Egemonia di sinistra e pluralismi di destra
di Luciano Lanna


Chi più di altri è riuscito a inquadrare e dare le giuste coordinate al fenomeno è stato Ernesto Galli della Loggia. In un editoriale apparso sul Corriere della Sera nel marzo scorso ha infatti rilevato la nascita “nel nostro paese, da alcuni anni a questa parte, di riviste, case editrici, giornali, esplicitamente e programmaticamente non di sinistra che si segnalano per il loro buon livello culturale, talvolta addirittura per la loro eleganza. E’ - rilevava lo storico e politologo - il caso del Foglio, Palomar, Liberilibri, Diorama letterario, Ideazione”. Ai quali - aggiungiamo noi - potrebbero essere affiancate sicuramente altre riviste (Area, Liberal, Elite, Federalismo&Libertà, Enclave, La prospettiva comunitaria), altre case editrici (quantomeno Ideazione, Liberal libri, Arianna, Pellicani) oltre a Fondazioni, associazioni, realtà anche su Internet. Si tratta, nel complesso, di un panorama diversificato al suo interno, non sempre riconducibile a omogeneità, ma che, secondo Galli della Loggia, dimostra “che nel paese sta crescendo un nuovo ceto intellettuale, fuori degli schemi tradizionali, spregiudicato, disponibile a battere vie inedite”. Da cui il suo invito ai dirigenti politici della Casa delle Libertà a tenerne conto e a mettersi in sintonia con l’ormai vasta area intellettuale plurale che rappresenta nei fatti la risposta creativa e articolata allo stato di senescenza e agonia della cultura di sinistra.

Nel frattempo ci sono state le elezioni politiche, vinte dalla coalizione di centrodestra, e i media si sono affrettati a ripetere lo schema del ’94 su una presunta cultura di destra che starebbe per prendersi la sua rivincita su quella di sinistra. Come? Occupando spazi e ribaltando di centottanta gradi idee, prospettive, preferenze tematiche e di autori rispetto agli ultimi cinque anni. Ma è uno schema che, oltre a non rendere giustizia sulla reale fisionomia delle dinamiche culturali degli ultimi anni, presterebbe il fianco alla teoria e pratica di una “destra rancorosa”, isolata dai veri processi di elaborazione creativa, la cui unica ragione sociale sarebbe quella di sostituirsi alla sinistra. E le cui idee-guida sarebbero soltanto “a contrario”: contro i valori, i paradigmi, i progetti, le strategie della sinistra. Fortunatamente la situazione è molto diversa e più carica di prospettive. Questo perché, in realtà, la sconfitta politica del centro sinistra è stata l’effetto ritardato di una sconfitta ideale iniziata almeno vent’anni fa. Una sconfitta con la quale è morta l’autoreferenzialità su cui la sinistra costruì la sua egemonia culturale. Per molti decenni, non essendo mai stata costretta a rispondere delle sue sconfitte né delle sue sentenze, la sinistra - come ci racconta nel suo recente Il partito degli intellettuali Pierluigi Battista (Laterza, 2001) - riusciva a imporsi come la radice del bene e del male.

In Italia la morale pubblica e la cultura sono state talmente pervase dal giudizio autoreferenziale della sinistra da radicare in tutti, anche nei suoi avversari, il riconoscimento implicito e reverenziale della sua presunta superiorità. In cambio dell’esclusione dal governo, tutto, nel nostro paese, a cominciare dalla destra e dal centro, si definiva in rapporto alla sinistra. E il nuovo non poteva nascere soprattutto perché lo spazio antagonista era occupato da una destra e un centro che subivano l’egemonia della sinistra, che, in altre parole, non si non si proponevano come autonome forze culturali, bensì come mero negativo della sinistra. Non si può negare che, per molti anni, ci sono state in Italia anche una destra e una cultura cattolica che forse intimamente si vergognavano di se stesse. E il provare inconsciamente vergogna era uno dei prezzi che queste culture accettavano di pagare per poter vivere mummificandosi e autoghettizandosi. Finché non è crollato il Muro e la deflagrazione della sinistra ha rimesso tutto in gioco. Ponendo in discussione l’idea stessa di una egemonia culturale.

Non è un caso che molti degli intellettuali, degli operatori culturali, degli stessi uomini politici del centro destra di oggi provengano da una esperienza iniziata a sinistra e poi ridefinitasi dopo l’implosione di quella cultura. E quello che invece va rilevato è che siamo forse fuoriusciti definitivamente dalla culture ideologiche ed egemoniche fondate sul primato della sinistra. Ecco perché è sbagliato tentare di spacciare una organica e monolitica “cultura di destra” che starebbe sostituendosi a quella di segno contrario. E’ infatti definitivamente saltato lo schema hegeliano. Dopo la sinistra (e la sua sconfitta politica) non c’è la destra; ma c’è la costellazione creativa, libera e irregolare, plurale, evidenziata da Galli della Loggia. Non tutte quelle esperienze sono riconducibili a unità, non tutte possono essere pensate come collaterali o organiche a qualsiasi progetto politico. C’è solo una galassia plurale di esperienze, creatività, sensibilità nuove. Nessuno pensa alla riproposizione scolastica delle presunte due o tre anime storiche alternative alla sinistra - quella liberale-crociana, quella nazionale-gentiliana, quella cattolica non progressista - come vorrebbe una interpretazione tanto scontata quanto inconsistente. C’è un universo di uomini da tempo in campo verso nuovi paradigmi con cui ridare senso e speranze alla nostra epoca. E c’è una campo di irregolari in campo aperto, sull’onda della libertà, del contagio delle idee e della contaminazione.

29 giugno 2001

lucianolanna@hotmail.com


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