisti di raccontare una parte di realtà e di società già allora rilevante che nessuna raccontava. L'area, per intenderci della cosiddetta società civile, i suoi corpi intermedi, le sue organizzazioni. Per questo il rapporto con il terzo settore è sin dalla nascita un rapporto costitutivo e necessario. Senza soldi e senza padroni non avevamo che una possibilità, allearci in maniera diretta con le organizzazioni della società civile, nasce così il comitato editoriale di Vita, previsto sin dallo statuto della società, un tavolo con tutte le principali associazioni e coordinamenti di associazioni che affianca la direzione del giornale. Oggi questo rapporto con il terzo settore è addirittura costitutivo nel gruppo editoriale del settimanale, al punto che il suo capitale è controllato per il 56 per cento da organizzazioni non profit. La nostra avventura è il segno che in questo paese c'era, e oggi c'è ancor di più, il bisogno di una informazione diversa, un'informazione rivolta al racconto della realtà più che del Palazzo.

Eppure esiste un luogo comune, o addirittura la convinzione, che il mondo del volontariato sia tendenzialmente legato alle tematiche dei no global…

Il terzo settore e il volontariato sono mondi molto concreti, pragmatici e difficilmente inquadrabili dal punto di vista ideologico. Si tratta di una realtà davvero plurale, tenete presente che ogni organizzazione nasce con lo specifico compito di affrontare e risolvere un problema specifico, grande o piccolo che sia. Il movimento no global è un movimento in cui è invece preponderante un forte elemento ideologico se non addirittura partitico. Da parte nostra, come settimanale, preferiamo la definizione di "new global" ad indicare la voglia di questa pluralità di movimenti ed organizzazioni di vivere nuovi stili di vita, stili di vita più responsabili e sostenibili. La globalizzazione è un processo in atto che non si deve subire, ma a cui tutti devono partecipare attivamente!

Dai girotondi contro il presunto regime imperante voluti dall'opposizione all'incerta gestazione di politiche che di liberale finora hanno mostrato poco o nulla da parte della maggioranza, l'Italia sembra in preda alla confusione più totale: quale via d'uscita intravede?

Credo che una delle malattie più serie e gravi del sistema democratico italiano sia la separazione dei partiti dalla società, quello che era un nobile concetto, trenta o quarant'anni fa, l'autonomia della politica, è oggi diventata una malattia, una separazione. E riguarda tutto il sistema. Sono convinto che dai percorsi partecipativi e di rappresentanza nati in questi anni nella società civile - due esempi su tutti, Compagnia delle Opere e Legambiente - possa nascere qualcosa di nuovo, un percorso di democrazia associativa ancora sconosciuto fra noi.

"Libertà è partecipazione!" cantava un certo Giorgio Gaber ai tempi del '68: ma esiste ancora questa mentalità nella società di oggi?

Esiste, anche se molti fanno finta d'ignorarla. Basterebbe che politici, intellettuali e rappresentanti dei media mettessero da parte le ideologie precostituite e facessero un viaggio nelle associazioni di volontariato, nelle cooperative sociali, nelle organizzazioni non governative regolari per scoprire dei veri laboratori di percorsi di partecipazione nuovi e spesso molto vitali.

Emendamento di Tremonti sulla composizione del CdA delle fondazioni, legge Bossi-Fini sull'immigrazione, difesa della legge 185/90 per la trasparenza del traffico d'armi: perché Vita pungola proprio su questi temi la Casa delle Libertà?

Perché in questa prima porzione di vita del governo, che auspicheremmo fautore di uno stato meno dirigista e più leggero, ci è parso sia prevalsa l'anima d'ispirazione marcatamente liberista, thatcheriana e reaganiana, che s'impersonifica nell'asse Berlusconi-Bossi-Tremonti, specialmente quest'ultimo si sta distinguendo per un tecnicismo algido nelle sue decisioni. Ma anche in ministri pseudo-tecnici come Marzano e Lunardi constato lo stesso atteggiamento. Oggi sembra prevalere la loro linea, e secondo me non è un bene! La linea sociale e dialogante, incarnata da ministri come Maroni, Giovanardi, Buttiglione, Alemanno, mi pare sia oggi minoritaria e perdente: hanno fatto molte promesse per quanto concerne lo sviluppo del terzo settore, ma finora non sono riuscite a mantenerle. Speriamo in futuro...

In conclusione, quali sarebbero le priorità da affrontare per l'attuale governo in favore del mondo del non profit?

In sintesi direi: defiscalizzare in modo compiuto le donazioni dei soggetti privati, incrementare la deducibilità delle spese sociali promulgate dalle fondazioni e promuovere fra istituzioni e terzo settore una concertazione stabile che crei nuova occupazione e prevenga l'esclusione di chi è oggi ai margini della società civile. Mi riferisco per esempio alle persone sotto la soglia della povertà, ai disabili fisici e psichici e ai loro familiari, agl'immigrati che vorrebbero uscire dalla clandestinità per condurre una vita regolare. Quello che possiamo aspettarci da un governo che si dice liberale è che faccia una politica liberale, aumentando gli spazi di libertà, di responsabilità e di autorganizzazione della società civile

29 marzo 2002

renatotubere@email.it


 

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