"Come diventare buoni", un esperimento riuscito a metà
di Barbara Mennitti


Affezionati lettori di Nick Hornby, in guardia: state per essere scioccati. L'ultima fatica del vostro autore preferito, arrivata in libreria il 31 agosto e preceduta da un discreto battage pubblicitario, inizia così: "Mi trovo in un parcheggio a Leeds quando dico a mio marito che non voglio più stare con lui." Proprio così, Nick Hornby, scrittore amato soprattutto (ma non solo) dai giovani uomini fra i trenta e i quarant'anni che nei suoi romanzi hanno ritrovato le loro passioni sfrenate (come quella per l'Arsenal, tema conduttore di "Febbre a 90"), i loro percorsi di crescita e i loro difficili rapporti con l'altro sesso, ha scelto come io narrante (e quindi come punto di vista) una donna. Non sappiamo a cosa sia dovuta questa scelta. A Hornby è stato spesso rimproverato di concentrarsi unicamente sul lato maschile dell'universo, tanto che egli stesso ha recentemente dichiarato in un'intervista: "Il difetto di "Febbre a 90" e "Alta fedeltà" è che le donne non sono personaggi completi. L'intero processo di scrivere libri e leggere le lettere delle donne che ne parlavano mi hanno fatto completamente rivedere la cosa. Ora ho deciso che la storia uomini/donne è una falsa pista".

Non vogliamo insinuare che Hornby sia rimasto vittima del politically correct, ma una cosa è certa: questa folgorazione non ha sortito risultati felici. Perché il personaggio Katie Carr, quarantenne dottoressa generica assolutamente convinta della sua bontà, è il primo e principale problema di questo romanzo. Katie non ha spessore, non è vera, ripete in maniera irritante e ossessiva gli stessi concetti ("Non sono una persona cattiva. Sono un medico."), semplicemente non è una donna, ma è un uomo che si sforza di pensare da donna e, per quanto lodevole possa essere per altri aspetti il tentativo, a volte (per esempio quando la protagonista dice senza alcun intento spiritoso:"Non voglio più che David sia David") ci si ritrova in un'atmosfera alla "Cara ti amo" di Elio e le storie tese. La storia, in breve, è questa: Katie conduce un matrimonio al vetriolo con David, aspirante romanziere che scrive sul giornale locale firmandosi "L'uomo più arrabbiato di Holloway" e sparando a zero sugli anziani che quando salgono in autobus non hanno già pronti i soldi per il biglietto e altre disgrazie sociali di questa entità. La vita dei due si svolge fra maltrattamenti verbali quotidiani e Katie ha anche una storia extraconiugale, finché David non si imbatte in un carismatico guaritore dal suggestivo nome D. J. BuoneNuove. e la sua vita compie una spettacolare inversione ad u. David diventa buono e comprensivo, dona il denaro della moglie ai mendicanti e i giocattoli dei figli ai bambini poveri e con il suo nuovo mentore (che nel frattempo si è trasferito a casa Carr) si dedica anima e corpo in una serie di utopistiche e ingenue iniziative per rendere il mondo migliore.

Tutto si conclude con un grandioso scoppio d'ira di Katie ("Non ho più energia per fallire!"), con il riconoscimento che non si può sempre essere buoni e aiutare tutti e che già governare la vita propria e occuparsi dei propri familiari è un compito sufficientemente difficile. Sicuramente questo romanzo getta luce sulla crisi del buonismo laburista che ha imperato nell'Inghilterra di Tony Bair. E' però una consolazione troppo magra per un romanzo che risulta non riuscito e, aihmé, anche un po' noioso dalla prima all'ultima pagina. 

7 settembre 2001

bamennitti@hotmail.com

Nick Hornby, Come diventare buoni, Guanda, Parma 2001, 292 pagine, 28.000 lire


 

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