Cucina. Pane, amore e fantasia
di Maria Luisa Gualtieri
Questa settimana ci piace ancora parlare del pane per svariati
motivi; perché il pane è un elemento essenziale per la
sopravvivenza, cibo perciò da amare e rispettare. Tanto essenziale
alla vita, il pane, che i governanti cercarono sempre di
provvedere che non mancasse al popolo per evitare disordini e
ribellioni. Gli imperatori romani elargirono “panem et circenses”;
i geniali borboni di Napoli inventarono la politica delle “tre
effe” ossia: forca, festa e farina. Mussolini definì il pane
“sudor della fronte” e l’ultima guerra coloniale italiana, quella
d’Abissinia del 1936, fu combattuta sotto gli slogan di “un posto
al sole” ma anche “pane per tutti”. “Pane e lavoro” è stato lo
slogan di tutte le lotte sindacali del secondo dopoguerra;
“Caro-pane” fu chiamata l’indennità sulla paga dei lavoratori poi
divenuta “caro-vita” e oggi “contingenza”. Pane quindi come
sinonimo di vita, sostentamento, lavoro e guadagno.
Parola universale nel linguaggio dell’uomo. Il pane è entrato nel
linguaggio quotidiano, attraverso modi di dire ed espressioni
proverbiali: “mangia pane a tradimento” si dice di un vagabondo
impenitente; rende “pan per focaccia” il vendicatore di un torto;
mentre trova “pane per i suoi denti” un velleitario Don Chichotte.
Pane anche però come patrimonio dell’umanità nel senso di
alimentazione e sentimento. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”
recita la preghiera cristiana.
Il pane è salute ma anche valore universale da salvaguardare nella
sua qualità, in grado di nutrire, emozionare e diversificare le
varie epoche storiche. E siccome oggi a dire “buono come il pane”
si rischia di non fare più un gran complimento in un prossimo
articolo chiariremo le questioni più dibattute in fatto di qualità
e quantità del pane, alla ricerca di quello più genuino.
26 ottobre 2001
mlgualtieri@hotmail.com
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