I vini del Franco Bevitore. Nostalgia dei Barbera doc
di Franco Ziliani


Come sono lontani i tempi in cui, nelle canzoni ad esempio, si parlava di Barbera per alludere ad un vino molto popolare e senza troppe pretese, con il quale "passare la sera" scolandolo, "nei trani a gogò"! Trascorsa una quindicina d'anni dal suo momento più oscuro, quando proprio dei "Barbera" d'infima qualità, venduti a prezzi improbabili, furono protagonisti nello scandalo del metanolo, oggi questo vitigno, simbolo della viticoltura piemontese, diffuso per circa 5000 ettari nella denominazione Barbera d'Asti e per 2500 nella Doc Barbera del Monferrato, è entrato prepotentemente, dopo un lungo e faticoso percorso e un radicale processo di cambiamento, nel novero dei vini blasonati. I vini di cui si parla e si scrive, che suscitano confronti e discussioni, meccanismi di emulazione e di competizione tra i produttori, perché un certo consumatore evoluto italiano ed estero ha dimostrato di apprezzarli e di scoprirli e perché il mercato sembra finalmente premiare, con prezzi che sino ad una dozzina d'anni fa sarebbero apparsi legati al mondo dell'utopia, i produttori che dimostrano di prendere sul serio questa varietà.

Sospinto da una stampa sempre più favorevole, dal giudizio benedicente di talune guide, che nelle loro ultime due edizioni non hanno mancato di attribuire il massimo riconoscimento a diversi Barbera d'Asti e d'Alba '97 e '98 tipologia superiore, ed infine al valore universalmente riconosciuto delle ultime vendemmie, dal 1997 al 1999 e al 2000, che un po' tutti si sono affrettati a definire ideali, in Piemonte, per la maturazione di questa cultivar, ho accolto con grandissimo favore la possibilità offertami, insieme a un'altra trentina di colleghi italiani e stranieri, di poter assaggiare in degustazione comparativa i frutti delle annate 1998 e 1999. Ho così partecipato al Barbera meeting 2001, una tre giorni di assaggi effettuati ad Asti per l'organizzazione del Consorzio Tutela Vini d'Asti. Condizioni di lavoro ideali, con due momenti di degustazione al giorno, a 40 vini di media a sessione, una partecipazione massiccia e convinta soprattutto da parte dei produttori della Doc Barbera d'Asti, tale da consentire di ottenere un quadro generale il più fedele possibile della produzione della denominazione Asti e una buona definizione per le denominazioni Alba e Monferrato. Eppure, il bilancio che si ricava da tre giorni di assaggi, e di scambi d'opinioni tra colleghi di sensibilità e culture enologiche diverse è tutt'altro che soddisfacente, e non certo per colpa degli organizzatori.

Se i vini dell'annata 1998 hanno dimostrato, tutto sommato, un buon livello complessivo ed un certo equilibrio, in tutte e tre le denominazioni, con una leggera prevalenza nei Barbera d'Alba in termini di maggiore complessità, ricchezza d'espressione, struttura e quel carattere terroso che è non solo tipico, bensì congenito nei migliori Barbera, l'esame dei vini dell'annata 1999, Asti in particolare, e persino dei vini della tipologia superiore, si è rivelato come una delle esperienze più difficili, faticose e frustranti della nostra esperienza di degustatore da diversi anni a questa parte. Un vastissimo numero di produttori difatti, forse soggiogati e travolti dalla palese volontà d'ottenere non dei semplici, affidabili, riconoscibili Barbera Doc fedele espressione del vitigno e del terroir d'origine, bensì dei "Super Piedmont Barbera" stile Super Tuscan, in grado di ripetere il cliché dei Barbera super stellati premiati dalle guide, hanno deciso che la piacevolezza, la pulizia, l'equilibrio e l'armonia tra le parti, quella nervosa sapidità che invoglia a compiere quel gesto semplice chiamato bere, rappresentassero dei banali optional di cui non tenere in alcun modo conto. Scorrendo le nostre note di degustazione, soprattutto relative agli Asti ed in seconda battuta ai Monferrato e agli Alba 99, troviamo una lunghissima sequenza di appunti relativi a seri problemi di pulizia nei vini, a problemi di rifermentazione, ad eccessi di note di tostatura a naso, a note di verdure cotte ben poco gradevoli, a puzzette intollerabili. Al gusto, poi, le cose peggioravano ulteriormente, e la ricerca esasperata di una grande concentrazione, le super estrazioni, la volontà di ottenere pienezza, potenza e struttura si traducevano inevitabilmente in vini pungenti, con tendenza a finire asciutti e secchi, con tannini duri da legno e non da frutto, vini spesso dal finale aromatico, astringente, oppure, nel "migliore" dei casi, marmellatosi ad eccesso, evoluti, spenti, cotti e sovramaturi, con un frutto dolciastro, ben raramente carnoso e consistente, equilibrato da quel pizzico di acidità che dà freschezza e costituisce un carattere distintivo, naturale, ineliminabile, di ogni Barbera degno di questo nome. Molto rari, purtroppo, e pertanto doppiamente meritori, i casi, rassicuranti, consolanti e testimonianza di una fedeltà al vitigno e alla sua identità storica, i casi di vini caratterizzati da un naso floreale fragrante pulito di bella consistenza e terrosità, con note di viola distinte, incisivi, minerali, ricchi di nerbo, freschi e godibili anche quando la struttura e la materia fruttata erano importanti.

Di fronte ad una tale predominanza di vini del genere, si finiva inevitabilmente con il chiederci perplessi per quale strano mercato e quale indefinibile consumatore fossero pensati e destinati, a quale malinteso concetto di grandezza, importanza fossero ispirati prodotti tanto deludenti e privi di una solida identità, che sebbene espressi da un'annata definita grande e provenienti dalle zone classiche d'elezione del Barbera astigiano, località a sicura, storica vocazione come Agliano Terme, Nizza Monferrato, San Marzano Oliveto, Vinchio, Moncalvo, Costigliole d'Asti, San Martino Alfieri, finivano con il deludere clamorosamente le aspettative. E' sicuramente legittima, comprensibile, retta da motivazioni commerciali e di marketing, la volontà di molti produttori di "sprovincializzare " e de-piemontesizzare, se ciò fosse possibile, logico e auspicabile, la Barbera. Di renderla un vino più appetibile e più in linea con gli orientamenti del mercato internazionale. Se l'antico "problema" di un'acidità eccessiva tipica dei Barbera old style si trasforma però in una congenita carenza di acidità e di freschezza, se a furia di voler diventare imponenti, muscolosi e importanti i Barbera finiscono con il perdere piacevolezza e bevibilità, se l'eccesso di legno nuovo, se l'onnipresenza di tostature pesanti e volgari prevale sul carattere varietale e floreale dei vini, non si deve concludere che questa strategia, pericolosissima, deve essere urgentemente ridiscussa ? E che a furia di voler diventare moderni, di voler parlare il linguaggio internazionale del vino, di farsi accettare anche da chi è chi ha formato il proprio palato sui Cabernet e sui Merlot, i Barbera Asti, Alba e Monferrato rischiano di diventare "varietal wines" come altri, di smarrire il loro appeal e, paradossalmente, di perdere il loro inconfondibile accento piemontese che li rende, nelle loro migliori espressioni, unici ed inimitabili ? Al mondo produttivo piemontese, che sulla Barbera non può che continuare a puntare, una seria, meditata risposta.

6 luglio 2001

bubwine@hotmail.com


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