Già da dieci anni s’è imposta la cultura della libertà
di Luca Pesenti

Pierluigi Battista, editorialista de “La Stampa”, ha riproposto nel suo “Il partito degli intellettuali” (Laterza) l’annoso problema dell’egemonia culturale della sinistra italiana. Bene, bravo, bis. Meglio ricordarlo ogni tanto agli Eco e ai Tabucchi, candida5tytymente convinti che di egemonia non si sia mai vista nemmeno l’ombra. Beata innocenza. Battista ci ha però ricordato, contro il lamento di lunga data di molti intellettuali di destra, che se la sinistra ha egemonizzato, non è stato solo per il ben noto conformismo italico. Il motivo è profondo, antropologico perfino. “Sinistra” uguale sogno e utopia, speranza di cambiamento, mondo a colori e in movimento. “Destra” è il suo opposto: realismo puro e crudo, gestione dell’esistente, anti utopismo pratico. Tanto che, come ha detto in una intervista per “L’Espresso”, tutto cambia per non cambiare nulla: alla destra le poltrone, alla sinistra le idee. E qui è promosso a metà.

Di certo i sinistri di lotta son stati più bravi a dar sponda per anni a pensatori più o meno raffinati. Mentre a destra al solo sentir parlare di “kultura” si metteva gobbelsianamente mano alla fondina. Ma lo schemino di Battista non funziona più. Un esempio facile facile: negli ultimi dieci anni la vera icona della filosofia politica è stata la libertà. Con le sue declinazioni più o meno radicali: federalismo, autodeterminazione, secessione, autonomia della società, sussidiarietà. Da dieci anni non si discute d’altro. E a vincer le elezioni è stata una certa Casa che proprio sulla libertà ha puntato e scommesso. Radunando tutti quelli che credevano nelle citate declinazioni. Che cos’è il federalismo se non il sogno di un mondo tagliato a misura d’uomo e delle sue appartenenza più prossime? Che cos’è il principio di sussidiarietà se non la speranza di un nuovo protagonismo sociale, liberato dallo stato ma non sempre (e non necessariamente) costretto nelle gelide leggi del mercato?

Insomma, la pensata di Battista funziona bene nelle “radiose” stagioni democristiane, magnificamente sintetizzate dallo schifiltoso parlar di “culturame” nella potente bocca di Scelba. Ma la più recente transizione italiana ha ribaltato il campo di gioco. Il centrodestra ha rappresentato la voglia di una società diversa, il centrosinistra la mera conservazione di interessi di lungo periodo. Un centrodestra che, forse nemmeno accorgendosene, è diventato spontaneamente libertario e antipopperiano e ha compreso che questo non è davvero il migliore dei mondi possibili. Liberata la prospettiva da improbabili proposte di palingenesi ideologica liberista, gli ex esiliati hanno colpito nel segno vincendo innanzitutto (e gramscianamente) nel cuore della società. Restituendo coscienza a un popolo e ripristinando l’immaginazione creatrice. Solo il Cavaliere potrebbe dar ragione a Battista, perché solo il Cavaliere potrebbe decidere se continuare su questa nuova impostazione - quella libera del “mercato delle idee” - oppure, per quieto vivere, perseverare sulla strada del vecchio “consociativismo” intellettuale: alla destra le poltrone, alla sinistra le idee. Sarebbe davvero un brutto sogno. E, proprio per questo, crediamo che prevarrà un percorso diverso. Fuori dalle egemonie.

29 giugno 2001




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