L’ubiquità connaturale alle teste
pensanti
di Alessandro Campi
Nel suo recente libro Pierluigi Battista ha descritto bene i due
mali storici degli intellettuali italiani (soprattutto
novecenteschi): da un lato lo “spirito di gruppo” e la vocazione
gregaria, dall’altro la loro pretesa di rappresentare il sale
della terra e di incarnare lo spirito del tempo. Ciò ha prodotto
due conseguenze assai negative: il conformismo intollerante nei
confronti di qualunque eterodossia; e un rapporto perverso con la
politica e con il potere, nel senso che la cultura è stata spesso,
in Italia, una modalità della lotta politica, condotta dagli
intellettuali con spirito di crociata, avendo come obiettivo non
la libertà di ricerca scientifica e di espressione artistica, ma
la realizzazione di un fine storico-politico generale: la Pace, la
Giustizia sociale, il Bene dell’Umanità. Ai giorni nostri, tutto
ciò sembra essere venuto meno, anche se superare completamente
forme mentali e costumi consolidati richiede molto tempo. Ancora
oggi - pur fattosi flebile il riferimento all’ideologia o al
partito - la gran parte degli intellettuali opera all’interno di
cordate e di gruppi chiusi, in contrapposizione l’uno con l’altro.
Vecchi comunisti si sono nel frattempo convertiti al liberalismo,
ma hanno mantenuto la loro postura intransigente e settaria:
semplicemente sono diventati partigiani di una diversa causa, da
difendere a spada tratta e a priori. Il problema è che mettersi in
discussione - continuamente, come dovrebbe essere tipico
dell’abito mentale di chi lavora con le idee e con i libri - non è
per niente facile. E’ più facile che prevalga lo spirito di
appartenenza, la voglia di sentirsi parte integrante di un gruppo
ben identificabile, con il quale condividere vocazione e progetto.
Tra gli intellettuali di destra - si dice di solito - prevale uno
spirito più anarchico ed individualista, prevale un rapporto meno
organico con la politica. Ma qualcosa, evidentemente, deve essere
successo anche da quelle parti, se è vero che nel corso della
recente campagna elettorale, accanto a quello di Bobbio e
compagnia (Galante Garrone, Vattimo, Sylos Labini eccetera), ha
fatto la sua bella comparsa anche un contro-manifesto firmato da
alcuni intellettuali cosiddetti di destra (a partire da Franco
Cardini). Evidentemente, la voglia di apporre la propria firma
sotto un proclama, di chiamare a raccolta le intelligenze in vista
di una causa “santa e giusta”, di volersi contrapporre “noi contro
loro”, non è più, come si credeva, una prerogativa esclusiva degli
intellettuali di sinistra. Anche i disorganici di un tempo
ambiscono, oggi, ad un ruolo più organico. Il che, francamente,
non sembra un bel segnale, considerato che le vere sfide
culturali, le proposte intellettualmente innovative sono sempre
state il frutto della capacità di elaborazione di singole
individualità, di personalità capaci, se necessario, di porsi di
traverso rispetto alle mode intellettuali dominanti, di assumere
atteggiamenti eccentrici e controcorrente, di camminare insomma
con le proprie gambe e senza il conforto dei “compagni di strada”.
Da questo punto di vista, cosa offre il panorama culturale
italiano degli ultimi anni? Esistono figure che possano dirsi
originali e culturalmente stimolanti, capaci cioè di muoversi
autonomamente ed in contro-tendenza rispetto ad un dibattito
intellettualmente asfittico e ripetitivo? Per limitarsi all’area
del pensiero politico-sociale (quella più vicina ai miei
interessi), qualche nome merita di essere segnalato: il da poco
scomparso Gianfranco Miglio, grande realista politico, degno erede
di Mosca e Pareto, la cui lezione come teorico della politica
apparirà chiara fra qualche anno; Geminello Alvi, che persegue con
grande tenacia il suo disegno gnostico-comunitarista, la sua
visione modernamente anti-moderna e la sua critica
all’economicismo; Sebastiano Maffettone, che ha il merito, insieme
a Salvatore Veca, di aver importato in Italia il meglio della
filosofia politica di indirizzo analitico, sviluppando al tempo
stesso un originale orizzonte teorico all’insegna di un coerente
individualismo dei diritti; Ernesto Galli della Loggia, uno dei
pochi intellettuali che scrive sempre ciò che pensa, un liberale
critico, esistenzialmente molto coinvolto nei problemi che agita
come opinionista (su tutti, quello dell’identità nazionale); Carlo
Galli, coltissimo, profondo conoscitore del pensiero politico
europeo moderno e contemporaneo, che ha già creato una scuola di
ricercatori e studiosi; Alfredo Salsano, un infaticabile operatore
culturale, che ha aperto in Italia il ricco filone del pensiero
anti-utilitario; Massimo Cacciari, sempre stimolante nelle sue
analisi politico-filosofiche, onnivoro, uno davvero convinto che
le idee, se buone, non abbiano confini e colore; infine Marco
Tarchi, che fuori dai recinti della destra e della sinistra
conduce da anni una stimolante battaglia contro il “pensiero
unico” e l’omogeneizzazione politico-culturale del mondo, a favore
di un modello sociale neo-comunitarista e post-liberale.
