Nick Hornby, dal "cult" alla sociologia
di Vittorio Macioce


Nick Hornby è uno scrittore "cult". Anche se lui fa finta di non saperlo. Continua a vivere come un quarantenne (44 anni se proprio si vuole essere precisi. È del 1957) della middle class londinese. Tifa ancora Arsenal che è un po' come tifare Inter qui in Italia: illusioni estive, delusioni invernali, lunghi periodi di magra, di tanto in tanto uno scudetto. E lo fa con un certo disincanto e una buona dose di ironia. Uno che non dimenticherà mai la vittoria in Premier League della sua squadra. E se gli si chiede un giocatore italiano, di qualsiasi epoca, a cui si sente vicino, risponde: Franco Baresi. È facile capire perché, operaio di classe nel tackle, carismatico, cattivo e umano. Hornby è uno che continua a bere birra, a non amare i Beatles, forse si diverte ancora a stilare classifiche su tutto (i migliori cinque Lp degli anni '70, le cinque migliori musiche da discoteca e così via), per poi scappare al lavoro, magari con Emma Thompson, con cui sta scrivendo una sceneggiatura. 

Poi, a volte, si rende anche conto di essere un po' malato di nostalgia, esistenziale. Si avverte quando parla di sè, della sua infanzia nella periferia londinese, vicino all'aeroporto di Heatrow. "Vivevo con mia madre e mia sorella - dice - E a quel punto mi sono ritrovato a vivere due vite, perché mio padre dopo il divorzio ha fatto fortuna. E così io la maggior parte del tempo ero povero, o quasi. Il sabato e la domenica diventavo ricco". Ricorda come ha scelto l'Arsenal: "Sempre colpa di mio padre. Non sapeva cosa fare con me e così prende due biglietti e mi porta allo stadio. C'era l'Arsenal e visto vivevo e vivo a Londra mi sono ritrovato a tifare per una squadra londinese. A quel tempo i bianco-rossi non erano un granchè. Infatti mio padre non era contento". 

Tutto questo è in linea con il personaggio Nick Hornby, l'autore di Febbre a 90° e Alta fedeltà. Uno che ha narrato lo spirito di questo tempo. Ha tradotto in letteratura le passioni delle masse. Ha raccontato, in fondo, l'epopea quotidiana della middle class, fotografandola con leggerezza poetica. Insomma, il motivo superficiale e immediato del suo successo è che nei suoi romanzi ci si può specchiare. Leggi Hornby e dici: questo sono io (soprattutto se hai 30 o 40 anni). È per questo che Hornby è uno scrittore "cult". È per questo che, quando il suo ultimo libro How to be good (Come diventare buoni, Guanda, pagg. 292, lire 28.000, trad. Stefano Viviani) è uscito in estate a Londra, davanti alla libreria di Piccadilly si è formato un piccolo bivacco. E ieri sera a Milano si è ritrovato ospite d'onore allo "Spazio Krizia", con Daria Bignardi che presentava, quasi a sottolineare il suo status di fenomeno di massa. Sarà così anche oggi a Mantova, al festival della letteratura, questa volta con Michele Serra. Il risultato è che questo simpatico personaggio londinese, con quella faccia che sta a metà tra Liam Brady (uno dei suoi calciatori preferiti nella storia dell'Arsenal) ed Andy Capp (il fumetto che rappresenta la sintesi della middle class) diventa protagonista dei salotti letterari e mediatici italiani.

A questo punto ci si chiede come strappare Hornby a questo destino, perché lo scrittore è superiore al suo personaggio pubblico. E lo è anche quando non dà il meglio di sé e perde in freschezza. Diciamolo: Come diventare buoni non convince del tutto. L'idea di smascherare l'ipocrisia della buona società laburista può anche attirare l'attenzione dei lettori, ma è meno originale rispetto ai primi romanzi. E in fondo serve a dire che il "buonismo" ha fatto il suo tempo anche a Londra. L'intreccio è meno spontaneo, più costruito, c'è troppa voglia di dire troppo. Qualche personaggio è privo di spessore e il protagonista maschile alla fine sembra un Barney pentito. Eppure il romanzo scorre, si legge senza noia o interruzioni, riesce comunque a coinvolgere. E ha un merito: fa capire come i laburisti vivono l'era Blair. "La vittoria nel 1997 aveva creato molte aspettative - spiega - Soprattutto dopo i 18 anni di governo conservatore. Anni in cui io ho sempre votato per gli sconfitti. C'era la speranza di un rinnovamento. Quell'energia, però, si è esaurita in fretta. La sinistra liberale si è mostrata poco realista. E non ha capito ciò che il governo può fare, cioè zero. In Come diventare buoni ho cercato di rappresentare questa situazione. E la soluzione trovata da David, il cinico opinionista nemico di tutto ciò che sa di solidarietà e buoni sentimenti, è che la "bontà" non può essere costruita dall'alto, ma dall'impegno e dalle scelte individuali. Insomma, i laburisti si aspettano che sia Blair a risolvere i problemi degli homeless, mentre loro continuano a vivere la propria vita agiata, in quartieri costruiti appositamente per loro, dove si frequentano solo fra loro, senza guardare mai cosa c'è al di là del quartiere. Il barbone è buono solo quando sta ben lontano dall'uscio di casa. E questa è un po' la visione di Kate, voce narrante del romanzo". Strana la figura di "Buone Nuove", un mistico orientale di periferia, un po' macchiettistico. "Viviamo in un epoca post-religiosa - dice - il mio mistico rappresenta una risposta, l'incarnazione di una guida di cui si sente la mancanza. Serve qualcuno che ti dica cosa fare, uno qualsiasi, anche un idiota, come Buone Nuove". 

La vocazione "sociologica" di Hornby è uno dei punti di forza del suo personaggio. Il rischio è che qualche volta prenda il sopravvento. Se ciò non accade si materializzano piccoli gioielli come il racconto Gesù dai capezzoli inserito nella raccolta, curata dallo stesso scrittore londinese, Le parole per dirlo (Guanda). Anche qui c'è la volontà di smascherare l'ipocrisia, quella dell'avanguardia artistica. Ma il tratto è più sottile, sotterraneo, con forti contaminazioni "avant pop". L'antologia mette insieme alcuni tra i più interessanti narratori anglosassoni: Dave Eggers, Zadie Smith, Irvine Welsh, Helen Fielding, Roddy Doyle, Melissa Bank e altri. E nasce - guarda caso - a scopo di solidarietà, finanziare le strutture per i bambini autistici. Uno di questi è il figlio di Nick Hornby. "Ho messo insieme gli scrittori che amo di più", dice. È interessante la collaborazione con Dave Eggers, trentenne americano autore di L'opera struggente di un formidabile genio. "È un tambureggiante produttore di idee - commenta - La sua rivista McSweeney's rappresenta una rottura storica nel modo di fare cultura. Spesso rispetto a lui mi sento un vecchio processore Intel 8086 sfibrato dalla velocità di un Pentium 4". Non è vero. E Hornby finge, anche questa volta, di non saperlo. La verità è che tra Londra e New York, o dovunque sia in questo momento Eggers, viaggia una fetta, forse la più interessante, della nuova letteratura.

7 settembre 2001

(dal Giornale del 6 settembre 2001)

 

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