Coniugare politica e bellezza
di Riccardo Paradisi


Adriano Olivetti aveva un sogno, coniugare politica, lavoro e bellezza; perciò considerava l’architetto un demiurgo e l’urbanistica come la disciplina superiore alle altre perché, dando forma alla polis, era capace di organizzare intorno a sé tutto il resto: l’ambiente, la convivenza sociale, l’immaginario collettivo. Era questo intento a muoverlo quando nei primissimi anni Trenta, durante il soggiorno milanese, andò a trovare nel loro studio gli architetti Luigi Figini e Gino Pollini, i razionalisti che ruppero col Futurismo per approdare, col “Gruppo 7”, ad una visione più mediterranea fatta di equilibri e calde lucidità. Figini e Pollini, come racconta Valerio Ochetto, videro entrare Adriano al loro studio di via Bernardino Luini col suo fare timido e impacciato, seppero che aveva visto il loro progetto di villa studio per artista alla Triennale di Milano del 1933, avendo intuito che “quel fabbricato longitudinale, con gli spazi aperti fra interno ed esterno, le grandi vetrate, andrebbe bene, con proporzioni mutate per la nuova fabbrica che ha in mente [...]. Con Adriano comincia una collaborazione e un’amicizia [...] che durerà ventisei anni”. Ivrea diventerà il cantiere del razionalismo italiano; motivo dominante di questo grande progetto è la “parete di vetro” trasparente all’interno e speculare verso l’esterno dove si riflettono la natura e il cielo del Canavese.

Nel ’34 Olivetti affida ai due architetti anche il progetto di un nuovo quartiere di Ivrea con case funzionali per il ceto sociale che dovrà abitarle. Tra il quartiere e la fabbrica vengono progettati spazi verdi, giardini, impianti sportivi, edifici collettivi mentre la via Castellamonte viene divisa in tre carreggiate per la pista ciclabile, per i pedoni e per le auto. Al progetto avrebbe dovuto partecipare anche Le Corbusier che Adriano conosce nel novembre del ’36, ma alla fine il grande maestro non prese parte ai lavori. Era tipico di Olivetti accostarsi ai grandi maestri di ogni disciplina appena in tempo per distaccarsene. Musatti, che oltre ad essere uno degli intellettuali a lui più vicini era anche stato per una sola seduta il suo psicanalista, aveva spiegato questo atteggiamento di Olivetti nei confronti delle grandi personalità col fatto che l’ingegnere non voleva essere influenzato più di tanto. Anche il suo rifiuto di continuare le sedute con Musatti, non era tanto dovuto al fatto che preferisse il simbolismo junghiano al razionalismo freudiano (al quale si rifaceva Musatti), quanto piuttosto alla questione dell’influenza dei carismatici totalizzanti. Del resto Olivetti oltre ad essere un personalista era, senza che il gioco di parole sembri vacuo, una personalità molto forte, con uno spiccatissimo senso dell’autonomia e dell’indipendenza. Riconosceva in Le Corbusier un grande maestro, e però gli preferì dei buoni architetti. Eduardo Vittoria che conobbe Olivetti nel ’31 e fu uno dei suoi in quel di Ivrea ha ricordato come all’ingegnere non interessassero esercitazioni di stile ma costruzioni belle e funzionali “che tenessero conto anche della voce dell’uomo della strada”.

Nel 1936 il piano di Ivrea è presentato da Olivetti sul numero di maggio della rivista Casabella. Il 30 maggio l’ingegnere viene ricevuto da Mussolini in persona. Il Duce ha intorno a sé tutti gli architetti dell’avanguardia italiana - tutti fascisti di sinistra - che, ricordandogli la sua fede rivoluzionaria, lo invitano a dichiarare il razionalismo “arte di stato”. Nel luglio del ’37 viene esposto nella galleria della Confederazione fascista artisti e professionisti il piano regolatore della Valle d’Aosta. Era il frutto di un lavoro voluto ancora da Olivetti che due anni prima aveva incaricato di sua iniziativa uno staff di architetti razionalisti di compiere un’inchiesta sul territorio e in seguito a questa accurata indagine sul campo stendere il piano. Il progetto riceve il plauso di Critica Fascista di Bottai e Olivetti può esporlo sulla prestigiosa rivista Casabella. Intanto però Mussolini condizionato dall’ambiente romano sceglierà la conservazione piuttosto che il razionalismo e nella visita a Ivrea del ’39, consigliato evidentemente in tal senso, eviterà di andare all’Olivetti. Del piano regolatore verrà così realizzato soltanto il quartiere nuovo di Ivrea, il nido d’infanzia di Borgo Olivetti, le case per impiegati del quartiere Castellamonte. Il piano verrà esposto nell’Expo ’37 di Parigi e verrà pubblicato a spese dello stesso Adriano nel ’43.

Olivetti non ci sapeva fare coi politici, forse perché era il regista di una cultura inattuale: la stessa Ivrea rappresentava il rinnovamento visibile del razionalismo con quelle linee così leggere rispetto alla pesantezza di quelle milanesi. Ma il progetto di Olivetti non era solo interno all’architettura. A Olivetti interessava anche la ricaduta politica e funzionale di quel progetto: “era funzionalista - scriverà Geno Pampaloni - pur avendo una profonda esigenza estetica di tipo rinascimentale e platonico, era spiritualmente legato alla funzionalità della bellezza”. A Ivrea se la classe operaia, rinchiusa per secoli in luoghi oscuri, rivede letteralmente la luce, lo si deve all’orgoglio della modestia che strutturava il pensiero dell’ingegner Adriano. Olivetti era un imprenditore intelligente in grado di innescare nuove possibilità di crescita civile, di inserimento degli intellettuali nel mondo del lavoro, di equilibrio ambientale. Era un uomo capace di progetti arditi, capace di rischiare delle scelte, di antivedere, di fare il primo passo nella direzione in cui vedeva. Ivrea è la testimonianza vivente di tutto questo, di un’idea di architettura e di società sobria ma tesa all’innovazione urbanistica, all’arte figurativa e al progresso tecnologico. Olivetti si poneva il problema della modernizzazione senza però trascurare in questo progetto di trasformazione il lato economico: il realistico rapporto costi/benefici. Del resto, malgrado tutto, egli restava un industriale e un ingegnere. Il che non è una diminutio se si pensa che col suo lucido e sognante realismo egli diventò un punto di riferimento per tanti architetti. Come è stato recentemente ricordato in un convegno alla facoltà di Architettura di Ascoli Piceno dedicato proprio agli “architetti di Olivetti”, e a Eduardo Vittoria in particolare, il quale ha ricordato come “la figura di Olivetti ha svolto un ruolo decisivo nei confronti dei giovani di una generazione che grazie a lui scelse il mestiere di architetto come una missione”. Anche politica.

14 dicembre 2001

(da Ideazione 5-2001 settembre-ottobre)


 


 
 

 

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