Il pensiero originale è dunque sempre singolo e solitario. Ma si
può talvolta avere la fortuna di condividere con altri passioni ed
interessi, stimoli intellettuali e scoperte, senza per questo
volere creare cordate, circoli chiusi o, per dirla con Battista,
un ennesimo “partito di intellettuali”. Mi è già accaduto ai tempi
della “nuova destra” animata da Tarchi. Sta accadendo oggi con il
gruppo di Ideazione, originalmente impegnatosi nella definizione
di un diverso rapporto tra cultura e politica: non la cultura come
prosecuzione della lotta politica, ma la cultura, la ricerca, la
riflessione sui grandi temi che agitano la società contemporanea,
come propedeutici per un agire politico serio e responsabile. Gli
intellettuali non debbono legittimare a posteriori l’azione
politica, non debbono costruire armi da utilizzare contro i propri
nemici politici; se responsabili, da un lato debbono accontentarsi
di mettere a disposizione ciò che essi possiedono in termini di
conoscenze, lasciando poi che siano i politici ad assumersi la
responsabilità delle loro scelte; dall’altro, debbono sempre avere
l’occhio vigile e pronto, denunciando ciò che ad essi appare
sbagliato, iniquo ed ingiusto senza fare sconti, senza lasciarsi
prendere dallo spirito di parte.
Come tema privilegiato, nel lavoro della rivista e della casa
editrice, c’è quello della politica: da riabilitare e da porre
nuovamente al centro della riflessione sul destino degli uomini e
della società. Veniamo da anni di orgia anti-politica. Riteniamo
invece - contro i fautori appunto dell’anti-politica, contro i
sostenitori della “fine della politica”, contro chi pensa che la
politica sia stata ormai epocalmente surrogata dalla Tecnica e/o
dall’Economia - che la politica sia una dimensione non eludibile e
non superabile della vita collettiva, che occorre perciò
(ri)pensare nei suoi tratti costitutivi, nelle sue dinamiche,
nelle sue finalità. Anti-politico per eccellenza, con la sua
commistione di pragmatismo anti-ideologico e di efficientismo
manageriale, è stato in questi anni il centrodestra italiano. Si
comprende dunque facilmente quanto sia importante lo sforzo di
elaborazione e di proposta culturale operato da Ideazione, che
proprio a quell’area politica, peraltro oggi assurta al governo
della nazione, si rivolge preferenzialmente (ma non
esclusivamente, se è vero che le idee, allorché immesse nel
circuito, sono a disposizione di chiunque voglia farle proprie).
Più in generale, si è cercato, una volta che si è scelto di
lasciarsi alle spalle una certa intransigenza liberal-liberista,
peraltro poco efficace e poco spendibile sul piano dell’odierna
cultura politica, di mettere a confronto tradizioni
politico-culturali diverse (ad esempio il liberalismo ed il
comunitarismo) o di aprirsi a filoni culturali trascurati (è il
caso di quello realista). Si è cercato anche di non dare per
scontato nulla rispetto alle posizioni culturali dominanti:
abbiamo tessuto un elogio del Novecento, in polemica con l’attuale
tendenza ad interpretarlo come un “secolo criminale”; ci siamo
spinti oltre le solite diatribe sulle riforme istituzionali e
sulla revisione della legge elettorale interrogandoci, in forma
provocatoria, sulle nuove forme istituzionali che la politica
potrà assumere nel futuro, tra dieci come tra cento anni; abbiamo
offerto una lettura provocatoriamente positiva del populismo
politico; abbiamo evidenziato (fatto apparentemente strano per un
rivista considerata di centrodestra) i limiti del revisionismo
storico, sostenendo la necessità di non fare di De Felice una
sorta di santino intellettuale; abbiamo abbordato di petto il
tema, anch’esso alla moda, della “libertà”, con l’idea di
sostenerne una lettura in chiave politico-esistenziale e non
banalmente economicista; abbiamo sostenuto, in materia di
immigrazione, una linea originalmente pragmatica, che niente
concede alle fobie sulla sicurezza pubblica; abbiamo cercato di
differenziare la globalizzazione (che rappresenta una realtà
tecnico-economica per molti versi ineluttabile) dal globalismo
(che costituisce invece una filosofia politica e della storia, ai
nostri occhi altamente criticabile); abbiamo infine scelto, nei
numeri sinora usciti ed in quelli futuri, di rivalutare figure di
intellettuali e studiosi che escono dal solito pantheon ideale di
una certa destra italiana (liberale o conservatrice che sia):
Allan Bloom, Adriano Olivetti, Bertrand de Jouvenel, Hannah
Arendt, Dolf Sternberger, René Girard, Raymond Aron, Hans
Morgenthau, Christopher Lash…
Ideazione (la rivista, la casa editrice, la fondazione) è - come
si legge sempre più spesso sulla stampa italiana - il pensatoio
del centrodestra italiano, probabilmente il più autorevole. La sua
(auto)collocazione sembrerebbe non lasciare molti margini di
manovra a chi, come me, avendo sempre creduto poco all’utilità
della distinzione destra/sinistra, si trova ora a condividere un
progetto culturale e metapolitico sin troppo manifestamente
schierato. Per quanto mi riguarda, più che nelle etichette, credo
- per dirla con le belle parole con cui Marina Valensise ha
riassunto l’avventura intellettuale di François Furet - nella
“ubiquità connaturale alle menti pensanti, che stanno sempre a
sinistra della destra e alla destra della sinistra, senza poter
mai essere adottate da una parte o dall’altra”. Nessuna paura
dunque di restare ingabbiato entro confini rigidi. Non è il
contenitore a dare sostanza e colore alle idee; sono queste
ultime, purché originali ed innovative, ad innervare, in virtù
della loro forza intrinseca, la mente degli uomini, dunque la
società e la politica.
26 ottobre 2001
(da Ideazione 5-2001 settembre-ottobre)
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