Dall’intellettuale organico all’intellettuale contro
di Ruggero Guarini


Come si configura attualmente da noi la questione della egemonia culturale? Si configura in forme e contenuti che possono essere riassunti nella formula seguente: alla figura dell’intellettuale “organico” è subentrata quella dell’intellettuale “contro”. La differenza tra le due figure è naturalmente abissale. L’intellettuale organico - nonostante la fede partitica, che ne faceva, appunto, un “organo”, ossia un funzionario, del partito in cui militava, e che poteva indurlo, addirittura, a seguire il principio gramsciano che imponeva di mettere il Nuovo Principe al posto della coscienza, cioè a gettare la morale nella pattumiera dell’individualismo borghese - aveva gusti e idee in larga misura conformi allo stile culturale del suo tempo. Era, perciò, per non pochi aspetti, un intellettuale di specie veteroumanistica e similborghese, e come tale ancora capace di opporre una certa resistenza all’influenza della circostante (e allora ancora in fieri) società di massa, nonché di quello che è diventato da tempo il suo principale strumento: l’allora ancora acerba industria culturale planetaria. Insomma, non era un essere invertebrato, un mollusco eterodiretto, un automa capace soltanto di captare i segnali delle grandi centrali mediatiche addette alla diffusione di quell’ultima variante della doxa collettiva che è il pensiero unico mondiale.

L’intellettuale “contro” ha invece gusti e idee perfettamente conformi alle attese di quell’industria. La quale, per quel che concerne la “circolazione delle idee”, ha ormai assunto, come tutti sanno, la forma matura di un dispositivo ubiquitario perpetuo di rottami e rimanenze delle più diverse provenienze. Operazione, questa, non meno anonima che inarrestabile, e che per il momento ha generato un tacito sistema di valori al cui centro figura appunto quell’indefinito “dover essere sempre contro” che in effetti, trattandosi di un’ingiunzione incompatibile sia con la libertà che con la logica, coincide, paradossalmente, con l’obbligo di conformarsi ogni volta all’ordine del giorno o del momento. E proprio questo è l’imperativo (perfettamente autocontraddittorio come il noto paradosso del “cretese mentitore”) che oggi pungola incessantemente l’intellettuale gauchiste istigandolo al continuo riutilizzo di tutti i possibili avanzi del suo immaginario di lottatore perpetuo. Brandelli dai quali ottiene ogni volta patchwork di valori e di obiettivi (di lotta e di governo) sempre più deprimente, ributtante e comico. Deprimente, perché ognuno di quegli sbrendoli proviene dalle macerie prodotte dal crollo di una colossale e devastante illusione. Ributtante, perché al centro di quell’accozzaglia di rimanenze, accanto all’ingiunzione che impone di esser sempre “contro” tutto, figura quella perfettamente complementare, che ordina di non fare mai niente. E infine comico perché tale è appunto la vanagloria di chi, nonostante quella recente catastrofe, non manca mai di dichiararsi ancora sempre e soltanto “contro”; e ciò in un’epoca in cui si è capito da un pezzo che questa idolatria dell’esser “contro” non può che fomentare un dover essere sempre e soltanto “contro” qualsiasi cosa lo spirito di tempi, vale a dire la nota del momento, imponga appunto di esser “contro”; e comunque sempre e in primo luogo (giacché questo pallino per l’autentico “uomo contro” non passa mai di moda) contro “questo mondo schifo”. Che oggi ovviamente fa ancora più schifo di ieri. Com’è dimostrato innanzitutto dal fatto che quel vecchio farabutto, coi piagnistei e le rabbie di quegli esseri votati eternamente alla lagna e al ringhio che sono appunto gli “intellettuali contro”, nonché coi loro sublimi miraggi di salvazione totale e redenzione globale dopo essercisi per secoli e millenni soffiato ogni tanto il naso, si è finalmente deciso, proprio negli ultimi anni, scandalizzando in tale modo tutte le belle animelle “contro” del globo, a nettarcisi in pubblico, in cima a un montarozzo di rovine puzzolenti, anche il sedere.

