Saggistica. Il "presente" dell'Europa centrale
di Fabrizio Amadori

Storico di professione ad Oxford, Timothy Garton Ash ha sfruttato anche la sua lunga esperienza di giornalista e scrittore per comporre una storia del presente. Storia del presente? "La storia", riconosce l'autore, "si occupa per definizione del passato". Il presente a cui egli si riferisce si potrebbe perciò definire "passato molto prossimo" o attualità. Sebbene la sua possa sembrare una semplice invasione nel campo del giornalismo non lo è. Lo storico deve occuparsi anche del passato recente: la possibilità che egli assomigli ad un giornalista esiste, per l'orrore degli accademici, ma questo non è un male, distinguendosi nettamente, storiografia e giornalismo - secondo Ash - solo nei risultati cattivi, non in quelli buoni. Si potrà senz'altro consentire con questa tesi, aggiungendo però che il motivo della tradizionale separazione non è riconducibile solo al desiderio di due professioni affini di distinguersi: nella cultura dell'Occidente la specializzazione è un obiettivo fondamentale che affonda le proprie radici in campo filosofico.

L'impressione però è che Ash di filosofia si occupi poco. Leggendo il libro sembrerebbe che Nietzsche e l'epistemologia moderna non siano mai esistiti: infatti l'autore, pur conoscendo molto bene tali posizioni attraverso la critica degli storici postmodernisti, continua a ritenere necessaria la difesa del fondamento della sua disciplina, ossia la supremazia del fatto. E' una fede che Ash condivide con molti: la certezza che i fatti siano inconfutabili, e non solo in campo storico, ma anche in quello giornalistico, sebbene egli sappia che, messi a confronto i diversi resoconti di un medesimo avvenimento, si osservano discrepanze impressionanti. Tali discrepanze però secondo Ash non devono meravigliare: "Purtroppo", scrive, "la frontiera tra giornalismo e fiction viene violata anche nei quartieri alti, specialmente nei reportage con ambizioni letterarie". Esiste un unico rimedio: il ricorso puntuale alla testimonianza diretta, la testimonianza di chi è interessato a dare risposta alle domande degli storici, magari perché storico egli stesso, e quindi in grado di ricostruire gli eventi senza fronzoli. Una cosa infatti proprio non riesce a capire Ash: come sia potuto capitare di lasciare i resoconti del presente a chi di storia non capisce nulla. E' forse questo il punto principale del libro: l'invito agli storici a prendere parte agli eventi che intendono descrivere, e a non pensare, come fanno i seguaci di Leopold von Ranke, che solo chi è distante dagli avvenimenti li può comprendere bene. Non si capisce poi perché. "Se ci riflettiamo un attimo", scrive Ash, "l'idea è piuttosto strana: chi non ha assistito ai fatti li conoscerebbe meglio di chi li ha vissuti. Anche il più ascetico dei neorankeani si basa sulle testimonianze di chi ha ricostruito gli eventi per la prima volta. Se nessuno l'avesse fatto, la storia non esisterebbe".

Ma di quale storia si sta parlando? La storia intesa come lista di eventi singoli o la storia come disciplina di conclusioni sistematiche? E' un interrogativo importante che nasce leggendo il libro. Si deve puntare senz'altro sulla prima soluzione, rilevando così che la storia che non esisterebbe non è certo quella che interessa di più agli studiosi: nelle sue forme migliori la storia intende essere comprensione dei principi generali. Per questo tipo di storia vale la regola difesa dai seguaci di Leopold von Ranke: quella di far passare del tempo prima di giungere a delle conclusioni. Potrebbe sembrare strano, ma questa volta Ash sembra essere d'accordo: "La storia del presente", scrive, "deve riconoscere i propri limiti. Per giungere a conclusioni sistematiche occorre una distanza temporale molto maggiore". A questo punto però non si capisce bene: infatti Ash, pur riconoscendo che per comprendere i fatti storici occorre far passare del tempo, se la prende con chi (Leopold von Ranke) preferisce stare distante dagli avvenimenti, il che avrebbe senso se per distanza l'autore intendesse soltanto distanza spaziale. Ma non è così: almeno in un punto importante (pagg. 4-5) egli interpreta chiaramente la distanza come distanza temporale, e proprio un attimo prima di prendersela con il grande storico, con cui egli quindi non dovrebbe concordare. Si potrebbe pensare ad una contraddizione, aggiungendo però che alla contraddizione si somma la confusione: la distanza temporale a cui Ash si riferisce sembra infatti a tratti una distanza spaziale. Una confusione comunque non sufficiente ad escludere che di contraddizione si possa parlare.

6 luglio 2001

Timothy Garton Ash, Storia del presente, Mondadori, Milano, 2001, 427 pagine, lire 36.000.
 

 

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