Saggistica. Il liberalismo comunitario di Robert MacIver
di Paolo Terenzi


Il volume di Leonardo Allodi, “Quello che non è di Cesare. Comunità, società e stato in Robert M. MacIver” (Franco Angeli, Milano 2001) traccia il profilo intellettuale di un autore molto noto in ambito anglosassone ma finora poco conosciuto nel nostro paese. MacIver (1882-1970), di origini scozzesi, è vissuto per buona parte della sua vita negli Usa: ha insegnato alla Columbia University ed è stato direttore della American Sociological Association. MacIver è sostenitore di un’organizzazione federale dello stato in cui la relazione tra autonomia locale e autonomia nazionale “è la riconciliazione di esigenze più specifiche e più vicine con quelle più universalistiche”. La parola d’ordine è not parochialism and not cosmopolitanism, il principio guida deve essere co-operation e non centralisation. Le opere di MacIver aiutano a superare il pregiudizio in virtù del quale “pubblico” è sinonimo di statale e tutto ciò che non è statale è da guardare con sospetto.

E’ necessario chiedersi oggi cosa significhino la società, la comunità e la rete di relazioni sociali che le costituiscono. Come nota Allodi nella Introduzione, l’attore sociale a cui la teoria di MacIver fa riferimento è un cittadino in carne ed ossa, con interessi economici e materiali da difendere, e con una identità culturale definita. Stato e comunità trovano il loro senso nel servizio della persona, una persona che è allo stesso tempo individualità e socialità: “Non vi sono individui che non siano in pari tempo anche individui sociali, così come non si può dire che la società non sia altro che individui associati e organizzati”. MacIver rifiuta ogni forma di collettivismo, la società è qualcosa di superiore alla somma delle sue parti, ma esclude anche un individualismo atomistico che disconosce il ruolo decisivo delle relazioni comunitarie nella costituzione e nello sviluppo della identità. La comunità, già nella esperienza del bambino come essere non autonomo, è connaturata alla vita stessa. Promuovere la libertà della persona, significa per MacIver combattere i pericoli che continuamente la insidiano come i nuovi Leviatani (Nazismo e Comunismo) e lo statalismo. Oggi c’è anche una malattia corrosiva che si sviluppa all’interno delle democrazie, e che l’autore, in un saggio degli anni Cinquanta, chiama il grande vuoto.

Gli uomini vuoti vivono nel mondo dei mezzi senza fini, sono alla ricerca continua di nuove eccitazioni, di nuovi stimoli per evitare che il grande vuoto li assalga: “sono come aerei che devono continuare a volare perché non possono atterrare non avendo il carrello di atterraggio. I motori sono sempre più veloci, ma non stanno andando da nessuna parte. Fanno progressi ma in vista del nulla… Così il cerchio si chiude, girando a vuoto. Mezzi senza un fine. Mondo senza un fine”. In questo peregrinare si vivono molte esperienze, anche eccitanti, ma non si fa più l’esperienza di un incontro reale. E’ necessario ed è sufficiente, per fronteggiare il grande vuoto, elaborare una nuova religione civile (come da più parti si sostiene)? La politica deve farsi carico di proporre nuovi valori morali? No. Secondo MacIver, come mostra Allodi in questa preziosa monografia, quando si parla di cultura, di arte, del significato della vita, si entra in un ambito di pertinenza diverso dalla politica, si entra nel campo di “Quello che non è di Cesare”.

11 gennaio 2002

p.terenzi@freefast.it

L. Allodi, Quello che non è di Cesare. Comunità, società e stato in Robert M. MacIver, FrancoAngeli, Milano 2000, pp. 224, euro 15,49
 


 
 

 

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