Omaggio a Manzù, artista italiano
di Claudio Strinati

“Omaggio a Manzù. 1991-2001” è il titolo della mostra che si inaugura l’11 dicembre a Strasburgo, nella sede del parlamento europeo, nel decimo anniversario della morte del grande artista italiano. Vengono esposte sculture, disegni, serigrafie e fotografie dell’artista, dalle quali Ideazione ha scelto le immagini per illustrare il numero speciale sull'Italia attualmente in edicola.


Il 25 gennaio gennaio 1952 Giacomo Manzù veniva incaricato, dopo un tormentato concorso durato anni, di eseguire una porta perSsan Pietro. Sarebbe stata la porta della Gloria dei santi e dei Martiri o, più precisamente, la porta della Chiesa docente e discente. Durante la lavorazione, Giovanni XXIII, che l’aveva tanto sostenuta, morì nel 1963 e un episodio previsto nel progetto originario, quello della Morte nell’acqua fu sostituito, appunto, con la Morte di Giovanni XXIII. La porta sarebbe passata alla storia come la Porta della morte e, in effetti, un senso grandioso e solenne grava sulle immagini come se una sola fonte di ispirazione avesse determinato la scelta dell’artista, in preda a una altissima tensione, morale e intellettuale, che si calava con semplice e potente evidenza nella essenziale sintesi delle immagini del portale. Nel 1964 commentando magistralmente la Porta della morte, Cesare Brandi, uno dei più autorevoli esegeti di Manzù, ne notava l’afflato spirituale e rimarcava la spontanea e profonda “classicità” dell’eloquio del maestro nella abolizione sostanziale dell’idea del piano di fondo, all’interno della nobile struttura di insieme: “l’immagine di Manzù non appare più dubbia e come smangiata dall’aggressivo, corrosivo flusso atmosferico, diffuso nel pulviscolo luminoso, affiorante a sprazzi dal fondo trepido del bassorilievo. Ma quello che già aveva raggiunto, soprattutto nelle figure di Cardinali, una forma tornita, senza essere secca, con quei piegoni che sembravano e costoni e fossati, unicamente intesi a raffigurare se stessi e non un corpo drappeggiato, quel senso così conturbante di cosa reale ed insieme astratta al limite dell’astrazione e della stereometria”.

Non si sarebbe potuto dir meglio ed effettivamente la Porta della morte è emblema assoluto dell’arte di Manzù e il confronto che il Brandi tracciava tra questa opera decisiva e le immagini dei Cardinali rimane validissimo per inquadrare in maniera convincente l’arte di questo grande maestro della scultura. Manzù era un cospicuo disegnatore disegnatore e a partire da tale premessa è possibile interpretare al meglio il senso ultimo del suo lavoro, proprio come lo si vede in un capolavoro quale è la Porta della morte. Lo aveva notato subito un altro sensibile studioso di Manzù come Carlo Ludovico Ragghianti quando, già nel 1940, annotava: “basta dare uno sguardo ai disegni... per accorgersi che la cercata disciplina non degenera mai in arida superficialità... e tanto meno in passiva acquiescenza a un modello stilistico: c’è sempre un momento o un dettaglio sottile... che riscatta con la sua fresca, trepidante novità le parti più dilatate e indirette, ma che pure servono all’artista per sperimentare, per affinare quella eleganza ritmica, che si farà suprema”.

Ed effettivamente l’esame della Porta della morte permette di ravvisare proprio questo elemento di ritmicità che percorre le opere massime del maestro. Il rilievo di Manzù è, nella sostanza, un disegno inciso su una superficie che si dilata armoniosamente nello spazio e i volumi assoluti di una figura come quella del Cardinale sono sviluppi nello spazio di elementi grafici che acquistano fisicità restando pure geometrie tali da suggerire appunto un sentimento di quiete, ordine, stasi, contemplazione. Da qui discende il senso profondamente etico dell’arte di Manzù. Era uno spirito religioso, indubbiamente, e la Porta della morte ne è sublime riprova, ma era soprattutto un uomo profondamente orientato verso un’idea morale dell’arte. Da vero e antico lombardo, avrebbe potuto ripetere la sentenza del Caravaggio secondo il quale lo stesso impegno etico ed estetico viene messo dall’artista quando rappresenta la figura umana o un filo d’erba, ma tutto comprendendo in quell’amore universale del visibile e del rappresentabile che l’arte sola è in grado di esprimere in maniera diretta. Aveva ragione Brandi nell’indicare la plastica di Manzù come una plastica che è tutta orientata verso il volume anche quando sembra più evidentemente tracciata sul piano. Manzù lavora sulla superficie più impervia perchè appena rialzata nella profondità ma in questa tensione verso la conquista dello spazio proietta il suo senso religioso.

A lui ben si applicherebbe un titolo pensato in tutt’altro contesto dal raffinato filosofo György Lukacs, L’anima e le forme. Perchè non c’è dubbio che la forma viene pensata e realizzata da Manzù come la concretizzazione di una latenza del materiale artistico e diventare intimo colloquio con l’interiorità dell’uomo. Il peso solenne del suo fare qualificò una delle principali linee di sviluppo dell’arte italiana del Novecento e resta come modello incomparabile per chi voglia capire il senso della scultura oltre la fase del classicismo, del neoclassicismo e della stessa astrazione. La strada di Manzù è una strada completamente debitrice alla tradizione umanistica ma scevra da qualunque sospetto di imitazione o ripetitività. È la strada di un autentico creatore cui si può tornare con attenzione rinnovata per comprendere meglio lo stato dell’arte nel nostro tempo.

7 dicembre 2001


 
 

 

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