Una certa idea dell'Italia
di Domenico Mennitti


Esiste un carattere nazionale italiano? Quando - e come - si è formato e quali sono i suoi tratti costitutivi? L'identità dell'Italia è il frutto di una vicenda millenaria o il risultato di una costruzione politica recente? Quali sono i luoghi, i simboli che più di altri possono essere considerati tipici del modo di essere e di sentire proprio degli italiani? Che cosa accomuna questi ultimi dal punto di vista dell'esperienza collettiva? Esiste un patrimonio di memorie comuni del popolo italiano? Perché si è soliti parlare - sul piano storico-politico - di un "caso italiano"? L'Italia continua a essere solo un'espressione geografica o è anche una comunità politica con una storia comune, valori condivisi, un'identità unitaria? L'8 settembre 1943 abbiamo davvero assistito alla "morte della patria"? Quando è nato il senso di appartenenza del popolo italiano? Siamo ancora una nazione? Tutti questi interrogativi - e molti altri dello stesso tenore - sono risuonati a più riprese nel dibattito pubblico e nel confronto politico degli ultimi anni, e sono diventati ancora più attuali alla luce delle ultime vicende internazionali. Se la meditazione sull'identità italiana è antica e ricorrente, nel corso degli ultimi tempi essa si è in effetti intensificata ed arricchita, soprattutto sotto la spinta degli effetti - per molti versi dirompenti dal punto di vista dell'identità individuale e collettiva - determinati da fenomeni quali l'immigrazione di massa, l'internazionalizzazione dei mercati, la globalizzazione degli scambi e la tendenziale omogeneizzazione dei modelli e stili culturali. Ma non va nemmeno trascurato il senso di angoscia e di smarrimento provocato negli italiani, nel corso dell'ultimo decennio, dalla traumatica fine della cosiddetta Prima Repubblica e dall'inizio di una lunga e faticosa transizione politica.

Le trasformazioni determinate a ogni livello dalla "seconda modernità" e il venir meno di consolidati equilibri politico-sociali hanno dunque reso ancor più attuali interrogativi come i seguenti: quali sono i caratteri che definiscono l'identità degli italiani? Cosa significa - oggi - essere italiano? Appartenere all'Italia - nascervi, esserne cittadini, parlarne la lingua, abitarne il territorio, partecipare alla sua vita politica - quale senso e quale significato (storico, politico, culturale, spirituale) può rivestire nel contesto odierno, dominato apparentemente, a causa della globalizzazione, dalla progressiva dissoluzione o dall'appannamento delle tradizionali forme di appartenenza culturale e storico-politica? La risposta a queste domande non è ovviamente facile, come dimostra proprio il dibattito svoltosi in questi anni sul tema dell'identità degli italiani, dibattito nato all'interno della cerchia accademica e ben presto dilagato sul piano della discussione pubblica e del confronto politico. Per nostro conto, nell'affrontare questo complesso tema abbiamo cercato di adempiere per quanto possibile alla nostra funzione di laboratorio politico-culturale: abbiamo quindi evitato risposte preconcette ed ideologiche, analisi rassicuranti ed improntate ad uno scarso senso critico, preferendo invece un approccio problematico e culturalmente responsabile. Ma non per questo abbiamo rinunciato ad indicare una chiave interpretativa ed una prospettiva intellettuale, capaci di tradursi - per chi sappia coglierle - in una chiara indicazione di cultura politica (e di politica culturale).

L'Italia - questa l'ipotesi che serpeggia nella maggior parte dei contributi ospitati in questo numero monografico - prima che come stato, cioè come modello politico-istituzionale, è esistita come idea, come territorio, come nazione, come costume, come aspirazione intellettuale, come lingua e come tradizione culturale. Ciò significa - evidentemente - che l'eventuale declino del modello statuale nel quale ci siamo riconosciuti come paese nel corso degli ultimi centocinquanta anni (declino da noi certo non auspicato, ma ipotizzato da non pochi teorici del post-moderno e reso in effetti politicamente plausibile da certi sviluppi impliciti nel processo di globalizzazione) difficilmente comporterà la scomparsa di una identità e di un'appartenenza che sono secolari. Ma ciò detto, quali sono gli elementi che hanno storicamente caratterizzato l'Italia e gli italiani?

