Saggistica. Mussolini e l'identità italiana
di Roberto Chiarini

Non aspettatevi da questo agile Mussolini, di sole 200 pagine, uscito per i tipi del Mulino e firmato da Alessandro Campi l'ennesimo medaglione biografico del duce. Coerente con lo spirito della collana ("L'identità italiana"), l'opera riconsidera la figura del capo del fascismo non per quel ch'egli ha fatto per l'Italia (pardon, dell'Italia) ma per quello ch'egli è stato per gli italiani. Protagonista non è "Lui", siamo noi. Del resto, per chi vuole riflettere - e magari ridefinire - l'identità degli italiani, da sempre disegnata sul filo di aspre contrapposizioni ed oggi alla smaniosa ricerca di un'unità finalmente condivisa, quale migliore specchio nel quale riflettersi di quello offerto dal personaggio cui si deve la più esaltante (per la maggioranza degli italiani al tempo del regime) o la più rovinosa (per la maggioranza degli italiani del tempo della democrazia) delle avventure collettive vissute dal nostro paese nel Novecento? Se il fascismo continua ad essere la pietra angolare su cui si misura ogni ripensamento della nostra storia unitaria, vuoi perché rivelazione di antichi e mai estirpati vizi costitutivi del popolo e dello stato italiani, vuoi perché esperienza vissuta e al contempo archetipo di tralignamenti autoritari del presente democratico, chi più del suo artefice può personificare la sua vicenda?

L'uomo, la sua biografia, i suoi eccessi, la sue imprese, da ultimo la sua caduta si prestano, come in pochi altri casi, a creare un personaggio. Sia per i risvolti privati che per quelli pubblici. Sia per i caratteri di eccezionalità del suo profilo che per le sintonie con lo spirito del proprio tempo. La giovinezza vagabonda e ribelle, gli amori facili e clandestini, l'emigrazione e la fame, la passione bruciante per la politica e la voglia di una vita esagerata, il gusto dei gesti di rottura e gli arresti, l'ascesa spettacolare al potere e la popolarità sconfinante nella venerazione, i lutti del fratello e del figlio e la condanna a morte del genero, i fasti e i nefasti militari, la dedizione dei seguaci e il tradimento dei fedeli, l'amore per i figli e la passione per l'amante, infine la fucilazione e l'oltraggio subìto per mano del suo popolo. Per non dire della sua figura pubblica. La militanza precoce nel socialismo più estremo, inneggiante alla rivoluzione e capace di veri gesti insurrezionali come la "settimana rossa" nell'imminenza della guerra, l'anti-interventista al tempo della guerra di Libia rivoltato in interventista ad oltranza allo scoppio della guerra mondiale, il popolarissimo direttore dell'Avanti! trasformato in spergiuro del socialismo, il sovversivo rigeneratosi in fondatore dell'Impero, il persecutore del movimento operaio congedatosi dalla politica e dalla vita come alfiere della socializzazione delle imprese.

Che di personaggio si trattasse, e di un personaggio fuori della norma, nessuno lo ha mai dubitato, sin da quando, giovanissimo, ha offerto le prime prove del suo carattere e delle sue ambizioni. Il "mito di Mussolini" non è, in altre parole, il frutto tardivo di un regime maestro nelle tecniche di manipolazione di massa. Prende forma precocemente e in maniera spontanea. Duce, Mussolini non diventa dopo la marcia su Roma. Lo è già tra i socialisti. "Il grande duce della locale sezione socialista" lo chiama nell'aprile del 1904 il giornale romano La Tribuna in una corrispondenza da Ginevra al momento della sua espulsione dal cantone svizzero. "Il duce di tutti i socialisti rivoluzionari d'Italia" lo acclamano nel marzo del '12 i suoi compagni di lotta all'uscita dal carcere ch'egli si è guadagnato grazie ad un'opposizione "fuori regola" condotta contro la guerra in Tripolitania. Riconoscimenti che non gli vennero solo dalla sua parte. "Uomo forte e diritto" lo apostrofò Salvemini, "di quelli che parlano come pensano e operano come parlano", "un uomo" che "risalta tanto più in un mondo di mezze figure" lo salutò nel '13 su La Voce di Prezzolini. Un mito precoce quindi, e per di più resistente come pochi, se è vero che superò indenne tremende, ripetute smentite: l'uscita dal Psi, la sconfessione dei ras all'indomani del patto di pacificazione, il delitto Matteotti, solo per citare le più clamorose.

Mito dunque, ma certo per altri anche anti-mito. Paragonato a Cesare, a Costantino, a Napoleone, visto financo come l'incarnazione del Veltro dantesco, è stato al contempo indicato come la personificazione stessa del male: novello Giuda, Nerone, Borgia, addirittura Caino. Apologie ed esecrazioni a parte, quel che più preme sottolineare ai fini della riflessione sulla identità italiana è che Mussolini ha funzionato anche come perfetto reagente di quest'ultima; e paradossalmente in entrambi i sensi, e cioè in quanto prototipo sia dell'Italiano che dell'anti-italiano. "Mussolini è l'Italia, l'Italia è Mussolini" ha sentenziato sempre Prezzolini. Per Henri Béraud, un cronista del tempo, non c'erano dubbi: "e' italiano. E' l'Italia". Stesso giudizio ma rivoltato di segno è venuto dagli avversari. Senza citare Carlo Rosselli e la sua equiparazione del fascismo ad "autobiografia di una nazione", ci basti ricordare il parere espresso a caldo dal repubblicano Perri: "Mussolini deve la sua fortuna al fatto che egli impersona una forte quantità di difetti propri all'anima italiana e al nostro carattere corrotto da secoli di servitù". 

Campi ci conduce in questo labirinto di specchi che riflettono per tutto un secolo un'immagine sdoppiata e conflittuale dell'identità di noi italiani. Ma non lo fa per ribadirne l'incompatibilità e l'incomponibilità. Ripercorrere la fortuna del mito e dell'anti-mito Mussolini può anche essere un modo per affrontare una sorta di autocoscienza dei nostri traumi passati, delle lacerazioni e delle passioni che ci hanno afflitto nel secolo appena chiuso, affinché alla fine, magari, ce ne possiamo anche liberare grazie proprio alla loro storicizzazione, e cioè alla loro ricomprensione in una memoria finalmente - come l'autore espressamente auspica - "condivisa e accettata".

6 luglio 2001

Alessandro Campi, Mussolini, Il Mulino, Bologna, 2001, 200 pagine, lire 24.000.

 

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