Ma lasciamo perdere quelle rovine e occupiamoci dei fiorellini che ci sono spuntati sopra. Il più olezzante dei quali è la duplice ingiunzione che, come si è visto, mentre da un lato impone di essere sempre “contro”, dall’altro intima di non fare mai niente. Bene: quanto diffusa è oggi tra i nostri intellettuali, questa nobile Weltanschauung? Per quel che concerne questo aspetto del problema conosciamo una famiglia che è uno specchio fedele del paese. E’ una famiglia composta di un padre e una madre ormai vecchi, due figli maschi vicini ai quaranta e una ragazza sulla trentina. Tranne il padre, che lavora ancora come una bestia dalla mattina alla sera, nessuno in questa famiglia fa praticamente niente. Il primo dei due figli maschi sta ancora cercando di laurearsi in qualcosa ma in compenso, sentendosi attratto sia dai rapporti omoerotici che da quelli eteroerotici, non cessa di interrogarsi ogni giorno sulla sua vera identità sessuale. L’altro ha smesso da un pezzo di studiare, ascolta dalla mattina alla sera i suoi vecchi dischi di Bob Dylan e ogni tanto riprende in mano, per migliorarlo e arricchirlo, un suo vecchio poemetto su Che. La ragazza, dopo aver trascorso per anni gran parte del proprio tempo sui lettini di una mezza dozzina di strizzacervelli, ha improvvisamente scoperto il fascino del sufismo e del violoncello. E la loro vispa genitrice, a settant’anni suonati, si è appena votata di botto allo studio simultaneo della teosofia e della teoria del movimento operaio. Della stessa famiglia si preparano inoltre a far parte: l’ultimo fidanzato della ragazza, (un simpatico sociologo che ha appena deciso di mollare il suo incarico universitario per potersi dedicare a tempo pieno, a spese della sua futura sposina, ossia in pratica del vecchio suocero, alla scrittura di un saggio fondamentale sulle radici spirituali del movimento no global); una simpatica zia (una celebre poetessa lesbica e morfinomane che avendo sperperato il proprio patrimonio per pagarsi le droghe e le ragazze di cui ha bisogno per farsi venire l’ispirazione dovrà adesso rassegnarsi a farsi mantenere dal fratello); infine un giovane esperto del ramo “psiche & società” (che con la sua dottrina ha affascinato un po’ tutti i membri della famiglia, ma del quale si è invaghito soprattutto il figliolo primogenito, che nelle sue parole non cessa di scoprire sempre nuovi motivi di edificazione e conforto, e che in questa sua infatuazione spera altresì di poter finalmente trovare la soluzione definitiva di tutti i suoi problemi esistenziali).

Insomma in questa famiglia sono tutti intellettuali del tipo più soave e delicato ma non per questo ignari di essere “contro”. Tutti fuorché, quel disgraziato del padre, che con la sua rozza mania di lavorare tutto il santo giorno permette alla moglie, ai figli e a tutti gli altri inquilini del suo pittoresco carrozzone non soltanto di continuare a campare allegramente senza fare alcunché di volgarmente utile e di stupidamente produttivo, ma di condurre altresì un’esistenza perfettamente conforme alle loro finissime esigenze culturali. Cosa che ovviamente comporta la necessità di frequentare sciami di intellettuali della loro medesima stoffa, che è poi quella di cui sono fatti i sogni e i bisogni di tutti gli egoisti, i neghittosi, i vanesi, i velleitari, i rompiscatole, i parassiti di questo mondo. Ma questo è ciò che in fondo accade oggi un po’ in tutto il paese. Che per quel che concerne la sua attuale composizione sociale sembra ormai, per molti aspetti, diviso in due sole grandi classi. Ma la linea divisoria non passa più, come opinava Marx, fra la borghesia capitalistica, detentrice dei mezzi di produzione, e il proletariato sfruttato, padrone soltanto della sua forza lavoro, bensì appunto fra coloro che lavorano per mandare avanti il paese e la massa ormai sterminata, e squisitamente parassitaria, degli ineffabili “intellettuali contro”. Quanto estesa è oggi questa massa?

Ne fanno parte, ormai, tutti insieme appassionatamente affratellati dalla coscienza di appartenere a un unico grande “popolo contro”, sciami di guru universitari, plotoni di magistrati decisi a estirpare la corruzione dal mondo, caterve di giornalisti omelisti spesso per giunta imbucati in giornali fuori mercato e perciò stipendiati coi contributi statali, torme di teletribuni con la smania del predicozzo, battaglioni di pagliacci videologici, ronde di letterati di regime, mandrie di mantenuti del cinema e del teatro assistiti, mazzi di simil-artisti foraggiati dalle istituzioni, turbe di cantautori e rocchettari col pallino del messaggio, armate di funzionari e di guitti di ogni ramo dell’industria dell’entertainment, nugoli di stilisti e di top model con l’uzzolo dell’impegno, falangi di preti e di frati d’assalto in guerra col capitalismo, stormi di suore che credono nella piazza, pellegrini del turismo antiglobale, frotte di criminalucci col cruccio delle colpe della società e della famiglia - giù giù fino alle truppe acquartierate nei centri sociali, che sono poi le avanguardie di un vasto sottoproletariato intellettuale impegnato a tempo pieno - fra canne, sniffate, buchi e magari un mix di spaccio e scippo - in una ricchissima gamma di attività culturali tutte più o meno centrate intorno allo studio di questioncelle locali come il destino dell’universo e l’organizzazione di guerricciole urbane a base di teste spaccate, vetrine infrante, vetture incendiate, città devastate e scatole altrui fracassate. Lo spessore intellettuale e morale di questi angioletti “contro” non deve essere comunque sottovalutato. Essi infatti sono in fondo gli ultimi e più coerenti fautori del nobile miraggio originario dell’intellettuale di sinistra: non saper niente e impicciarsi di tutto, non saper fare niente e voler cambiare tutto, non amare niente e anelare a distruggere tutto. E questo è forse il motivo profondo per cui la sinistra neo e post comunista non potrà rinunciare a intrattenere un legame più o meno organico con queste nuovissime turbe dei nullafacenti spaccatutto.

26 ottobre 2001

(da Ideazione 5-2001 settembre-ottobre)

 


 

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