Il punto sul quale molte analisi convergono è quello - in apparenza paradossale - secondo il quale l'identità italiana ha un carattere plurale e tutt'altro che univoco: è un'identità formatasi attraverso identità molteplici, che tra di loro si sono, nel corso del tempo, continuamente sommate e sovrapposte, sino a definire un equilibrio assai precario, ma anche dinamico. Un'identità che appare dunque forte, capace cioè di resistere al cambiamento storico ed alle pressioni interne ed esterne, proprio in virtù della sua solo apparente debolezza e fragilità. Si allude, evidentemente, alla storica policentricità del tessuto urbano e politico della penisola, alla grande vitalità (talvolta al limite dell'anarchismo) della sua società civile, alla molteplicità di culture locali, cittadine e regionali, che ne hanno accompagnato lo sviluppo civile. Il tutto su un duplice sfondo: dal punto di vista antropologico, quello di un sentimento "naturaliter" cattolico che ha determinato negli italiani un rapporto creativo, diretto con la realtà materiale; dal punto di vista geopolitico, quello di una collocazione europeo-mediterranea che ha fatto del nostro paese un vero e proprio crocevia di civiltà e di culture, di uomini e di fedi religiose, di commerci e di idee. Tutti elementi spesso additati come le radici storiche di un'appartenenza incerta, evanescente e sempre sul punto di dissolversi e che invece, probabilmente, costituiscono la vera ricchezza italiana, il suo marchio identificante, la forza storica degli abitanti il Bel Paese. Tutti elementi che proprio oggi, nell'epoca postmoderna e globale in cui siamo ormai inseriti, sembrano costituire - allorché di essi si abbia piena consapevolezza - la migliore risorsa con cui il nostro paese può affrontare, forse meglio di altri, la sfida del mare aperto della globalizzazione. Diversamente da una certa vulgata - secondo la quale tali elementi farebbero dell'Italia un "paese anormale" - i nuovi scenari geo-politici e metapolitici invitano infatti ad una valorizzazione delle nostre più tipiche vocazioni.

Di anormale in Italia, forse, c'è solo la pretesa di imporre al paese modelli istituzionali, relazionali, culturali e socio-antropologici ad essa storicamente estranei e ciò nel segno di quel mai sopito complesso d'inferiorità che è stato uno dei tratti negativamente distintivi non degli italiani, ma di alcune componenti della sua classe dirigente, che a furia di mostrare disagio nei confronti della propria storia e del proprio paese hanno finito per trascurare e, talvolta, per mortificare molto di ciò che la società civile, la cultura e l'economia italiane hanno espresso di più vitale e interessante.

Sulla base di queste considerazioni - parziali e per certi versi anche provocatorie - siamo così giunti ad una lettura del cosiddetto "caso italiano" alternativa rispetto ad una certa lamentazione anti-italiana, una lettura fondata sulla valorizzazione della nostra identità più propria. Dai Comuni e dalle Repubbliche marinare sino all'esperienza del Rinascimento, dalla tradizione mercantile alla grande stagione artistica e musicale rinascimentale e barocca, dal Risorgimento al particolare "colonialismo" all'italiana, dal fascismo al miracolo economico degli anni Sessanta, dal made in Italy ad un fenomeno politico come Forza Italia, la nostra storia non ha espresso - come talvolta si è sostenuto - un rifiuto della modernità, ma forse, più semplicemente, una forma diversa di modernità, che potrebbe anche costituire, perché no?, un "paradigma" e un "modello" per altri. Non di "caso italiano", dunque, si dovrebbe parlare, semmai di un "modello italiano". Il titolo scelto per questo fascicolo monografico ha un tono politicamente evocativo, che però non allude ad un desiderio di grandeur - oggi del tutto fuori luogo. Vuole semmai denotare l'orgoglio di un'appartenenza, indicare una necessaria presa di coscienza, suggerire - in primis al nostro ceto politico - un bisogno di autoconsapevolezza, storica e culturale, senza la quale nessun paese può oggi pensare di affrontare la sfida della globalizzazione. Abbiamo un'idea dell'Italia - e degli italiani - positiva, vincente, dinamica, virtuosa, piena di speranze e di attese, perché no?, anche sentimentale, ma tutt'altro che aggressiva o retorica e per niente lamentosa e svilente o inutilmente ed ingenerosamente autocritica. Un'immagine antica e moderna al tempo stesso, difendendo la quale ci riuscirà più facile essere europei, occidentali, cittadini del mondo.

16 novembre 2001

domennitti@tin.it

(da Ideazione 6-2001, novembre-dicembre)

 


 

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